Nei primi anni ’50 la corsa allo spazio delle due grandi potenze planetarie, U.S.A. e U.R.S.S., era ancora agli albori. Dal punto di vista teorico, tuttavia, entrambe le nazioni avevano già ideato diversi sistemi utili per portare l’uomo oltre il confine dell’atmosfera, grazie ai progressi nella meccanica orbitale, nella missilistica e nella capacità di lavorare materiali “speciali”.
Una delle grandi sfide scientifiche e ingegneristiche fu rappresentata dal concepire un apparato propulsivo adeguato a tale missione, quindi in grado di produrre una spinta sufficiente a vincere l’enorme forza peso dei veicoli spaziali e permettere loro di raggiungere una velocità superiore alla velocità di fuga terrestre (poco più di 40.000 km/h). Inoltre, era fondamentale che il motore potesse poi continuare a funzionare al di fuori dell’atmosfera, in modo che il mezzo potesse ulteriormente accelerare e sfruttare la spinta per eseguire manovre orbitali. Si iniziarono quindi a progettare diversi endoreattori, ossia propulsori che non necessitano di un’atmosfera esterna da cui attingere parte del propellente disponendo di tutti i reagenti necessari al funzionamento stivati a bordo in appositi serbatoi. In particolare, vennero sviluppati diversi endoreattori termochimici, concettualmente del tutto simili a quelli progettati per alimentare i missili in ambito militare.
L’idea alla base di tali propulsori consiste nel convertire l’energia chimica di legame dei reagenti (ossidante e combustibile) in entalpia della miscela propellente (ossia in energia “spendibile”, ”scambiabile” dal fluido di lavoro) tramite una combustione, per poi portare i prodotti della reazione chimica ad espandere in un ugello gasdinamico (condotto convergente-divergente), trasformando l’entalpia in energia cinetica (ossia energia legata alla velocità di traslazione dei gas). Tale procedimento comporta una accelerazione dei gas e quindi, per la legge di azione-reazione della dinamica, la nascita di una forza opposta agente sul motore: la spinta.
Vennero sviluppate tre tipologie di propulsori termochimici: a propellente liquido, a propellente solido e a propellente ibrido (immagine), caratterizzati da diverse spinte prodotte e da diverse durate del processo di combustione. In tutti e tre i casi, tuttavia, vi erano problematiche legate al peso del propellente (soprattutto nel caso solido, con conseguente aumento della forza peso del veicolo) e all’ingombro dei serbatoi di stoccaggio (soprattutto nel caso liquido a causa della bassa densità dei reagenti, con conseguente aumento della resistenza aerodinamica nel volo in atmosfera). Si prefigurò, quindi, la necessità di sviluppare un’altra tipologia di motore che consentisse di ridurre la massa di propellente da stoccare a bordo e il volume dei serbatoi: ogni Kg risparmiato si sarebbe trasformato in un Kg di carico utile trasportabile e riducendo l’ingombro si sarebbe ridotta la resistenza aerodinamica nelle prime fasi di volo!
Lo sviluppo delle tecnologie legate alla fissione nucleare portò gli scienziati a pensare che l’energia atomica fosse la soluzione ottimale sulla quale progettare la nuova classe di propulsori. L’idea della propulsione nucleare aveva già preso piede negli Stati Uniti e stava venendo sviluppata sia in ambito marittimo (nel 1954 venne varato il primo sottomarino nucleare, il Nautilus) sia in ambito aeronautico, tramite il progetto NEPA (Nuclear Energy for Propulsion of Aircraft-Energia nucleare per la propulsione aeronautica) e il programma ANP (Aircraft Nuclear Propulsion-Propulsione aeronautica nucleare).
Sfruttando l’esperienza acquisita, si iniziarono a progettare i primi endoreattori termici nucleari.
Nel 1959 venne testato a terra il primo motore a razzo nucleare, il Kiwi-A (progetto “Rover”). Nel 1961, gli ottimi risultati raggiunti diedero impulso alla nascita di un programma ancora più grande e ambizioso denominato NERVA (Nuclear Engines for Rocket Vehicle Applications – motori nucleari per applicazioni ai veicoli a razzo), sotto la direzione della NASA e della AEC (Atomic Energy Comission-Commissione per l’energia atomica). I requisiti dei motori costruiti durante questo programma variarono costantemente, diventando sempre più ambiziosi in termini di spinta richiesta e di potenza termica generata.
Grazie ai continui miglioramenti, gli ingegneri arrivarono ad ipotizzare di dotare il terzo stadio del Saturn V (il missile che portò l’uomo sulla Luna) di un propulsore nucleare termico in modo tale che fosse in grado di trasportare grandi carichi e che potesse essere usato per l’esplorazione di Marte. La mancanza di fondi spinse tuttavia ad abbassare nuovamente le specifiche richieste, portando alla costruzione di motori meno potenti.
Il programma proseguì fino al 1972, quando fu cancellato dall’amministrazione Nixon per concentrare i fondi sullo sviluppo di un grande protagonista dell’esplorazione spaziale umana: lo Space Shuttle.
