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Diversi notiziari e bollettini finanziari tedeschi riportano le forti dichiarazioni di Ansgar Belke, direttore di ricerca nell’Istituto tedesco per la Ricerca Economica (DIW – Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung): in perfetto accordo con i tempi, l’economista ha valutato che “legalmente, un’uscita volontaria dall’unione monetaria è possibile”.

 

 

Belke è entrato nei dettagli dicendo che “in primo luogo, il marco tedesco dovrebbe essere reintrodotto come unità di conto, con un cambio fisso [rispetto all'euro] per circa un anno. Durante tale periodo, l’euro rimarrebbe la moneta ufficiale mentre verrebbero stampate e coniate [rispettivamente] nuove banconote e monete, destinate a circolare [legalmente] l’anno successivo. Tutte le monete e le banconote in euro sarebbero quindi abolite e l’euro diventerebbe a sua volta una unità di conto. Nell’ultima fase, il cambio valutario tra le due monete sarebbe sospeso, e il marco tedesco ritornerebbe nuovamente indipendente”.

Benché Belke ci stia spiegando come si potrebbe, a suo avviso, abbandonare l’euro, non è favorevole a queste misure.

Alfonso Tuor, economista e vicedirettore de Il Corriere del Ticino, già in colloquio con MoviSol sulle frequenze di Radio Padania, si è spinto oltre. In un’intervista per l’EIR, ha sostenuto che “l’uscita della Germania dall’euro deve avvenire dalla sera alla mattina. Non si può fare in un anno; deve essere fatto dalla sera alla mattina, o in un fine settimana. L’annuncio deve essere dato a sorpresa, per esempio dicendo: ‘Avete tempo 30 giorni per convertire i vostri euro in marchi tedeschi, e decidere se volete che il vostro debito sia denominato in marchi o in euro’… Deve essere fatto come Nixon fece con l’oro”.

La questione del changeover fisico tra le monete è irrilevante, per Tour. “Il denaro circolante è davvero poco. Le masse monetarie sono principalmente elettroniche”. Il cambio tecnico tra banconote “è un gioco da ragazzi”, da potersi fare successivamente.

Tuor è convinto che la Germania uscirà dall’unione monetaria nel giro di 2-3 mesi, “o anche in un mese”. Infatti, nel sistema finanziario “sta venendo giù tutto”. Ha poi aggiunto: “Non vedo chi possa intervenire” per fermare questo processo. Il crollo dei mercati azionari sta dando altri effetti, nello svalutare i collaterali delle banche. È una reazione a catena.

“Sono convinto che la partecipazione della Germania nel pacchetto di salvataggio sia il prezzo pagato da quella nazione per uscire dall’euro”, ha concluso. In altre parole, presto la Germania dirà: abbiamo già dato, ma ora è finita. Torniamo al marco.

Fonte: www.movisol.org





Costretta a fare i conti con una crisi sempre più conclamata, l’Unione europea si prepara alla messa a punto del più ambizioso piano di ristrutturazione debitoria di sempre. Dalle tragedie greche alle sommesse ballate irlandesi, passando per i noti guai iberici e i fardelli contabili italiani, i programmi “lacrime e sangue” cui tutti sembrano ormai rassegnati potrebbero non bastare. E il traguardo della definitiva ripresa potrebbe coincidere con l’affermazione di uno scenario a dir poco sconvolgente: la fine del sistema monetario europeo per come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi.

A lanciare l’allarme è stato niente meno che Joseph Stiglitz, non esattamente un osservatore qualsiasi. Secondo il premio Nobel per l’Economia 2001, quello intrapreso dai governi europei rischia di essere un viaggio senza ritorno. Almeno per la moneta unica. La situazione è grave, anzi, gravissima e i piani di austerity contabile, per quanto necessari, potrebbero rivelarsi controproducenti scatenando una recessione destinata a dilagare nell’intero continente. Da qui la clamorosa soluzione: l’addio alla moneta unica da parte della Germania, principale economia di Eurolandia, e il salutare abbandono a una conseguente e provvidenziale svalutazione dell’euro per gli altri Paesi.

Le tesi di Stiglitz, inserite nella prefazione alla nuova edizione del suo ultimo libro Freefall e rivelate in esclusiva dal Sunday Telegraph, sono a dir poco dirompenti. In pratica si tratterebbe di chiudere i conti con il modello di moneta unica conosciuto fino ad oggi abbattendo una volta per tutte quella che per molti Paesi rappresenta un’incrollabile certezza: la necessità di una valuta forte. L’ipotesi sembra folle ma a conti fatti nemmeno troppo illogica. Dopo aver soccorso il suo sistema finanziario (sborsando all’incirca 4mila miliardi di euro), l’Unione non può più fare a meno di ristrutturare i suoi conti. Il piano, che prevede forti manovre correttive per le nazioni caratterizzate da un rapporto debito/Pil superiore al 60%, appare però destinato a rinviare la ripresa a data da destinarsi.

E’ la solita vecchia storia della coperta troppo corta. Si tira per un verso – taglio alla spesa e pressione fiscale – allo scopo di adeguare i conti ma, così facendo, si lascia scoperta l’economia reale abbattendo i consumi e favorendo la recessione. Per ovviare al problema, almeno in parte, si dovrebbero tagliare i tassi per svalutare così la moneta e sostenere le esportazioni ma nell’ambiente attuale, caratterizzato da un costo del denaro prossimo allo zero, i margini di manovra nell’area euro restano ridottissimi. Una realtà di cui è ben consapevole il Fondo Monetario Internazionale che, in un rapporto pubblicato in questi giorni, ha sottolineato come le politiche di austerity perseguite oggi da tutte le economie avanzate siano destinate a provocare effetti positivi nel lungo periodo ma anche più negativi del solito nel breve. Una profezia difficile da smentire.

La moneta unica, lascia intendere Stiglitz, non rappresenta più in modo coerente un’Europa sempre più eterogenea. Mentre la Germania si avvia chiudere l’anno con il tasso di crescita più elevato dai tempi della riunificazione (+3,3% secondo il Fmi), nazioni come Spagna e Irlanda tendono ormai apertamente al collasso. La Spagna in particolare, spiega il premio Nobel, «rischia di entrare in quella spirale perversa che aveva caratterizzato l’Argentina nel decennio passato» prima che quest’ultima decidesse di abbandonare l’aggancio con il dollaro per tornare successivamente a crescere. Un’esperienza replicabile da qusta parte dell’oceano solo con un euro debole. A meno che qualcuno non rispolveri prima dracme e pesetas…

Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it

 


 

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