Sperduta nell’oceano Indiano c’è un’isola impossibile da visitare. E non soltanto per la sua posizione geografica. L’isola è circondata da una barriera corallina e manca di porti naturali. Ma anche per un altro, tanto inquietante quanto affascinante, motivo. I suoi abitanti. È l’isola di North Sentinel un paradiso naturalistico tra le Andamane, nel golfo del Bengala. La tribù che vi abita resiste al contatto con il mondo esterno civilizzato da migliaia di anni. I sentinelesi sono una delle ultime popolazioni incontaminate rimaste sulla Terra. Il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni, Survival International, li ha definiti “la società più vulnerabile del pianeta”. Si pensa che questi vivano sull’isola da 60mila anni. Per resistere al “contagio” sia metaforico che reale, visto che non hanno sviluppato le nostre difese immunitarie, i rapporti non sono “amichevoli”. Quando qualche ricercatore, o pescatore, si è avvicinato alle loro coste ad accoglierlo è stata (quasi) sempre una pioggia di frecce.
Le poche cose che sappiamo di un tribù così isolata.
Le informazioni sull’isola sono difficilissime da raccogliere. Anche soltanto fare un censimento diventa un’impresa. Nel 2001, da lontano, sono stati contati una quarantina di abitanti. Nel 2011 un nuovo censimento ne contò soltanto 15. Il linguaggio di questa tribù non è classificabile né prossimo alla lingua delle popolazioni vicine. Sappiamo che il loro livello di progresso tecnologico è pari a quello di una tribù paleolitica. Sono cacciatori e raccoglitori. Vivono in capanne all’interno della foresta.
I contatti con il mondo esterno.
L’isola, dopo essere stata una base marittima dell’impero Maratha, comincia, intorno al diciottesimo secolo a essere osservata dai navigatori europei. Soprattutto dall’impero britannico. Nel 1771 viene avvistato un natante della Compagnia britannica delle Indie orientali attraccato. Un secolo dopo, un funzionario inglese, visitò l’isola scortato dalla polizia. Non abbiamo un resoconto di quell’esplorazione. Nel 1880 un’altra spedizione salpò sull’isola, catturando alcuni sentinelesi. Due anziani e quattro bambini vennero portati a Port Blair. Si legge nel referto medico: “L’intero gruppo si è ammalato rapidamente, il vecchio e sua moglie sono morti, così i quattro bambini sono stati riportati a casa con numerosi doni”. Le esplorazioni si susseguono anche il secolo successivo. Per scopi scientifici. Negli anni ’70 un gruppo di archeologi cercò di avvicinarsi alle coste, scortato dalla polizia, per girare un documentario. Vennero attaccati. Ritornati poco dopo, alcuni poliziotti lasciarono sulle spiagge alcuni doni, tra cui un maiale vivo, delle bambole e noci di cocco. Prima di battere in ritirata, attaccati da altre frecce. I sentinelesi in quell’occasione trafissero il maiale e le bambole per poi seppellirli sotto la sabbia. Si mostrarono molto felici delle noci di cocco.
Una tribù fragilissima, da proteggere
Da quel momento le noci di cocco vennero usate come doni per farsi accogliere. Ma l’unico contatto recente senza lancio di frecce da parte dei sentinelesi è del 1991. Quando lo studioso T.N. Pandit riuscì ad avvicinarsi più di tutti agli isolani. Dopo quella missione gli altri incontri si sono fatti sempre più sporadici, perché il governo locale ha dichiarato di non voler più interferire con il loro habitat. Durante lo tsunami del 2004 il governo indiano preoccupato della loro sorte, sorvolò l’isola. “Per fortuna” vennero accolti da frecce lanciate da un gruppo di sentinelesi. Voleva dire che erano ancora vivi.
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