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Come più volte scritto sulle pagine di questa testata, l’Intelligenza Artificiale (AI) rappresenta uno dei settori di maggior confronto tra i principali player globali, nella diffusa convinzione che i campi di battaglia del futuro, quando l’AI si sarà del tutto affermata, non vedranno più combattenti affrontarsi in campo aperto, ma sistemi intelligenti operare in remoto su una molteplicità di livelli e di domini.

Ma vediamo ora, partendo dal nostro principale alleato, come USA e Cina si stanno predisponendo a livello politico e istituzionale.

Il 16 ottobre 2016, poco prima della fine del suo ultimo mandato, l’Amministrazione Obama, con la pubblicazione del report “Preparing for the future of artificial intelligence”, rese nota la strategia USA nel campo dell’Intelligenza Artificiale.

Nel documento, il primo nel suo genere, fu illustrato lo stato dell’arte della AI, le sue potenziali applicazioni nei settori pubblico e privato, e presentate agli enti governativi e ai possibili attori coinvolti alcune raccomandazioni per le future iniziative da intraprendere.

 



Il report era altresì corredato da un piano strategico per i programmi di Ricerca e Sviluppo (R&D) sovvenzionati con fondi federali.

Da allora, sino alla pubblicazione dell’ordine esecutivo del presidente Trump, lo scorso 11 febbraio, poco o nulla è stato fatto a livello governativo.

Con tale atto, il presidente fornisce numerose indicazioni alle agenzie federali per investire nell'AI e per formare adeguatamente gli operatori, e rende disponibili molti dati federali e risorse informatiche per tutti quei ricercatori che operano nel campo dell’AI.

Sollecita infine l’Istituto Nazionale di Standard e Tecnologia a produrre modelli per sistemi dotati di AI che permettano la piena integrazione delle macchine.

Certamente non per caso, il giorno successivo alla iniziativa presidenziale, il Dipartimento della Difesa (DoD) ha pubblicato un compendio sulla strategia da attuare nel campo dell’intelligenza artificiale (“AI strategy”), che definisce l’approccio e la metodologia da mettere in campo per dotare le forze armate di tecnologia “intelligente”.

In particolare, il documento prevede:
- la decentralizzazione dello sviluppo e della sperimentazione;
- la formazione continua del personale;
- la graduale acquisizione di capacità operative dotate di AI per assolvere tutte le missioni chiave del Dipartimento;
- la promozione di scambi e partnership con i principali attori del mondo accademico e industriale, anche all’estero;
- la massima attenzione agli aspetti di natura etica e di sicurezza conseguenti all’impiego della AI nel settore militare.

Organo esecutivo del DoD e primo responsabile della implementazione della suesposta dottrina, da giugno dello scorso anno è il Joint Artificial Intelligence Center (JAIC), con il compito prevalente di agevolare i processi di pianificazione, la definizione della policy e assicurare la governance della trasformazione.

 



Tra i suoi compiti, figurano anche la individuazione e l’analisi delle problematiche di sicurezza legate alla implementazione della AI, ivi comprese quelle di cybersecurity, e lo studio degli aspetti di tipo etico derivanti dall’utilizzo della nuova tecnologia.

Il JAIC è complementare al Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA) e agli altri centri di studio che fanno capo al DoD, e si propone di accelerare la consegna al Dipartimento della Difesa di “AI capabilities” per svolgere un numero sempre maggiore di missioni operative, nonché di facilitare i processi di pianificazione, la governance e l’acquisizione di know out.

Anche in Cina, l’intelligenza artificiale rappresenta la cifra dell’inarrestabile progresso tecnologico, tanto da spingere Xi Jinping ad affermare che ”(la Nazione) deve porsi nella prima fila dei paesi che fanno ricerca nel campo della AI e occupare posizioni di livello nelle principali tecnologie ad essa correlate”.

Sulla scia di tale pensiero, nel luglio 2017 il Consiglio di Stato ha diffuso il “Piano di sviluppo per l’Intelligenza Artificiale di nuova generazione” (AIDP), che assieme al più noto Made in China 2025, pubblicato nel maggio 2015, costituisce l’atto principale di indirizzo nello specifico settore.

