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Come risponderà la Cina al ritiro degli USA dal trattato ABM.

Bush ha deciso di ritirare gli Stati Uniti dal trattato ABM stipulato con la Russia. Le maggiori conseguenze strategiche ricadono però sulla Cina. Il rischio di una nuova corsa agli armamenti nucleari.

 

Nell'immagine qui sopra un missile anti-missile.



Il 13 dicembre il Presidente degli Stati Uniti George W. Bush ha annunciato che gli Stati Uniti si ritireranno unilateralmente dal trattato Anti Ballistic Missile (ABM) del 1972. Il Presidente russo Vladimir Putin ha mantenuto un atteggiamento molto tranquillo limitandosi a definire la scelta americana un errore. Questo atteggiamento remissivo da parte russa era prevedibile dato il forte miglioramento dei rapporti con gli Stati Uniti segiuto alla creazione della coalizione contro il terrorismo di cui Mosca è un membro fondamentale. Il governo Bush aveva fatto capire chiaramente che pur di portare avanti il progetto della Ballistic Missile Defense - BMD (comunemente chiamato "scudo stellare" , n.d.r.) sarebbe stato disposto anche ad una frattura con la Russia.

Opporre un'opposizione meramente di facciata è probabilmente la scelta migliore che il governo Putin poteva fare; in questo modo non solo non rischia di rompere il nuovo asse Mosca-Washington ma guadagna un "credito" da parte americana che potrà essere capitalizzato al momento giusto e dove si renda più opportuno (magari rispetto alla questione cecena). Questa scelta si inserisce perfettamente nella "politica della concessione" che Mosca ha deciso di adottare riguardo alle questioni militari ritenute particolarmente importanti dal governo Bush, come l'allargamento della NATO ai Paesi Baltici.

Nonostante gli Stati Uniti sembrino propensi alla politica dell'alleato "usa e getta" riguardo ai membri occasionali delle alleanze ad-hoc che creano ogni qualvolta debbano intervenire direttamente in situazioni di crisi, la Russia può ritenersi al sicuro dal rischio di una eventuale "amnesia" americana nei suoi confronti una volta conclusa la guerra al terrorismo. Mosca può infatti ancora contare su un notevole peso politico-militare e su una vasta area d'influenza in regioni non certo prive di interessi americani quale quella caucasica.

In ogni caso, dato lo stato attuale del programma BMD, il dispiegamento di un sistema pienamente operativo richiederà ancora alcuni anni (anche se Bush continua a premere perchè venga dispiegato entro il suo mandato in modo da consegnarlo ad una eventuale governo democratico in uno stato troppo avanzato per essere interrotto), se poi il sistema dovrà essere anche realmente efficace la Russia potrà contare su un periodo di almeno dieci anni senza che la sua capacità di deterrenza nucleare ne venga minimamente compromessa. Anche con la prevista riduzione dell'arsenale strategico nucleare russo, i 1.500-2.000 missili intercontinentali che Mosca avrà comunque a disposizione le consentiranno di mantenere la capacità di colpire in modo devastante gli Stati Uniti nonostante le difese BMD , mantenendo pressochè intatto l'equilibrio strategico tra i due paesi.

 

Nell'immagine qui sopra dei missili balistici cinesi.



Chi ci rimette è la Cina.

Lo scenatrio si presenta drasticamente diverso per la Cina. Pechino, nonostante non sia parte al trattato ABM, ne ricavava vantaggi strategici fondamentali e pertanto la sua risposta non potrà essere semplicemente verbale. Pechino sembra aver rinunciato a sollevare una polemica con gli Stati Uniti su questo tema e, d'altronde, se la stessa parte lesa, la Russia, non è intenzionata a battersi per salvare il trattato, un intervento troppo pesante della Cina nel dibattito potrebbe essere visto con sospetto e risultare addirittura controproducente. Ma il silenzio cinese non significa che Pechino non segua con attenzione e preoccupazione lo sviluppo del programma americano che dopo la recente promozione dell'organizzazione incaricata dello sviluppo del programma (la BMDO, Ballistic Missile Defense Organization) allo status di agenzia governativa (MDA, Missile Defense Agency), ha ricevuto un forte impulso.

Per anni la Cina ha basto il suo deterrente nucleare su un limitato numero di missili balistici: circa 20 Dong-Feng 5 con testata singola da 5 megatoni, in grado di raggiungere gli Stati Uniti continentali, ma che necessitano di una lunga preparazione al lancio (le testate nucleari, conservate separatamente, devono essere montate sul missile, il quale, essendo a propellente liquido, deve essere rifornito prima del lancio). Inoltre questi missili sono posizionati in silos e quindi rappresentano un obiettivo fisso la cui unica difesa è rappresentata da un certo numero di siti fasulli costruiti con l'intento di sviare parte delle forze attaccanti. Se si prova a ragionare negli stessi termini con i quali si confrontavano le forze americane e quelle sovietiche nel periodo della guerra fredda risulta evidente che le forze nucleari cinesi sono facilmente eliminabili da un "first strike" americano, mentre un attacco a sorpresa cinese (oltre che assurdo visto che non riuscirebbe mai a distruggere l'arsenale strategico USA a causa delle esigue forze disponibili) potrebbe fallire, poichè Pechino non dispone di missili costantemente pronti al lancio. Il deterrente cinese si basa sul concetto di risposta "counter value", costringendo l'attaccante a considerare la possibilità che almeno un missile cinese possa sopravvivere al first strike ed essere diretto contro una delle proprie città.

