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Jacob Dahl, membro del Wolfson College e direttore dell’Ancient World Research Cluster, è raggiante: “Siamo finalmente sul punto di fare un passo avanti nella decifrazione della grafia proto-elamitica, tra tutte le scritture ancora da decifrare la più antica in assoluto”. Ed effettivamente per un archeologo decodificare la scrittura proto-elamitica è una vera sfida.

 

 

Il proto-elamitico si sviluppò intorno al 3 mila a.C. e, assieme a quella sumerica, fu una scrittura effimera: durò appena 150 anni da quando comparve nella regione di Elam (antico nome biblico dato al territorio che oggi corrisponde alla parte sud-occidentale dell’Iran).

Poi svanì nel nulla, lasciando ancora oggi tante domande senza risposta. Di questa grafia si sa infatti poco e niente: oscure sono le popolazioni che la utilizzarono, i caratteri e persino la lingua delle iscrizioni.

Oggi si conservano un migliaio di segni di questa antica grafia che si ipotizza fosse logografica. Ma il mistero che la avvolge sta per svanire, grazie a un sistema il cui acronimo RTI (Reflectance Transformation Imaging System) consentirebbe una rilettura dettagliatissima di quegli ambigui segni.

Gli studiosi stanno esaminando le tavolette di argilla custodite all’Ashmolean Museum di Oxford e soprattutto quelle custodite al Louvre, e sono riusciti a catturare le immagini a più alta definizione e più particolareggiate mai esistite del prezioso materiale.

Milleduecento segni studiati e ristudiati per dieci lunghi anni, senza conoscere quasi nulla della civiltà proto-elamitica. E ora forse finalmente se ne potranno raccogliere i frutti. Nonostante l’ottimismo, gli stessi scienziati enfatizzano il mistero più assoluto che ancora oggi cela sia l’alfabeto che il linguaggio di questa antica civiltà.

La più importante collezione al mondo di tavolette risalenti al proto-elamitico è custodita a Parigi, al Louvre, e il metodo utilizzato dal team di Oxford consiste nell’inserimento delle tavolette di argilla in un sistema RTI capace di usare 76 luci fotografiche separate per catturare ogni solco e ogni angolo delle preziose tavole.

La tecnica RTI applica metodi fotografici per caratterizzare la superficie e traduce queste informazioni in un’immagine composita digitale che descrive, per ogni pixel, la cromia e la morfologia superficiale del soggetto indagato.

La tecnica ha la capacità di documentare in modo scientifico e inequivocabile il colore e la reale morfologia tridimensionale delle superfici in un unico documento di facile lettura. Successivamente le immagini saranno postate online, per sfruttare al massimo il potere del crowdsourcing nel difficile lavoro di decodificazione.

 

 

Tra le grafie ancora da decodificare, la proto-elamitica custodisce le testimonianze più antiche in assoluto. Oggi le scritture antiche ancora da decifrare si possono dividere in tre categorie: le scritture il cui alfabeto è stato decifrato ma non si conosce la lingua; le scritture il cui alfabeto è incomprensibile ma di cui si conosce la lingua; le scritture con alfabeto e linguaggio sconosciuti.

La sfida della scrittura proto-elamitica è quella di rientrare in quest’ultima categoria e a rendere il lavoro ancor più difficile è il fatto che i testi originali sembrano contenere molti errori.

Ma non si tratta di sbagli commessi da uno scriba distratto, piuttosto della conseguenza della totale assenza di un alfabeto e di una grammatica condivisa da tutti.

A rendere ancora più problematica la decifratura dell’antica lingua concorre anche il fatto che, pur essendo una lingua adottata da popolazioni vicine, gli Elamiti aggiunsero al vocabolario nuovi imperscrutabili simboli. Una delle particolarità della scrittura proto-elamitica è l’inesistenza di figure umane (o anche solo di particolari umani).

Malgrado le difficoltà incontrate da Dahl nel comprendere il significato dei simboli incisi sull’argilla, nel corso del decennio di studi che lo hanno visto impegnato è riuscito a lanciare uno sguardo su quel mondo lontano.

Sebbene infatti non sia ancora stato possibile arrivare a una traduzione integrale delle tavolette, è stato in qualche misura realizzabile interpretarne il senso.

È bene precisare che gli studiosi britannici sono riusciti a comprendere interamente il sistema numerico adottato dagli Elamiti e possono pertanto affermare che non si tratta di scritti poetici, ma più umanamente di registrazioni di proprietà, quantità di raccolti e popolazione.

L’antico popolo medio-orientale viveva in una società agricola nella quale a comandare era una famiglia. Al di sotto di questa si trovava una sorta di middle-class eterogenea e ancora più giù la numerosa classe dei lavoratori, trattati come ‘bestiame con un nome’.

Dalle tavolette si è compreso che i titoli o il nome delle persone più importanti riflettevano il loro status e indicavano il numero di persone che si trovavano socialmente al di sotto. Infine Dahl e il suo team hanno dedotto altre informazioni anche riguardo al regime alimentare dell’epoca.

I potenti avevano a disposizione per la loro alimentazione yogurt, formaggio e miele, ma anche ovini, capre e bovini. Mentre ai lavoratori veniva concessa una dieta a base di orzo e di una specie di birra allungata con acqua. Il loro regime alimentare è stato giudicato dagli studiosi come appena sopra il livello di denutrizione.

Fonte: http://www.ilnavigatorecurioso.it

 


 

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