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La stazione europea OGS di Tenerife.



Un recente studio finanziato dall’Agenzia Spaziale Europea ha per la prima volta dimostrato la possibilità di rilevamento e tracciamento laser di detriti spaziali durante le ore diurne, aumentando notevolmente il tempo di operatività delle stazioni dedicate a questo sempre più importante aspetto legato alle attività spaziali.

Con il procedere dei lanci della costellazione Starlink di SpaceX (60 satelliti a lancio, 12.000 previsti più eventuali 30.000 di cui oltre 500 già lanciati), OneWeb (34 satelliti a lancio, 650 previsti di cui 74 già lanciati, ma attualmente in stand-by per bancarotta) e l’appena approvato programma Kuiper di Amazon (3.236 satelliti da lanciare, di cui almeno la metà nei prossimi sei anni), l’affollamento dell’orbita terrestre sta subendo un incremento esponenziale che non potrà che peggiorare in seguito alle sempre più probabili collisioni tra oggetti orbitanti, creando una situazione di distopica chiusura dell’orbita terrestre. Qualche settimana fa infatti, con un dettagliato approfondimento sull’argomento, abbiamo analizzato la situazione attuale, le normative a riguardo e come porre rimedio al problema.







L’attività di individuazione e tracciamento dei detriti spaziali è stata finora possibile solo nelle poche ore di crepuscolo, in cui la stazione laser a terra si trova già al buio mentre l’oggetto in orbita è ancora illuminato dai raggi solari, quindi con un limitato tempo di operatività, che si riduce con l’abbassarsi dell’orbita in cui si trova l’oggetto.

Lo studio Daylight space debris laser ranging, pubblicato sulla rivista Nature e condotto da ricercatori dell’Istituto per le ricerche spaziali austriaco di Graz, del GMV presso il centro ESAC di Villanueva de la Cañada in Spagna e del centro ESOC di Darmstadt in Germania, ha dimostrato la capacità di individuare e tracciare in pieno giorno manufatti umani in orbita, grazie alla combinazione di telescopi, puntatori laser, rilevatori e filtri della luce operanti a diverse lunghezze d’onda.

«Siamo abituati al fatto che le stelle e i satelliti si possono vedere solo di notte e questo era vero anche per l’individuazione dei detriti spaziali», ha affermato Tim Flohrer, capo dell’ESA Space Debris Office. «Con questa nuova tecnologia di osservazione sarà possibile tracciare quelli che prima erano oggetti a noi invisibili in pieno giorno, il che per noi significa che potremo lavorare tutto il giorno con i laser a supporto della sicurezza dell’ambiente spaziale».

L’utilizzo della tecnologia laser SLR (Satellite Laser Ranging) per tracciare i satelliti in orbita risale al 1964 con la messa in orbita del satellite munito di specchi retroriflettenti Explorer 22. Da allora questa tecnologia ha fatto enormi progressi, aprendosi anche a individuare satelliti privi di specifici specchi retroriflettenti, arrivando a inviare impulsi di fotoni singoli ogni picosecondo (un millesimo di miliardesimo di secondo) e ottenendo una precisione nell’ordine dei millimetri con la capacità di discernere la velocità di rotazione su sé stesso dell’oggetto inquadrato. Purtroppo però, come già detto, il fattore limitante era la necessaria situazione di crepuscolo della stazione laser di terra.




Un upper stage (NORAD ID: 15772) di un vettore sovietico Proton lanciato nel 1985, ripreso il 12 aprile 2018 in pieno pomeriggio.



Durante i test effettuati dal team, ben 40 tra detriti spaziali, upper stage di vecchi lanciatori e stelle 10 volte più flebili rispetto alla visibilità all’occhio nudo, per la prima volta sono stati osservati in pieno giorno. Michael Steindorfer, dell’Istituto per le ricerche spaziali dell’Accademia delle scienze austriaca e a capo del team di ricerca si aspetta che i risultati ottenuti rendano possibile nell’immediato futuro un incremento significativo delle ore di tracciamento dei detriti spaziali.

Questo consentirà una più precisa e dettagliata conoscenza della situazione orbitale, permettendo quindi una migliore pianificazione delle manovre per evitare le collisioni.

Per effettuare i test, il team ha utilizzato un laser operante a 532 nanometri, con impulsi a 200 Hz di frequenza e potenza pari a 80 millijoule ogni 3 nanosecondi. I fotoni riflessi sono stati rilevati da un telescopio ricevitore di 50 cm di diametro e inviati a un rilevatore C-SPAD (Compensated Single Photon Avalanche Diode) in grado di filtrare i fotoni di fondo della luce diurna da quelli riflessi dall’obbiettivo.

Secondo quanto stabilito dall’ESA Space Safety programme, il prossimo passo sarà l’installazione di una nuova stazione laser presso la Optical Ground Station europea delle isole Canarie, a cui faranno seguito una serie di nuove installazioni che formeranno una rete di monitoraggio globale.



Fonti estere: https://www.esa.int
https://www.nature.com

Fonte: https://www.astronautinews.it

 


 

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