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Una landa deserta e sterile: così molti immaginano sia oggi Chernobyl, a 23 anni dal più grave incidente nucleare della storia. Sbagliato: l’ambiente intorno alla centrale è sì disabitato dagli umani, ma pullula di vita.

 

 

Ora però una ricerca mostra che le conseguenze ci sono. Non molto visibili, ma ci sono. E potenzialmente utili (guarda un po’) per l’astronautica. Nell’aprile del 1986 il reattore della centrale sovietica di Chernobyl esplose, liberando grandi quantità di polvere radioattiva che si depositarono sul territorio circostante. Alcuni isotopi, come il cesio-137, hanno un tempo di dimezzamento di molti anni, quindi sono ancora lì. L’area in un raggio di 30 chilometri è disabitata dagli umani, ma la flora e la fauna sono ancora rigogliose. Forse però le mutazioni potrebbero essere più sottili e impercettibili.

 

 

Per verificarlo, Martin Hajduch, dell’Accademia Slovacca Delle Scienze, e i suoi collaboratori hanno deciso di studiare la crescita della soia. Così hanno piantato dei semi a 5 chilometri dalla centrale e, come controllo, in una regione non contaminata a 100 chilometri, dove la concentrazione di cesio-137 è più di 160 volte inferiore. I risultati, presentati sul “Journal of Proteome Research”, mostrano anzitutto che i semi di Chernobyl sono più leggeri e più lenti nell’assorbire l’acqua. Ma non solo: ci sono anche decine di differenze significative a livello molecolare, nelle proteine. In particolare in una proteina coinvolta nella protezione degli organismi dai danni da radioattività. Fra l’altro, anche una proteina che nell’uomo riduce le alterazioni dei cromosomi nel sangue esposto a radiazioni.

 

 

Insomma, le piante di Chernobyl sembrano diventate capaci di proteggere, almeno in parte, se stesse. Ora Hajduch intende studiare le prossime generazioni di semi. Infatti comprendere come i vegetali rispondono alla contaminazione radioattiva potrebbe in futuro (tanto per fare un esempio) aiutare a selezionare varietà adatte alla coltivazione sulle astronavi per i viaggi interplanetari, sottoposte all’intenso bombardamento dei raggi cosmici dallo spazio profondo.
Marco Cagnotti

Fonte: http://plus.cdt.ch/eureka

 


 

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