Nel 1935 l’ambizione mussoliniana “di chiudere i conti” con l’Etiopia e ricavare sul Mar Rosso un piccolo (e poco redditizio) “posto al sole”, assunse l’imprevista dimensione di un affronto intollerabile all’impero britannico. Nonostante i tentativi di mediazione diplomatica e un’iniziale apertura – l’accordo del 7 gennaio 1935 con il ministro francese Pierre Laval, l’incontro di Stresa nell’aprile, le conversazioni tripartite Eden-Laval-Aloisi nell’agosto e la proposta Hoare-Laval nell’autunno – le posizioni si irrigidirono. Allo scatenarsi del conflitto, il 3 ottobre 1935, l’opinione pubblica albionica, sull’onda di una formidabile offensiva mediatica si convinse – dimenticando come il rosa del British Empire colorasse buona parte dei mappamondi – che l’Etiopia, sino ad allora considerata un trascurabile e semi barbarico reame africano, fosse una “causa della democrazia”. Da qui, il 7 ottobre, l’imposizione all’Italia, tramite la Società delle Nazioni, delle “inique sanzioni” commerciali e finanziarie. Sulla carta misure draconiane, nella realtà “l’assedio sanzionista” si dimostrò un vero colabrodo che l’Italia riuscì ad aggirare con facilità anche per la scarsa fede “societaria” e l’avidità di molti Stati firmatari.
Malvolentieri il governo di Stanley Baldwin dovette limitarsi a “gonfiare i muscoli” inviando il 22 agosto la Home Fleet prima a Malta e poi ad Alessandria, Haifa e Port Said. Si trattò di una dispendiosa quanto inutile partita a scacchi. Nel gennaio 1936, al culmine della crisi, le forze britanniche nel Mediterraneo ammontavano a 5 navi da battaglia, 2 incrociatori, 2 navi portaerei, 7 incrociatori pesanti e 9 leggeri, 60 cacciatorpediniere e 17 sommergibili, mentre altre unità – un incrociatore pesante e 4 leggeri, 7 cacciatorpediniere e 4 sommergibili – erano dislocati ad Aden e nell’Oceano Indiano.
A fronte del minaccioso dispiegamento albionico la Regia Marina, seppur inferiore per navi da battaglia ma con un certo margine di superiorità nel naviglio silurante e nei sommergibili, si preparò al peggio con un piano che prevedeva lo sbarramento del canale di Sicilia, la neutralizzazione di Malta, il blocco dello stretto di Bab el Mandeb sull’Oceano Indiano e un duplice colpo di mano su Suez: uno sbarco a Port Said del reggimento San Marco e, contemporaneamente, un attacco aeronavale su Suez. Fortunatamente la rapida vittoria italiana consentì di archiviare il dossier abissino ma la kriegsspiele navale continuò pericolosamente sino alla caduta di Addis Abeba e la proclamazione dell’impero; nell’aprile ’36, le squadre di Taranto e La Spezia presero il mare per una manifestazione di potenza ma i britannici, per nulla intimoriti, attesero sino al 9 luglio, all’indomani della revoca delle sanzioni, per ritirare la Home Fleet dal Mediterraneo.
Intanto grazie a Teseo Tesei e Elios Toschi, giovani ufficiali del Genio navale – erano ripresi anche gli studi sui mezzi insidiosi. A partire dal 1934 i due s’intestardirono – memori dell’incursione della “mignatta” a Pola nel 1918 – a ragionare su un’arma rivoluzionaria: il siluro a lenta corsa, per gli addetti ai lavori semplicemente il “maiale”.
Nell’estate 1935, con l’approssimarsi della crisi italo-britannica, il progetto di un mezzo subacqueo capace di penetrare furtivamente nelle basi nemiche e affondare le navi alla fonda – uomini contro corazzate: la riedizione nostrana del Davide contro Golia – fu presentato ai vertici dell’Istituzione. Dopo lunghe discussioni e molti dubbi i navarchi romani (assai conservatori) autorizzarono i geniali ingegneri a costruire dei prototipi e addestrare un pugno di operatori. Purtroppo si trattò di una falsa partenza: all’indomani della conclusione del conflitto africano lo Stato Maggiore sospese il programma e smobilitò il gruppo di lavoro di Toschi e Tesei. Un grave errore.