La tecnica.
I propulsori nucleari termici sfruttano la fissione di un atomo di alcune particolari sostanze (ossia la frantumazione forzata di un atomo e del suo nucleo) per produrre calore, utilizzato in seguito per riscaldare il propellente. Così facendo si ottiene un aumento dell’entalpia del fluido di lavoro (esattamente come nel caso della combustione negli endoreattori termochimici). Il propellente può quindi essere espanso in ugello, dove l’entalpia viene trasformata in energia cinetica. Ne risulta una accelerazione del fluido stesso e per il principio di azione-reazione una spinta agente sul motore.
La reazione di fissione è innescata tramite un bombardamento per mezzo di neutroni su alcuni atomi del materiale fissile utilizzato (normalmente uranio-235). L’impatto dei neutroni genera la frantumazione del nucleo atomico, i cui componenti urtano atomi vicini provocandone la rottura e dunque alimentando il processo. La fissione del nucleo produce principalmente due forme di energia: l’energia cinetica dei frammenti ed energia elettromagnetica (raggi gamma). Il moto dei vari frammenti generato dalla fissione si traduce in un aumento della temperatura del materiale. Per evitare che la reazione diventi incontrollata è necessaria la presenza di barre di controllo (assorbono i frammenti liberati dagli atomi inibendo la reazione) o di “moderatori” in grado di rallentare i neutroni impedendo loro di frammentare gli atomi.
Innescata la reazione, il propellente, normalmente idrogeno H2 in forma liquida o ammoniaca NH3, viene fatto scorrere sulle pareti del reattore in modo che possa asportare calore dallo stesso, grazie alla differenza di temperatura presente tra il fluido (molto freddo) e il nocciolo in cui avviene la fissione nucleare (molto caldo). Il fluido di lavoro riscaldandosi tramite questo procedimento raggiunge i 2200-2700 °C, trasformandosi in gas. Maggiore è la temperatura raggiunta dai gas, maggiore sarà la loro energia e quindi la spinta ottenuta dalla loro espansione in ugello. La limitazione alla spinta massima che tali sistemi possono fornire è quindi data dalla temperatura massima raggiungibile dal propellente senza che questa provochi il cedimento delle pareti del motore.
Quanta massa di propellente consente di risparmiare questo sistema propulsivo rispetto agli endoreattori termochimici?
Per rispondere a questo quesito è necessario introdurre un parametro molto importante per gli endoreattori: l’impulso specifico ponderale.
Tale parametro è definito come:
Dove T è la spinta fornita dal motore,mp è la portata (massa al secondo) di combustibile che transita nell’ugello e g0 è l’accelerazione di gravità terrestre. L’impulso specifico ponderale rappresenta quindi il rapporto tra la spinta fornita dal motore e il peso del propellente passante dall’ugello (che dunque “produce” la suddetta spinta). Più l’ Isp è grande, più il motore riesce a fornire spinta con una massa (quindi peso) di propellente consumata minore! I motori nucleari termici permettono di utilizzare del propellente dal basso peso molecolare (ad esempio l’idrogeno) e in quantità minore, non essendoci la necessità di innescare una combustione non serve avere ossidante e combustibile, quindi presentano un impulso specifico ponderale maggiore (≈ 845 - 1000 secondi) rispetto ai propulsori termochimici (≈ 200 - 400 secondi).
Il vantaggio dato dalla propulsione termica nucleare risulta ancora più palese inserendo l’impulso specifico ponderale nella “Rocket Equation”, ossia l’equazione che in una delle sue forme lega la variazione di velocità impartita al razzo alla massa del propellente presente a bordo.
Immaginiamo di dover impartire al razzo una variazione di velocità per una manovra orbitale pari a 10 Km/s. Nel caso di un motore termochimico a propellente liquido con Isp= 500 sec si ottiene una percentuale di massa di propellente necessaria pari all’87% della massa totale del razzo. Nel caso di un motore termico nucleare con Isp= 900 sec si ottiene una percentuale di massa di propellente necessaria pari al 67.8% della massa totale del razzo!
Come dimostrato, la propulsione nucleare è vantaggiosa tuttavia i problemi relativi alla sicurezza non vanno sottovalutati, dall’eventuale perdita di materiale fissile alla necessità di proteggere l’equipaggio dalle radiazioni prodotte nel nocciolo. Le recenti aspirazioni americane di portare l’uomo su Marte hanno comunque riacceso l’interesse verso questo tipo di propulsori. Infatti, a parità di massa di propellente, è in grado di fornire un incremento di velocità superiore rispetto ai reattori termochimici, consentendo quindi di percorrere orbite di trasferimento di durata minore tra la Terra e il Pianeta Rosso. Questo è un aspetto fondamentale, considerando soprattutto i potenziali rischi di salute per gli astronauti legati all’esposizione prolungata alle radiazioni solari.
Fonte e link dei riferimenti: https://www.difesaonline.it