In esso, tra l’altro, si legge che la Cina “promuove ogni tipo di tecnologia AI affinché si diffonda e trovi rapida applicazione nel campo dell’innovazione della difesa nazionale.

I due documenti rappresentano l’architrave concettuale sulla quale vengono strutturate, in forma strettamente centralizzata, tutte le iniziative riferite alla AI, attraverso la generosa distribuzione di incentivi e l’adozione di politiche mirate volte ad agevolare la R&D.

Non è un caso, infatti - cito dati del 2017 - se la Cina ha già superato gli USA per volume finanziario investito in programmi legati alla AI.

In particolare, la politica di ricerca cinese risulta fortemente orientata sulle possibili applicazioni della AI nel campo militare.

Dall’Istituto Nazionale di Innovazione Tecnologica della Difesa (NIIDT) dipendono infatti due centri di ricerca militare:
- il Centro di Ricerca di sistemi senza pilota (USRC);
- Il Centro di Ricerca sulla Intelligenza Artificiale (AIRC).

Le due realtà, costituite a Pechino all’inizio dello scorso anno, dispongono ciascuna di un centinaio circa di scienziati e rappresentano due fra i centri di ricerca più grandi al mondo nel settore militare.

 



AIRC, in particolare, è impegnato nella tecnologia AI dual-use, ivi comprese le applicazioni nel campo della robotica e del macchine learning ad essa applicato, nello studio delle applicazioni di swarm intelligence, in quello delle comunicazioni wireless e nella sicurezza informatica. Con ogni probabilità, AIRC si occupa anche di attività classificate delle forze armate e dell'intelligence cinese.

USA e Cina, negli ultimi due-tre anni, si sono mossi per affrontare le sfide poste dalla AI spinti soprattutto dai progressi raggiunti dall’industria privata.

Nei due paesi, infatti, come nel resto del mondo, gran parte dei risultati è da ascriversi essenzialmente alla libera iniziativa e ai venture capital.

SenseTime in Cina e Deep Mind in USA, solo per fare un esempio, hanno rispettivamente 600 e 700 ricercatori che si occupano a tempo pieno di riconoscimento facciale nel primo caso e di ricerca nel campo della AI nel secondo: numeri impensabili nel settore pubblico, come impensabile sarebbe ottenere i successi di questi due campioni privati.

SenseTime è leader mondiale nel campo della “computer vision AI” con un incremento registrato degli utili, per il terzo anno consecutivo, del 400%.

Cinese, e privato, è pure SZ DJI Technology Co Ltd, il più grande produttore di droni al mondo.

Washington e Pechino hanno pertanto capito, con un certo ritardo, l’importanza di emanare policy nazionali di settore e di prevedere “realtà governative” con il compito di effettuare Ricerca e Sviluppo.

 



Il successo della sfida aperta tra le due superpotenze dipenderà dalla capacità di raccordarsi e governare l’industria nazionale: una sfida che vede Pechino avvantaggiata per la sua forma di governo centralizzata e per lo stretto controllo, anche in termini di accesso al credito, che opera sulle aziende nazionali.

Negli USA, al contrario, si registra una minor propensione del privato a collaborare con il Governo Federale, per la paura di vedere i margini di guadagno ridursi a causa delle possibili limitazioni alla commercializzazione di prodotti duali.

Anche le implicazioni di natura etica rappresentano un ulteriore vincolo per gli USA, assegnando alla Cina un vantaggio, non solo nel campo della ricerca ma anche in quello dello sviluppo e della successiva implementazione.

Occorre allora sperare che l’ammonimento a “evitare una corsa agli armamenti intelligenti tra i due paesi”, contenuto nel "Libro bianco sulla sicurezza dell'Intelligenza Artificiale”, pubblicato nel settembre 2018 dall’Accademia cinese per la Tecnologia dell’Informazione e delle Comunicazioni (CAICT), venga raccolto dalla leadership attuale e ottenga gli effetti sperati.

Fonte, link e note: http://www.difesaonline.it

 

 

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