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Peste Bubbonica: un nome che fa ancora paura. Oggi è relegata ai luoghi più degradati del terzo mondo, eppure riesce a suscitare in noi un brivido d’orrore. Corpi impilati, bruciati, bubboni pulsanti, sangue nero, la Peste è la malattia contagiosa e mortale per eccellenza. Grazie all’opera di artisti e letterati, tutti noi ricordiamo la Morte Nera di metà Trecento e l’epidemia dilagata all’inizio della Guerra dei Trent’anni (descritta ne I Promessi Sposi). Eppure ci fu un’epidemia terrificante, la prima nella storia europea, di cui si parla poco. Nei testi storici viene lasciata in un cantuccio, preferendogli la narrazione di guerre e battaglie, ma ciò non toglie che nel VI secolo si abbatté sull’umanità un contagio mostruoso, capace di mettere annientare intere città e mettere in ginocchio un Impero: la "Peste di Giustiniano".

 

 

Tutto ebbe inizio nell’ estate del 541, in uno dei momenti più delicati per l’Impero Romano d’Oriente. Giustiniano, ultimo Imperatore ad essere di madrelingua latina, aveva intenzione di strappare l’Italia ai Goti, mentre la campagna d’Africa si era già conclusa con l’annientamento del regno dei Vandali. Nessuno però aveva fatto i conti con i topi infetti che portarono la peste bubbonica nel porto egizio di Pelusium, e da lì nella quasi totalità delle coste mediterranee.



1. La Peste raggiunge Costantinopoli.

Gli studiosi concordano sul fatto che la Peste bubbonica sia arrivata a Pelusium dall’Africa Centrale o dall’Etiopia (come riportato da Evagrio), tramite un’imbarcazione che risaliva il corso del Nilo. Dopo aver decimato la popolazione del villaggio, il contagio seguì due direttive principali: la costa nordafricana e quella mediorientale. L’epidemia si spostò nel corso del 541, raggiungendo Gaza e Alessandria, mentre la Siria venne toccata nell’estate del 542. A causa dell’enorme traffico navale del suo porto, Costantinopoli fu colpita nella primavera del 542.

Sia Giovanni, vescovo di Efeso, che Procopio (le due fonti principali sull’argomento), concordano sul fatto che la Peste iniziò ad espandersi lentamente, partendo dalle città costiere per poi raggiungere l’entroterra. Quasi fosse dotata di un intelletto, rimaneva in ogni luogo per un certo periodo -il tempo necessario a provocare la morte di buona parte della popolazione -, e solo dopo si muoveva verso la città o il villaggio vicini. Da “La Guerra Persiana” (2-XXII) di Procopio (un ringraziamento a http://www.badwila.net , sito molto interessante ma poco conosciuto):

Per questo non ha lasciato nè un isola nè la cresta di una montagna né una caverna che abbia avuto abitanti umani; e se fosse passato per qualunque terra, non interessante agli uomini o avesse colpito qualche luogo meno violentemente, più tardi vi è tornato; allora coloro che abitavano attorno a questa terra, quale precedentemente era stata afflitta gravemente, non ne furono affatto toccati, ma non ha abbandonato un dato luogo fino a che non fosse giunto a contare un numero adeguato di morti, e in modo da corrispondere esattamente a tale numero ha colpito anticipatamente fra coloro che abitavano nei dintorni. E questo morbo ha iniziato sempre a diffondersi dal litorale e da là è andato verso l’interno.

Raggiunta Costantinopoli, l’epidemia si diffuse con maggiore rapidità. Dobbiamo immaginare che gli abitanti fossero già terrorizzati, visto che avevano seguito l’avvicinarsi del morbo tramiti dispacci, missive di parenti e commercianti.