Intanto il 17 luglio 1936 l’esercito spagnolo, appoggiato dai partiti nazionalisti, era insorto contro il governo repubblicano e filo comunista di Madrid. Da subito Mussolini, abbacinato dalla facile vittoria sull’Etiopia, offrì il suo appoggio agli insorti inviando armi, soldati e – con discrezione, visti i segreti compiti – sommergibili. Ai suoi occhi una mossa necessaria per inglobare una Spagna filo fascista nel nuovo ordine mediterraneo a trazione italiana, ridimensionare il parallelo intervento della poco amata Germania hitleriana nell’intricatissimo casino spagnolo e costringere la Gran Bretagna ha riconoscere definitivamente all’Italia l’ambito status di grande potenza. Come è noto, nulla andò come previsto. Ma questa è un’altra storia.
A sua volta Regia Marina vide in quella guerra “piratesca”, tesa a colpire occultamente i rifornimenti marittimi alla repubblica provenienti dall’Unione Sovietica, un’ottima occasione addestrativa e dal novembre 1936 inviò ripetutamente le sue unità, prive di segni di riconoscimento, nelle acque spagnole. Il 24 agosto 1937 fu il turno di Borghese al comando dell’Iride. Arrivato nella zona assegnata, tra Ibiza e Capo Sant’Antonio, il sommergibile attaccò senza successo diversi mercantili “rossi”; la sera del 30 Borghese avvistò una sagoma di una nave da guerra che identificò come un caccia repubblicano della classe Barzcaitegui. Si trattava invece dell’inglese Havok in pattugliamento assieme ad altre quattro unità. Il comandante si portò a 700 metri e ordinò il lancio di un siluro da 450 mm ma la scia fu avvistata in tempo e l’Havock virò, evitandolo di stretta misura. Come racconta il grande storico navale Giorgio Giorgerini nel suo Uomini sul fondo (Mondadori): “L’unità britannica si mise subito in caccia e l’Iride s’immerse rapidamente iniziando una manovra di disimpegno. Alla caccia si erano intanto unite le altre navi che sottoposero l’Iride a ben nove ore di caccia con il lancio di bombe. Comunque Borghese riuscì infine a disimpegnarsi e a portare l’Iride, pur con qualche danno, alla sua base”.
Ne conseguì un incidente internazionale che imbarazzò non poco il governo romano. Al suo ritorno Borghese venne messo ufficiosamente agli arresti e portato a Roma dove, con sua grande sorpresa, fu decorato con la medaglia di bronzo. Cos’era successo? Dopo un’iniziale sfuriata Mussolini aveva compreso che gli inglesi, attenti agli equilibri politici, non intendevano insistere sull’episodio e per di più, molto sportivamente, avevano apprezzato la conduzione dell’attacco. Quindi il combattivo comandante andava lodato e premiato.
Nel frattempo il duce decise di sospendere l’offensiva subacquea e aderì, con notevole faccia tosta, all’accordo multilaterale di Nyon per il controllo e la repressione della pirateria. Una mossa distensiva che però fece infuriare il governo nazionalista e, soprattutto, il generalissimo Franco. Alla fine per salvare capra e cavoli, Mussolini optò per l’ennesimo sotterfugio e cedette quattro sommergibili a Franco. Inalberata la bandiera nazionalista, gli equipaggi italiani vennero incorporati nella Legione straniera spagnola e si diede inizio alle operazioni dei sommergibili “legionari”.
A Borghese fu data così una nuova occasione. Di nuovo al comando dell’Iride, prontamente rinominata Gonzales Lopez, nel settembre 1937 raggiunse la base di Soller presso Palma di Maiorca e riprese la sua caccia (con modesti risultati a causa delle restrittive regole d’ingaggio fissate a Nyon). Ciò nonostante in quei mesi spagnoli il principe fu nuovamente protagonista di un altro giallo internazionale. Il 3 ottobre il cacciatorpediniere inglese Basilisk subì un attacco sottomarino a stento sventato, e la stampa internazionale accusò nuovamente l’Italia che smentì vigorosamente. Secondo i rapporti della Marina i mezzi erano in cantiere in patria o all’ormeggio a Soller, dunque…
Resta il fatto che proprio Borghese nel suo libro Los diablos del mar, pubblicato in Spagna nel 1968, rivendicò l’azione aggiungendo di essere stato sottoposto ad una lunga caccia con bombe di profondità, tanto da registrare due morti e quattro feriti tra gli uomini del suo equipaggio. Nonostante le perduranti smentite dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Giorgerini ricorda che: “L’uomo aveva certo delle doti di straordinarietà e anche una predilezione per azioni segrete tacite, silenziose. I documenti d’archivio sono importanti però per quanti eventi non sono mai esistiti, sono stati fatti scomparire, sono stati artefatti, ne sono stati creati dei sostituti, sono stati manomessi?”. L’affare Basilisk rimane così l’ennesimo segreto nell’enigmatica storia del Comandante.
Fonte: https://it.insideover.com