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La nostra società moderna è orgogliosa dei recenti progressi scientifici e delle notevoli conquiste tecnologiche.

Negli ultimi anni, non c’è dubbio che si fatta molta strada in questo senso. Ogni giorno veniamo a sapere dello sviluppo di nuovi gadget tecnologici che hanno lo scopo di migliorare la nostra vita.

 

 

Eppure, ogni tanto (sempre più spesso, in realtà), ci imbattiamo in alcuni manufatti antichi dimenticati che ci costringono a rivalutare il nostro grado di progresso.

Siamo davvero molto più intelligenti dei nostri antenati? Forse dovremmo dare agli antichi umani il riconoscimento che meritano? Forse alcune delle nostre invenzioni non sono che reinvenzioni di cose che già esistevano in un lontano passato.

 

 

Il telefono, per esempio. L’apparecchio telefonico è stato ufficialmente inventato nel 1870, quando due inventori, Elisha Gray e Alexander Graham Bell, svilupparono indipendente il dispositivo in grado di trasmettere una conversazione elettricamente.

Entrambi gli inventori si precipitarono ai rispettivi uffici brevetti, a poche ore di distanza l’uno dall’altro. Tuttavia, cronologicamente fu Alexander Graham Bell a registrare per primo l’invenzione. Poco dopo, Grey e Bell ingaggiarono una lunga battaglia legale sulla paternità dell’invenzione, che alla fine vide Bell vincitore.

 

 

Quindi, la storia occidentale riconosce in Bell l’inventore ufficiale del telefono. Però, forse non tutti sanno che in realtà il primato sulla paternità del telefono spetta ad una popolazione precolombiana vissuta tra l’800 e il 1470 d.C., conosciuta come Civiltà Chimù, che diede vita al Regno di Chimor.

Benché non avessero un sistema di scrittura, i Chimù svilupparono uno dei primi esempi di ingegno nell’emisfero occidentale composta da zucche e spago, configurate in modo da ottenere un dispositivo di comunicazione simile al nostro telefono.

 

 

Il dispositivo giaceva dimenticato nel deposito del National Museum of American Indian (NMAI), affiliato allo Smithsonian Institute, in un cartone a prova di umidità. L’oggetto è venuto fuori un po’ per caso, attirando l’attenzione dei curatori del museo che hanno deciso di rimetterlo in mostra per permettere ai visitatori di conoscere questa straordinaria invenzione.

Questa meraviglia protoingegneristica si compone di due ricevitori di zucca ricoperti di resina, una membrana di pelle cucita alla base dei ricevitori e una corda di cotone lunga 23 metri quando tesa.

“Si tratta di un oggetto unico. Non ne sono stati scoperti altri. Proviene dal genio di una società indigena che non aveva nessuna lingua scritta”, spiega Ramiro Matos, antropologo e archeologo specializzato nello studio della Ande centrali e curatore del NMAI. “Purtroppo, non sapremo mai qual è stata l’intuizione iniziale dietro la sua creazione”.

Il passato recente del manufatto è altrettanto misterioso. In qualche modo, non si sa in quali circostanze, è giunto nelle mani di un aristocratico prussiano, il barone Walram V. Von Schoeler, una specie di avventuriero che ha cominciato a scavare in Perù a partire dal 1930. Potrebbe essere stato lui stesso a trovare il telefono. Nel 1940 si stabilì a New York, e dopo aver accumulato un vasto insieme di reperti, alla fine distribuì la sua collezione nei musei di tutti gli Stati Uniti.

 

 

I favolosi Chimù.

L’apparecchio è stato realizzato quando il Regno di Chimor si trovava all’apice del suo sviluppo. Come spiega la rivista dello Smithsonian, quella dei Chimù è stata una cultura abile e inventiva, la prima vera società ingegneristica del Nuovo Mondo, non tanto per l’artigianato e l’oreficeria, ma per lo sviluppo di complessi sistemi di irrigazione e opere idrauliche, capaci di trasformare il deserto in terreni agricoli.

La società Chimù era organizzata in maniera piramidale e i ricercatori del NMAI pensano che il dispositivo fosse in uso solo presso la casta sacerdotale. L’architettura di Chan Chan, la capitale dei Regno, mostra una zona appartata della città, a testimonianza della rigida separazione tra l’elite dominante e la classe dei lavoratori.

“Il telefono era uno strumento progettato per un livello esecutivo di comunicazione, forse per impartire ordini ai cortigiani che si trovavano nelle anticamere del potere, lì dove si prendevano decisioni cruciali e il contatto faccia a faccia con personaggi di status elevato era proibito”, spiega Matos.

 

 

Secondo la leggenda, Chan Chan fu fondata da Taycanamo, il quale arrivò dal mare.
Chan Chan era la città più grande dell’America meridionale precolombiana. I resti di questo impressionante insediamento riflettono nella sua struttura un’organizzazione politica e sociale molto rigorosa, sottolineata dalla divisione in nove ‘cittadelle’ o ‘palazzi’ che costituiscono delle unità indipendenti, distribuite su un’area di circa 6 km².

Le pareti degli edifici erano riccamente decorati con fregi raffiguranti motivi astratti e soggetti antropomorfi e zoomorfi. Attorno ai nove complessi si sviluppavano i quattro settori destinati alla produzione tessile e alla lavorazione del legno e dei metalli. Ampie aree agricole e un sosfisticato sistema di irrigazione sono stati trovati nelle zone esterne della città.

Sulla base di ciò che è noto, nel 1470 i Chimù furono conquistato dagli Inca. Il Regno di Chimor fu l’ultimo ad avere qualche possibilità di fermare l’avanzata Inca. Ma la conquista Inca fu fatta partire nel 1470 da Túpac Yupanqui, che sconfisse l’imperatore locale Minchancaman, discendente di Tacaynamo, e fu completata da Huayna Cápac quando salì al trono nel 1493.

 

 

Fonte: http://www.ilnavigatorecurioso.it

 


 

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