La situazione divenne tragica nel giro di poche settimane. A Costantinopoli, che superava i 500.000 abitanti, la Peste trovò un ambiente ideale. L’igiene dei cittadini era certamente superiore a quello di coloro che affrontarono il morbo nel 1348, ma la densità abitativa giocò un ruolo fondamentale. Come dice Lester Little in una delle migliori monografie sull’argomento “Plague and the End of Antiquity- The Pandemic of 541-750″:

Density of human settlement has special importance for the spread of many diseases, especially airborne ones, whether bacterial (such as tuberculosis) or viral (such as smallpox)

Quanto ai numeri, troviamo ancora una sostanziale concordanza fra Giovanni e Procopio. Il primo ci informa che si contavano 5.000 morti al giorno, poi 7.000, 10.000 ed in alcuni giorni anche 12.000. Procopio parla di 5.000-10.000. Anche volendoci attenere alla cifra più bassa, si tratta comunque di una mortalità impressionate: in una decina di giorni, Costantinopoli perse il 10% della popolazione.

La malattia, a Costantinopoli, ha imperversato per un periodo di quattro mesi e la più grande virulenza è durata circa tre mesi. Inizialmente le morti erano solo poco più del normale, quindi la mortalità è aumentata ulteriormente ed in seguito il conto dei morti ha raggiunto cinquemila ogni giorno, ma se ne contarono anche diecimila.

Il problema della rimozione dei cadaveri si fece pressante. Venivano trascinati fuori dalle mura a migliaia, contati da appositi ufficiali e sepolti in fosse comuni. C’erano anche barche e chiatte che li portavano dall’altro lato del Corno d’Oro. All’inizio quindi, la logistica imperiale riusci ad affrontare l’emergenza (almeno dal punto di vista dello “smaltimento cadaveri”), ma le cose iniziarono a peggiorare molto presto. In città il numero di morti stava superando quello dei vivi in età da lavoro, tanto che mancava la manodopera per ripulire le strade dai cadaveri.

 

Per le strade di Costantinopoli si respirava un'aria davvero salubre.



Per fronteggiare l’emergenza, Giustiniano prese diversi provvedimenti. Ordinò che le tombe private, senza riguardo a chi fosse il proprietario, venissero stipate di cadaveri, e diede mandato a Teodoro, il suo referendario, di assoldare a qualsiasi prezzo delle persone che scavassero altre fosse comuni. Inutile dire che i sopravvissuti alla peste e i lavoratori che avevano voglia di rischiare la vita riuscirono ad arricchirsi con un lavoro che, prima della Peste, veniva retribuito in maniera ridicola. Teodoro iniziò gli scavi di fosse talmente grandi da poter contenere 70.000 cadaveri ciascuna.

Ma in breve tempo tutto le tombe che erano disponibili precedentemente si sono riempite, quindi si dovette scavare in tutti i luoghi disponibili intorno alla città, per deporvi i cadaveri, affinché tutti potessero avere sepoltura; ma ben presto coloro che scavavano queste fosse, non furono più in grado di continuare per il continuo aumentare del numero dei morti; vennero così occupate le torri delle fortificazioni di Sycae, e una volta scoperchiate demolendo i tetti, vi furono gettati dentro i corpi nel disordine completo; questi vennero accatastati così come cadevano e in questo modo riempirono tutte le torri di cadaveri, ed infine queste vennero sigillate ricostruendo i tetti. Come conseguenza di questo un puzzo di morte si è sparso su tutta la città ed ha afflitto ulteriormente gli abitanti, particolarmente ogni volta che il vento soffiava da quel quartiere.

Il modus operandi dei lavoratori bizantini aveva qualcosa in comune con l’odierno stoccaggio dei rifiuti. Gli uomini scendevano fino in fondo alla fossa, dove mettevano in fila i cadaveri ed iniziavano ad impilarli. Giunti all’orlo della fossa, iniziavano la fase del “macabro pressaggio”, descritta da Giovanni da Efeso. In sostanza, gli operai saltavano amabilmente sui cadaveri in modo da fare spazio agli ultimi arrivati. Grazie a questa disgustosa azione, i cadaveri spappolavano quelli più in basso, già imputriditi per bene (“John provides us with the gruesome image of a body sinking in the putrefaction of the corpses below”).

Riempite le torri, le tombe, le case abbandonate e tutti i luoghi possibili e immaginabili, i cittadini di Costantinopoli optarono per una soluzione geniale:

A quel tempo tutti i riti consueti per la sepoltura venivano trascurati. I morti non venivano accompagnati da una processione nel modo consueto, né si intonavano canti per loro, ma era sufficiente trascinare i corpi delle persone decedute fino alle parti della città che si affacciavano sul mare e scagliarli giù; e là i cadaveri rimanevano ammucchiati sugli scogli, per poi essere trascinati via dalle onde.

