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Recentemente resi pubblici dall'Istituto di ricerca per la Pace di Stoccolma (SIPRI) i dati riguardanti le spese militari a livello mondiale che nel 2018 hanno visto un aumento del 2.6% rispetto al 2017, segno ineludibile di una situazione internazionale sempre più conflittuale e che vede nella competizione geopolitica tra Stati Uniti e Cina il segno più incisivo. Per Washington l'aumento del 4.6% rappresenta la crescita più alta dal 2010, mentre il 5% della Cina, sebbene sia il dato più basso dallo storico 9.3% del 2013 in linea con il relativo rallentamento economico, rappresenta comunque un importante aumento che va ad aggiungersi a quello che è già il secondo bilancio militare al mondo dopo quello statunitense. Crescono le spese anche in Europa (1,4%), America Latina (3,1%) e Turchia (24%), mentre diminuiscono in Africa (-8,4%), Russia (-3,5%) e Medio Oriente (-1,9%).

In totale, nel 2018 si è registrato una spesa mondiale di 1.8 trilioni di dollari, il 74,7% della quale rappresentata dai primi 10 paesi della suddetta classifica. La NATO, con i suoi 29 membri, costituisce invece il 53% confermandosi ancora una volta l'alleanza militare più forte al mondo in termini di spesa militare. La classifica per singoli paesi invece, vede ancora una volta gli Stati Uniti in prima posizione con l'irraggiungibile cifra di 649 miliardi di dollari, seguiti da Cina a 250, Arabia Saudita a 67,6, India a 66,5, Francia a 63,8, Russia a 61,4, Regno Unito a 50, Germania a 49,5, Giappone a 46,6 e la Corea del Sud a 43,1.

In particolare fa riflettere l'avanzata dei paesi asiatici che oltre al Giappone e alla Corea del Sud, vede l'India, spinta da una forte crescita economica e demografica, superare ogni paese europeo per la prima volta nella storia. Sorprendente anche il caso della Russia che riduce le spese militari, perdendo così il podio.

Non cambia più di tanto invece la posizione dell'Italia, che pur recuperando due posizioni dal 2017, rimane fuori dalla top ten con una modesta spesa di 27,8 miliardi di dollari a pari livello del Brasile. Roma infatti nel corso degli 10 ultimi anni, anche e soprattutto a causa della crisi economica, ha ridotto il budget della difesa del 14%, causando numerosi dibattiti in merito. In particolare, oltre alla controversa questione dell'acquisto degli F-35, l'Italia con una spesa militare corrispondente all'1,3% del PIL nazionale, fa parte di quei paesi NATO che non raggiunge quella che è stata definita la soglia minima del 2%.

Tuttavia, se questi dati offrono una buona panoramica per individuare i rapporti di forza tra nazioni o gruppi di nazioni, vanno comunque letti sotto una prospettiva critica che prenda in considerazione altri fattori quali la demografia, il sistema economico e finanziario, l'industria bellica e manifatturiera, la coesione nazionale, la volontà e ambizione politica, la posizione geografica, il livello tecnologico e ingegneristico, il sistema di alleanze, la disponibilità di risorse naturali, e non per ultimo la qualità e l'esperienza delle forze armate. L'Arabia Saudita per esempio, nonostante sia il terzo paese in termini di spese militari, a parere di chi scrive, difficilmente potrebbe essere categorizzata come una delle principali potenze militari al mondo in quanto troppo dipendente dalle forniture militari estere (attualmente è il primo paese al mondo per importazioni belliche 1) ), che in questo modo ne inficiano l'autonomia strategica e operativa. Per non parlare della poca esperienza in teatri di guerra e delle dubbie capacità combattive, messe alla luce anche nell'attuale conflitto in Yemen.

Inoltre, come chiaramente dimostrato dalla rivista Defence News, vi sono problematicità anche nel metodo di calcolo usato dall'Istituto svedese basato sulla conversione in dollari. Questo sistema infatti può trarre in inganno, come nel caso russo in cui le acquisizioni di materiale bellico avvengono perlopiù all'interno del territorio nazionale e quindi senza l'uso del dollaro statunitense. Da qui, secondo l'autore dell'articolo, la necessità di calcolare le spese militari a parità di potere di acquisto, il quale nonostante certe problematiche, garantisce comunque un quadro più chiaro e veritiero.

Ergo il budget della difesa russo sarebbe molto più grande, arrivando orientativamente alla cifra di 150-180 miliardi di dollari, e quindi terzo al mondo, di gran lunga superiore a quello di qualunque altra potenza europea 2). D'altronde, mal si concilia la relativa bassa spesa militare calcolata dal SIPRI con l'ingente numero di uomini e mezzi militari, convenzionali e nucleari, a disposizione di Mosca.

Oltre al discutibile metodo di calcolo, un ulteriore fattore da considerare riguarda proprio come le spese militari vengono impiegate, essendo certi paesi, come la Russia, più proni a investire in addestramento del personale e ricerca tecnologica rispetto ad altri paesi europei, spesso accusati di spendere male e in settori poco utili alle capacità combattive delle forze armate. Senza considerare le potenziali spese “non rese pubbliche” e che quindi non rientrano nei calcoli dell'Istituto di Stoccolma.

Di conseguenza, un bilancio della difesa più grande non si traduce necessariamente in una maggiore forza militare, ma andrebbe analizzato tenendo conto di tutti gli elementi sopra elencati. Se dunque tale classifica non può darci un quadro del tutto chiaro dei rapporti di forza, ci offre comunque un necessario punto di partenza a livello quantitativo per una successiva e più accurata analisi di livello qualitativo.

L'unico elemento certo è che in un mondo che aumenta le spese militari, l'Italia sarà sempre più inadeguata e sempre meno credibile nell'affrontare minacce e sfide internazionali.

di Stefano Marras, 8 maggio 2019.

Fonte: http://www.difesaonline.it

Il documento del Sipri: https://www.sipri.org

 

 

Note:

1) https://www.army-technology.com

2) https://www.defensenews.com










 

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