Lo spreco mondiale di prodotti alimentari (dal conto sono esclusi solo pesce e crostacei) costa all'anno in termini economici 750 miliardi di dollari, pari al Pil di Turchia e Svizzera. Lo rivela il rapporto sulle conseguenze ambientali dello spreco di prodotti alimentari presentato ieri dalla Fao. Ma significativi sono anche i costi ambientali, pari ad emissioni di anidride carbonica per 3,3 miliardi di tonnellate di emissioni di anidride carbonica, il terzo contributo dopo quelli di Usa e Cina.
Il volume globale dello spreco di cibo è stimato in 1,6 miliardi di tonnellate di “prodotti primari” mentre lo spreco di cibo commestibile è pari ad 1,3 miliardi di tonnellate.
Lo spreco di prodotti agricoli, nel percorso dalla terra alla cucina, con un danno economico pari al Pil della Svizzera o della Turchia, ha un notevole impatto anche sull'ambiente e più specificatamente minando la qualità del suolo, le riserve d'acqua e la biodiversità. Di conseguenza ha effetti sui cambiamenti climatici.
In particolare l'agricoltura intensiva, che non consente periodi di riposo per i terreni, ne diminuisce la fertilità e induce all'uso di fertilizzanti chimici che provocano inquinamento e alla fine riduzione delle terre coltivabili. Secondo il report presentato ieri alla Fao dal direttore generale Jose' Graziano de Silva, nel 2007 si sono utilizzati 1,4 milioni di ettari per produrre alimenti poi andati sprecati pari al 28% del suolo agricolo mondiale e pari all'intero territorio della Federazione Russa.
Quanto all'acqua se ne spreca una quantità pari a circa 250 chilometri cubi pari, in termini di volumi, al lago di Ginevra o all'acqua che ogni anno si riversa nel fiume Volga. Quanto all'impatto ambientale la produzione di cibo che poi va sprecato determina l'emissione di 3,3 miliardi di tonnellate di Co2 cioè più del doppio delle emissioni prodotte dai trasporti stradali degli Stati Uniti. Notevoli anche i danni sulla biodiversità. Ogni anno - si legge nel rapporto Fao - 9,7 milioni di ettari di bosco vengono distrutti per produrre beni alimentari, una quantità pari al 74% della deforestazione.
Sono dati ancora più pesanti se si considera che, secondo le stime della Fao, la produzione alimentare mondiale dovrà aumentare entro il 2050 del 60% per rispondere alla domanda. Con un'ottimizzazione di produzione e consumi questa percentuale potrebbe diminuire significativamente. Per ridurre questo spreco la Fao invita l'industria alimentare a permettere ai consumatori di acquistare solo la quantità desiderata, regalare gli alimenti commestibili invendibili magari perché scaduti, introdurre per gli articoli imperfetti la definizione di alimento “accettabile” e venderla a minor prezzo.
Mentre nel mondo avanzato il grosso dello spreco deriva dagli acquisti eccessivi dei consumatori, nel terzo mondo il problema sono i sistemi inefficienti di coltivazione e magazzinaggio. In ogni caso ilo cibo sprecato ha a sua volta richiesto, per essere prodotto, 250 chilometri cubi di acqua e 1,4 miliardi di ettari di terreno.
In Italia si gettano ogni anno quasi 5 milioni di tonnellate di cibo (76 chili a persona), anche se la crisi, negli ultimi cinque anni, ha ridotto del 25 per cento gli avanzi che finiscono nel bidone della spazzatura.
Fonte: http://www.nelcuore.org
La FAO è intervenuta a proposito dei consumi alimentari e degli sprechi che ad essi sono collegati. Da un’analisi approfondita dell’argomento è risultato che un terzo del cibo prodotto nel mondo viene perduto o sprecato. Si tratta di una quantità ingente, pari a circa 1,3 miliardi di tonnellate ogni anno. Uno spreco enorme. Basti pensare che solo in Italia nel 2010 si sono buttati via 11 miliardi di euro per prodotti alimentari, che erano ancora perfettamente da consumare. Il fenomeno comunque non interessa soltanto, a differenza di quanto si potrebbe pensare, i Paesi industrializzati, ma anche i Paesi in via di sviluppo.
In realtà ci sono comunque delle differenze, di cui si dovrebbe tenere conto. Nei Paesi in via di sviluppo più del 40% degli sprechi alimentari si verifica nell’ambito del post-raccolta e nel momento della lavorazione.
Nei Paesi industrializzati, invece, la maggior parte degli sprechi si verifica nella grande distribuzione e nel consumo domestico. Per ciò che riguarda in maniera specifica l’Italia, salta in evidenza il fatto che circa il 3,2% della produzione agricola è rimasta nei campi.
Questo accade per varie ragioni. Spesso gli agricoltori ritengono che non è conveniente raccogliere i prodotti agricoli, in quanto i prezzi di mercato non basterebbero a ricompensare il lavoro svolto.
Altre volte accade che i prodotti presentino dei difetti commerciali, per cui non possono essere venduti. Tutto ciò porta a degli sprechi lungo la filiera agroalimentare, di fronte ai quali non possiamo rimanere indifferenti, perché in questo modo finiremo col renderci responsabili di consumi insostenibili per il nostro pianeta.
GR
Fonte: http://www.ecoo.it