Giù dalle mura, ad ammorbare la costa e le acque limitrofe. Ormai Costantinopoli era una bara putrescente a cielo aperto.

 

Le mura di Teodosio divennero un punto strategico per il lancio del cadavere.

Sui numeri si è molto dibattuto. Nella Capitale perirono 200.000 cittadini circa, il 40% della popolazione, anche se qualcuno ha proposto delle stime più alte (fino a 300.000 di Evagrio Scolastico). Hollingsworth, nella sua “Historical Demography”, ha utilizzato un modello matematico per calcolare la cifra di 244.000 abitanti (su una popolazione stimata di 508.000). Nel complesso, sembra verosimile che il mondo Romano abbia perso oltre il 25% della popolazione.

Ne “La peste: aspetti storici e paleopatologici” della dott.ssa Bianucci, le stime sono differenti.

E’ poco probabile, secondo gli storici (Biraben,1975; Biraben e Le Goff, 1969), vista l’estensione limitata del flagello e il numero ridotto delle ondate epidemiche, specialmente in Occidente, che tali epidemie abbiano causato la morte, come invece accadrà nel 14° secolo, di un terzo o di un quarto della popolazione complessiva. E’ molto probabile che, in specifiche località, siano stati raggiunti tassi di mortalità compresi tra il 15 % ed il 40%, si stima che tra il 541 ed il 700 d.C. la popolazione si sia ridotta del 50-60%.

Beh, metà della popolazione sottoterra in centocinquant’anni mi sembra abbastanza. Ad ogni modo, Procopio parla di una Costantinopoli completamente deserta, mentre il vescovo di Efeso dice lo stesso di villaggi e campagna.



2. Conseguenze socio-politiche ed economiche.

Nonostante le notizie riportate dalle fonti, alcuni autori hanno molto sottovalutato l’incidenza della Peste di Giustiniano. M. Whittow, autore di “Making of Orthodox Byzantium”, lo deduce dallo studio dei traffici commerciali, che per lui rimasero uguali. Si tratta di affermazioni in netto contrasto con le fonti, ma lo stesso può dirsi per l’altro estremismo storiografico, quello che vuole la Peste di Giustiniano come unica causa di ogni male capitato a Bisanzio fra VI e VIII secolo (in particolare, J.C. Russel “The Earlier Plague”).

Ad ogni modo, ci sono alcuni dati sull’emissione di moneta imperiale che ho trovato molto interessanti. Riguardo alla moneta aurea per eccellenza, il solido, Procopio accusa il Comes Sacrarum Largitionum di averne ridotto le dimensioni, con il preciso intento di risparmiare oro. Ora, Barsimeo fu C.S.L. per la prima volta nel 542, appena dopo l’ondata di Peste, e ancora nel 543. Nel periodo giusto, quindi, per poter ipotizzare una connessione fra le difficoltà finanziarie di Costantinopoli e l’epidemia. Anche un’altra moneta famosa, il follis, subì lo stesso trattamento (guardacaso nello stesso periodo). Ce lo conferma Metcalf nel suo “Metrology of Justinian’s Follis”, quando rileva una diminuzione del bronzo nel follis attorno al 23% fra 538 e 551. Si tratta di un particolare rilevante, visto che la riforma di Anastasio aveva portato una stabilità monetaria che venne meno, improvvisamente, nel periodo in cui si manifestò la Peste di Giustiniano.

Un altro studioso di monetazione bizantina, Hahn, ha confermato l’analisi di Metcalf, aggiungendo che il rapporto di cambio fra follis e solido passò dai 210 per 1 solido nel 538-542 a 180 nel 542-550.

 

 

Molti commercianti chiusero bottega e la mancanza di manodopera portò ad enormi difficoltà nel mantenere viva l’amministrazione dell’Impero. Ad esempio, sappiamo che gli addetti al trasporto dei cadaveri (spesso persone guarite dalla peste) riuscirono ad accumulare delle vere fortune, dato che i loro servigi erano retribuiti a peso d’oro.