Il sistema BMD che gli Stati Uniti si accingono ad impiegare non offrirà per molto tempo a venire la capacità di intercettare tutti i missili che uno "stato canaglia" (e suicida) potrebbe voler lanciare contro il territorio americano, ma probabilmente sarà in grado di fermarne un minimo quantitativo, soprattutto se a testata singola. Con ciò risulta annullata anche dal punto di vista teorico la capacità di deterrenza nucleare cinese nei confronti degli Stati Uniti (mentre quella di Mosca che dispone di molti missili a testata multipla rimane intatta).

 

Nell'immagine qui sopra un sottomarino lanciamissili cinese classe Xia.



Più missili per Pechino.

Considerando la situazione in termini sempre puramente strategici, l'unica risposta possibile da parte cinese sarebbe quella di una corsa agli armamenti per superare con il numero le capacità tecnologiche americane, costruendo quella "grande muraglia di missili" che Pechino aveva minacciato durante i primi test del programma americano. Il processo di modernizzazione dell'arsenale nucleare cinese, iniziato nel 1980, è stato finora lento e sporadico; questo è dovuto probabilmente alla volontà politica di non investire ingenti risorse in questi sistemi finchè la deterrenza è comunque assicurata. Anche durante l'amministrazione Clinton, il governo americano ha proseguito con lo sviluppo di un sistema di difesa anti-missile, ma si trattava di un programma limitato, volto più a preservare gli investimenti effettuati in questo tipo di ricerca fin dall'avvio del programma SDI di Reagan. Era in sostanza di un "contentino" per le industrie della difesa, e pertanto non rappresentava una seria minaccia all'equilibrio strategico.

Il programma condotto dall'attuale governo Bush prevede invece il dispiegamento di un sistema che dovrebbe essere in grado di colpire i missili lanciati contro gli USA e i loro alleati in ogni momento del volo, dal lancio al rientro della testata verso il bersaglio, impiegando un complesso di sistemi diversi coordinati tra loro. La prospettiva di perdere ogni capacità di deterrenza nucleare potrebbe spingere la Cina ad investire suo malgrado in un migliore e più numeroso strumento nucleare. Pechino possiede le capacità tecnologiche e le risorse sufficienti ad ammodernare il suo arsenale ad un livello sufficiente a mantenere una capacità di deterrenza anche nei confronti degli Stati Uniti. La nuova generazione di missili Dong Feng 31 e Dong Feng 41 a propellente solido (ancora in fase di test) possono essere basati su piattaforme mobili e saranno quindi molto più difficili da individuare e distruggere, inoltre questi vettori saranno in grado di portare testate multiple. All'unico sottomarino cinese armato con 12 missili nucleari Ju-Lang 1, (lo Xia) potrebbero poi affiancarsene altri armati con i più moderni Ju-Lang 2. Il numero di sistemi che la Cina dispiegherà nei prossimi anni dipenderà da quanto verrà percepito efficace il sistema BMD americano.

Si può verosimilmente ritenere che il quantitativo di ICBM (Missili Balistici Intercontinentali, n.d.r.) cinesi crescerà almeno di dieci volte entro i prossimi 10-15 anni. Sarebbe un errore credere che Pechino avrebbe comunque accelerato lo sviluppo e la produzione di armi nucleari, a prescindere dal sistema voluto da Bush; lo testimoniano le scarse risorse finora assegnate dai cinesi a questi programmi. Pechino dovrà schierare un quantitativo di missili superiore a quelli intercettabili dalle difese USA, considerando anche le perdite di un eventuale attacco a sorpresa, lo esige la logica della deterrenza, pena una perdita di potere politico.



Le possibili conseguenze.

Le ricadute di questa corsa agli armamenti potrebbero avere conseguenze pesanti per la sicurezza della regione asiatica e del Pacifico e causare pericolosi malintesi tra Stati Uniti e Cina riguardo alle rispettive intenzioni strategiche. Riguardo alla sicurezza e stabilità regionale, l'espansione dell'arsenale nucleare cinese potrebbe provocare una risposta dello stesso tipo da parte indiana, che a sua volta forzerebbe il Pakistan a reagire con il risultato di una espansione della proliferazione missilistica e nucleare nell'Asia del Sud. L'aumento delle forze nucleari di Pechino potrebbe essere colto dal Giappone (che sembra propenso al riarmo e a voler giocare un ruolo più attivo nella politica internazionale), come un'occasione per rivedere la sua politica di rinuncia alle armi nucleari, considerando anche il fatto che Tokio è non poco infastidita dal programma missilistico e nucleare della Corea del Nord.

Inoltre con il ritiro americano dal trattato ABM, l'intero sistema di trattati relativi alla non proliferazione nucleare è a rischio. Negli ultimi anni la Conferenza sul Disarmo non è riuscita ad organizzare gruppi di lavoro per il FMCT (Fissile Material Cutoff Treaty) a causa dell'impossibilità di giungere ad un accordo tra Washington e Pechino. La scelta americana non incoraggia certo un avvicinamento delle posizioni dei due paesi su questi temi e se il FMCT o il CTBT (Comprehensive Test Ban Threaty) dovessero fallire tutta la struttura su cui si basa la non proliferazione nucleare potrebbe crollare.

Fonte: http://www.equilibri.net

 


 

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