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Non è cosa nuova, ma ormai il dado è tratto: la Russia di Putin guarda al Polo Nord e senza mezza misure getta le basi per un’ipotesi di sovranità futura.

Proprio di basi tratta. Entro il 2018 sono nove le strutture dell’aviazione navale che Mosca progetta di costruire nell’area, così da proteggere la cosiddetta “rotta artica”, via alternativa all’Oceano Indiano (e al canale di Suez) per le comunicazioni tra Asia ed Europa.

La notizia importante è lo sviluppo oltre alle già presenti basi nel Mare di Barents, anche delle infrastrutture nel Mare di Laptev, zona artica della Siberia orientale. Parliamo dell’isola di Kotelny, semplice avamposto radar ai tempi dell’URSS e poi abbandonata dai militari negli anni ’90, dove è prossima la fine dei lavori iniziati nel 2013. A breve dovrebbero seguire strutture militari nelle remote isole di Wrangel e Schmidt, finora citate solo nei documentari. È la chiusura virtuale del cerchio strategico disegnato nei mari artici della Federazione. 

Alla difesa ci pensa la cintura aeronavale della sempre più potente Flotta del Nord e il nuovo sistema dei missili S-400 dislocato a fine 2015 proprio nell’arcipelago Severnaja Zemlja.

 

 

Sono circa 250 le navi russe della flotta che con comando a Severomorsk si distribuisce nella basi comprese tra Murmansk e Nerpichya. La logica delle “città chiuse” (zakrytye administrativno-territorial'nye obrazovanija), aeree amministrate in esclusiva dalla Difesa e dall’Agenzia federale per l’Energia Atomica, ha permesso di sviluppare in piena discrezione infrastrutture aeronavali e siti ad interesse nucleare. A Gadžievo, Ostrovno, Poljarnyi, Snežnogorsk, Zaozërsk si susseguono strutture militari perno di una forza resa più temibile dal pluridecennale know how russo sulle tecnologie in ambienti polari.

La portaerei Kuznetsov con 17 Sukhoi imbarcati e 24 elicotteri è la chiave della forza strategica che comprende risorse subacquee (a Safonovo, vicino Murmansk, sono acquartierati i giganteschi Typhoon) e una componente di terra che l’ammiraglio Vladimir Korolev ci tiene a definire in crescita. La 61a Brigata di Fanteria di Marina (gli Orsi bianchi) di stanza a Pechenga dispone di unità autonome di altissimo livello professionale: su tutte l’876° battaglione paracadutisti, l’886° battaglione ricognitori e le unità di assalto anfibio a cui si affiancano unità corazzate e di artiglieria semovente in costante “addestramento artico”.

Anche il Cosmodromo di Pleseck, attivo dagli anni ’50 nella regione di Arcangelo fa parte della nuova “logica polare” russa. Col lancio nel dicembre 2014 del primo razzo Angara 5 in grado di sostituire i Soyuz è diventato l’alternativa a Bajkonur in Kazakistan per il lancio di “vettori pesanti”.

Aggiungiamo che per il 2018 sono previsti 5 nuovi rompighiaccio che farebbero riferimento ad Atomflot, la base del naviglio nucleare artico russo vicina a Murmansk.

 

 

Cosa c’è di nuovo?

Come accennato, in realtà la longa manus russa sull’artico è storia antica e non potrebbe essere altrimenti per questioni geografiche.

Esiste però una vera e propria strategia a partire dal 2007, quando il sommergibile Mir-1 (missione Arktika) ha fissato la bandiera russa a  4.000 metri di profondità sul fondo dell’Oceano Artico simboleggiando la sovranità di Mosca su una fetta consistente delle acque intorno al Polo Nord. La rivendicazione si basa sulla prova che i fondali dell’Artico costituiscono il prolungamento della piattaforma continentale siberiana.

Solo Stati Uniti, Canada, Norvegia e Danimarca (che governa sulla Groenlandia) possono vantare diritti sovrani sulle stesse acque, in quanto Paesi con affaccio artico diretto, ma finora Mosca ha proceduto a velocità tripla rispetto agli altri e con referenze obiettivamente molto più solide. Non a caso le intercettazioni di ricognitori e bombardieri russi da parte dell’aeronautica norvegese (NATO) al limite dello spazio aereo nazionale sono all'ordine del giorno.

Ma perché l’Artico e perché proprio ora?

Al di là delle rotte euroasiatiche utile ai russi per aggirare gli accerchiamenti e gli stretti in mani altrui (Bosforo e Suez), c’è da ricordare che i mari artici nascondono il 30% delle riserve mondiali inesplorate di idrocarburi e nel 2014 il numero delle navi non russe passate per la rotta del Polo Nord sono diventate 600; prima si contavano sulle dita di una mano. In considerazione dell'aumento di traffico la Russia mette le mani avanti, forte dell’idea di Putin che “quando la lite è inevitabile, meglio picchiare per primi”.

Da una parte la ricerca di nuove vie, dall’altra la ricerca di nuove energie, di fatto la battaglia per il controllo del Polo Nord è già cominciata. La Russia, armando i ghiacci, si è portata molto avanti.

(foto: Киркинесская ОБрМП СФ/Sputnik/TASS)

(di Giampiero Venturi) 11/01/2016


Fonte: http://www.difesaonline.it

 


 

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