Le campagne, come testimoniato da Giovanni da Efeso, rimasero largamente spopolate, tanto da poter mettere in relazione questo dato con la scarsità dei raccolti di quegli anni. D’altronde, perdere in pochi anni il 25% della popolazione mediterranea (Germania e paesi nordici si salvarono) non poteva non condurre al dissesto finanziario e sociale. In un provvedimento di Giustiniano del 545 viene detto chiaramente che, essendo passata la peste, si doveva ripristinare le status quo riguardo ai prezzi della manodopera.

Sembra certo che le epidemie di peste del VI secolo spianarono la strada ai popoli che premevano su Bisanzio e sui regni Romano-barbarici. I sasanidi ebbero l’esercito decimato e la loro capitale quasi annientata dal morbo nel 543, e vennero colpiti dalle nuove ondate (ogni 12-15 anni). Questo contribuì ad indebolire l’apparato militare ed istituzionale, tanto che la loro resistenza alle invasioni arabe del 630-640 fu molto debole, quando solo un secolo prima avrebbero potuto affrontare un nemico del genere senza pericolo di essere sconfitti. Possiamo affermare che l’affermarsi dell’Islam fu dovuto principalmente alla lunga guerra fra Persiani e Romani (conclusa con la Battaglia di Ninive,nel 627) e alla distruzione portata dalla Peste.

Lo stesso medio-oriente romano fu uno dei luoghi più colpiti (in pratica fu toccato da tutte le ondate), ed infatti anche lì l’Islam penetrò facilmente. Anche sul fronte occidentale, Bisanzio ebbe gravi sciagure a causa del morbo. Il grave spopolamento di Illirico e Grecia permise agli slavi di penetrare in quei territori, sostituendosi alle popolazioni locali, vicenda confermata anche dalla testimonianza dell’Imperatore Costantino VII.

Quanto all’Italia, Paolo Diacono ammette che i Longobardi non ebbero grandi problemi ad insediarsi in città e villaggi gravemente spopolati a causa della peste, e lo stesso può dirsi per gli Arabi che penetrarono in Spagna, visto che il Regno Visigoto aveva subito parecchi danni da alcune ondate di peste.

Saranno necessari nuovi studi, riguardanti in particolare l’impatto dell’epidemia sulla società romana, ma non sembra assurdo sostenere che la Peste Giustinianea inflisse il colpo mortale all’agonizzante evo-antico. Per farne comprendere appieno la portata, è opportuno riportare le prime parole di Procopio a riguardo:

Durante questo periodo vi fu una pestilenza, per cui la razza umana è stata certamente prossima all’annientamento.



3. Le nuove ondate di Peste Bubbonica.

A partire dal 541, la Peste Bubbonica si presentò ogni 12-15 anni in varie regioni del Mediterraneo. Nel suo volume, Lester Kittle (utilizzando tutte le cronache dell’epoca) ricostruisce tutte le ondate del morbo fino al 750. Per ritrovare la Peste Bubbonica in Europa dopo questa data, bisognerà aspettare le Morte Nera del 1347.

 

 

Quanto alla prima epidemia (Peste Giustinianea in senso stretto), sappiamo che terminò all’inizio del 544. In quell’anno infatti venne aggiunto la novella 122 al Corpus Juris Civilis, nella quale Giustiniano dichiarava il cessato pericolo. Riguardo alle altre, non posso far altro che riportare le considerazioni di Kittle.

The second wave broke out in Constantinople from February to July 558. It is probably connected to a visitation of the plague in Cilicia, Mesopotamia, and Syria in 560–561. The third wave ravaged Italy and Gaul in 571 and is attested in Constantinople in 573–574. The following manifestation of the plague occurred in 590–591: Rome was hit in the early months of 591, following Ravenna,Grado, and Istria in 591–592, and Antioch in 592. The fifth wave of the pandemic broke out in Thessalonica in the summer of 597. It was disseminated into Avar territory by the spring of 598, then moved on to the Eastern Mediterranean, Syria, Constantinople, Bithynia, and Asia Minor in 599, arriving in Northern Africa and Italy in the course of 599–600, and finally infesting Ravenna and Verona in 600–601.

Come è facile notare, il territorio italiano fu squassato dalle epidemie, tanto che il massiccio spopolamento della penisola nel VI secolo potrebbe essere collegato più alla Peste Bubbonica che non alla Guerra Gotica e al successivo scontro fra Longobardi e Romani.

Paolo Diacono parla della pestilenza del 590 ( a Roma) nel libro IV della sua opera:

In hac diluvii effusione in tantum apud urbem Romam fluvius Tiberis excrevit, ut aquae eius super muros urbis influerent et maximas in ea regiones occuparent. Tunc per alveum eiusdem fluminis cum multa serpentium multitudine draco etiam mirae magnitudinis per urbem transiens usque ad mare discendit. Subsecuta statim est hanc inundationem gravissima pestilentia, quam inguinariam appellant. Quae tanta strage populum devastavit, ut de inaestimabili multitudine vix pauci remanerent. Primumque Pelagium papam, virum venerabilem, perculit et sine mora extinxit.

Il collegamento fra l’esondazione del Tevere e la pestilenza è interessante, visto che, probabilmente, permise ai roditori del fiume di venire a contatto con la popolazione in maniera ancora più massiccia. Ma il particolare più rilevante è quel “inguinariam” riferito alla pestilenza, che ci permette di identificarla con la Peste Bubbonica. Purtroppo, anzi, per fortuna di Santa Romana Chiesa, il buon Pelagio II ci lasciò la pellaccia, lasciando il posto al suo segretario, colui che diventerà uno dei papi più importanti della storia, Gregorio Magno.

La prima idea di Gregorio I non fu eccezionale. Ordinò tre giorni di processione verso Santa Maria Maggiore per chiedere aiuto a Dio, ma tante persone a stretto contatto nel momento di massima virulenza dell’epidemia furono una vera manna per quest’ultima. Tuttavia, la Peste scomparve dopo pochi giorni, e molti abitanti videro l’Arcangelo Michele che rinfoderava la spada in cima al Mausoleo di Adriano (come a dire “la Peste è finita, andate in pace”). Il miracolo fu di buonissimo auspicio per il novello pontefice, tanto che decise di cambiare il nome della tomba di Adriano in Castel Sant’Angelo. Ancora oggi, l’ultima versione dell’angelo (un bronzo settecentesco) svetta sulla cima dell’edificio romano.

 

Acquarello di Alexander Brullov (1823-1826 ca).

Ora però torniamo alla ricostruzione delle ondate di peste da parte di Kittle (eravamo arrivati alla quinta).

We have some vague information on another wave [6] that hit Constantinople in the times of the Emperor Heraclius, dated to about 618–619, whose presence is then recorded in Alexandria prior to its capture by the Persians in 619. [7] 626–628 (Palestine, Persia, and NorthernChina); [8] 639 (Syria, Iraq, and Palestine), [9] 669–673 (Iraq, Egypt, and Palestine), [10] 680 (Rome and Pavia)44; [11] 683–687 (Iraq, Egypt, and Syria); [12] 698–700 (Syria and Iraq) – this wave reached Constantinople by water and ravaged the city for four months in 698; [13] 704–706 (Syria and Iraq); [14] 713–715 (Syria and Egypt) – here we also have a possible connection to a recorded outbreak in Crete during the pontificate of Andrew of Crete, although this is both chronologically and historically doubtful; [15] 718–719 (Iraq and Syria); [16] 724–726 (Egypt, Syria, and Mesopotamia); [17] 732–735 (Syria, Egypt, Palestine, Iraq, and Asia Minor).

Questi dati confermano che il medioriente fu il luogo più colpito, suffragando ancora di più la teoria che la Peste abbia avuto un ruolo determinante nello stravolgimento socio-politico del VII secolo. Anche l’Italia, a causa dei numerosi porti in continuo contatto con Bisanzio, subì diverse ondate (e nel 590 ci fu anche una grave epidemia di vaiolo).



4. Il batterio che mise in ginocchio l’umanità.

La Peste è una delle zoonosi più pericolose, e può trasmettersi direttamente (attraverso il morso di un roditore infetto) o, nella maggior parte dei casi, indirettamente (tramite le pulci). Per spiegare meglio le modalità di contagio e la mortalità, ci occorre ancora l’aiuto della dott.ssa Bianucci:

La trasmissione diretta (del batterio Yersinia Pestis) può avvenire per manipolazione o taglio della carne di animali appestati; in questo caso, il bacillo pestoso penetra nel corpo umano tramite lesioni cutanee o tramite le mucose orali, nasali e oculari. Gli esseri umani che contraggono la malattia possono a loro volta divenire fonti di contagio per altri uomini. Occasionalmente il contagio inter-umano può verificarsi o tramite il morso della pulce dell’uomo (Pulex irritans) infettatasi dopo aver morso pazienti affetti da peste setticemica o per contatto diretto tra una persona sana ed una infetta (Karimi e Farhang Azad, 1974). Allorché la peste bubbonica primaria si trasforma in peste polmonare secondaria, la trasmissione aerea dell’agente infettivo può verificarsi da persona a persona, per via respiratoria, provocando la forma nota come peste polmonare primaria. Il contatto diretto con oggetti contaminati dall’escreato di pazienti affetti di peste polmonare può provocare la peste bubbonica.Nell’uomo la malattia evolve naturalmente verso la morte (nel 70% delle forme bubboniche e nel 100% delle forme polmonari) in meno di una settimana, talvolta in alcune ore.

In alcune aree del globo ci sono ancora oggi dei focolai di Peste Bubbonica, difficili da debellare a causa delle scarse condizioni igieniche o del continuo contatto con roditori infetti, quindi possiamo immaginare che la Costantinopoli del VI secolo fosse del tutto impreparata ad opporsi, tramite quarantene e protocolli di emergenza, all’epidemia.

 

 

A dire il vero, i medici dell’epoca rimasero sconcertati dal diverso andamento che poteva seguire la malattia a secondo del paziente, e dall’impossibilità di interpretare in modo corretto taluni sintomi.

Ora alcuni dei medici erano disorientati perché i sintomi non erano comprensibili, ammesso che la malattia si concentrasse nel gonfiore bubonico, e decisero di studiare i corpi dei morti. E aprendo quel gonfiore, trovarono una specie sconosciuta di carbonchio che si era sviluppata all’interno di loro. La morte venne in alcuni casi immediatamente, in in dopo molti giorni; e in altri casi il corpo esplodeva con delle pustole nere grandi come una lenticchia, e questi non sopravvivevano neppure un giorno, ma tutti soccombevano immediatamente. In altri casi, inoltre, giungeva un vomito senza causa visibile ed immediatamente portava la morte. Inoltre posso testimoniare che i medici più illustri predisseroche molti sarebbero morti, ma invece uscirono dalla sofferenza poco tempo dopo in maniera inaspettata; ma dichararono anche che molti sarebbero stati conservati, ma invece furono destinati ad essere trasportati quasi immediatamente fuori.

Insomma, stando a quanto ci dice Procopio, i medici bizantini provarono a capire qualcosa seguendo gli insegnamenti di Ippocrate. Sezionarono i bubboni (che potevano evidenziarsi in qualsiasi snodo linfonodale, particolarmente sotto le ascelle, sul collo o all’inguine), i cadaveri, cercano di utilizzare tutte le loro conoscenze, ma senza antibiotici la loro battaglia era persa in partenza. Ben presto, l’ipotesi della punizione divina per i peccati dell’umanità, una costante di tutte le culture, divenne maggioritaria. I ricchi e i libertini divennero improvvisamente religiosi e smisero di vestire in modo ricercato, mentre le processioni per chiedere perdono al Signore si moltiplicavano in città e nelle campagne (almeno finchè ci fu abbastanza gente per organizzare delle processioni).

Il Mediterraneo non aveva mai conosciuto un simile flagello, ma riuscì a superare quasi due secoli di ondate continue prima di essere lasciato in pace. La Yersinia Pestis si mise a dormire per qualche secolo.

Si svegliò incazzata nera nel 1347.

Fonte: http://zweilawyer.com

 


 

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