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Durante la guerra fredda, mentre Stati Uniti e Unione Sovietica stavano guardando allo spazio come una nuova frontiera di competizione, c’era un’altra corsa, meno ampiamente pubblicizzata, che si combatteva nelle profondità del mare. In quegli anni la ricerca si concentrò sulla capacità dell’Uomo di trascorrere lunghi periodi all’interno di habitat subacquei, conducendo esperimenti medici e oceanografici. Erano i tempi in cui il comandante Cousteau ci accompagnava con i suoi documentari alla scoperta del mondo silenzioso.



I progetti Ichthyander
Nell’Unione Sovietica un gruppo di privati, membri del club subacqueo amatoriale Ichthyander, ispirati dagli habitat subacquei sperimentati da Jacques Cousteau, nell’agosto del 1966, intraprese a Donetz, Crimea, un effettuò un primo test di lunga permanenza sott’acqua presso Tarkhankut Cape. Si trattò di una attività puramente amatoriale, denominata Ichthyander-66 (foto apertura), in cui un uomo trascorse tre giorni sott’acqua in un habitat di soli sei metri cubi. L’illuminazione naturale era garantita da quattro oblò in plexiglass del diametro di 20 cm. All’interno vi erano due cuccette, una sopra l’altra, un tavolino con un telefono, una rivista, effetti personali, e l’attrezzatura subacquea riposta vicino all’uscita. La ventilazione forzata permetteva agli acquanauti di fumare, liberando efficacemente l’ambiente dalle impurità nocive; l’elettricità e l’aria erano fornite da cavi e tubi flessibili collegati con la riva mentre acqua dolce e viveri venivano riforniti da altri subacquei dalla superficie. Inutile dire che questa notizia curiosa si diffuse rapidamente, attirando l’attenzione delle autorità e degli scienziati governativi. Visto il successo dell’esperimento, l’anno successivo l’habitat fu riutilizzato per due settimane; la strada era aperta e gli esperimenti si ripeterono con l’Ichtyander-67 e 68, quest’ultimo sviluppato sempre in Crimea nell’agosto 1968. Gli equipaggi ruotarono più volte e ci furono anche due donne, Maria Barats e Galina Guseva, le prime acquanaute dell’URSS, che parteciparono al progetto Ichtiander-67 (foto seguente).



L’Ichtyander-68 differiva dai precedenti per essere una struttura iperbarica mobile abitativa che poteva ospitare quattro acquanauti (i primi furono V. Skuby, Yu. Sovetov, E. Spinov, S. Hatset-Lalko). Il laboratorio incominciò a lavorare alla profondità di 10 metri (B. Laspi, Crimea), testando attività di perforazione del fondo con sistemi di azionamento pneumatico. Questo esperimento, integrando i risultati degli studi sull’adattamento umano in condizioni di saturazione sotto pressione, dimostrò la possibilità di utilizzare un laboratorio sottomarino per sviluppare delle piattaforme lavorative subacquee. Il progetto del modello successivo, l’Ichhtiander-69, includeva un sistema autonomo di supporto vitale e due camere iperbariche per la decompressione degli acquanauti a bordo. Sebbene gli esperimenti precedenti fossero stati promettenti, il 69 non fu però realizzato per l’opposizione degli organi amministrativi governativi. Da quel momento gli esperimenti del progetto Ichhtiander furono dedicati alla sperimentazione di come aumentare fisiologicamente la permanenza di una persona sott’acqua, sperimentando nuove attrezzature personali, vere e proprie tute spaziali. Dopo aver testato i sistemi nell’agosto del 1970 (Penisola di Tarkhankut, Crimea) furono effettuate due immersioni durante le quali l’acquanauta Motsebeker-Opsha restò sott’acqua (ad una profondità tra i 5 e i 10 metri ad una temperatura dell’acqua di 17-21,5 °C) 26 ore 15 min. In seguito l’aquanauta S. Khatset-Lalko arrivò addirittura a 37 ore 40 min. Gli acquanauti mantenevano un livello normale di prestazioni mentali e fisiche, potevano dormire in assenza di gravità idraulica, svolgere una determinata quantità di lavoro, mangiare, ecc. Le riscontrate deviazioni funzionali furono associate all’isolamento sensoriale e all’ipotermia.



I progetti Sadko.
Oltre a questi progetti di habitat sottomarini privati, esperimenti simili furono condotti anche a livello statale. Nel 1966 fu lanciato il primo laboratorio sottomarino statale con il nome di “Sadko” 1). L’habitat aveva la forma di una sfera con un diametro di tre metri ancorata sul fondo del mare. Una linea telefonica collegava i due abitanti della casa sottomarina con il mondo esterno. L’aria era fornita dall’esterno attraverso un sistema di ventilazione supportato da un dispositivo di equalizzazione della pressione. Il primo esperimento fu fatto su animali fino ad una profondità record di 35 metri. Poi si passò alla sperimentazione umana. I primi due acquanauti rimasero sott’acqua per circa sei ore, seguiti da una rotazione continua di otto equipaggi. Alcuni anni dopo, fu costruito il secondo laboratorio sottomarino, “Sadko-2” (foto). Più spazioso, comprendente due scomparti sferici contenenti ambienti di lavoro, un bagno ed una dispensa. Durante l’esperimento, due scienziati restarono ad una profondità di 25 metri, lavorando per sei giorni. Ufficialmente dedicato allo studio della medicina iperbarica, si pensa che nascondesse in realtà anche un fine militare: verificare la possibilità di posizionare degli habitat subacquei sui cavi di comunicazione sottomarini con lo scopo di spiare le conversazioni transcontinentali. Nel 1969, gli scienziati svilupparono il terzo habitat, “Sadko-3”. Questa volta, l’habitat era composto da più elementi, con una migliore abitabilità. Sebbene il progetto si concluse con successo, a livello statale fu deciso di sospendere ulteriori sperimentazioni.



Il Progetto Sprut.
Tra gli esperimenti condotti in quel periodo va menzionato l’habitat “Спрут” (Sprut) che fu installato il 14 giugno 1967 in Mar Nero. Tre subacquei, membri del club cittadino Dosaaf “Dolphin”, Alexander Korolev, Victor Shabalin e William Muravyev, costruirono uno strano pallone, che chiamarono Sprut (Kraken), costruito in maniera artigianale nell’area di Kara-Dag, dove vivevano e conducevano ricerche oceanografiche per il Research Institute of Fisheries and Oceanology. Sprut fu la prima struttura pneumatica subacquea dell’Unione Sovietica e potrebbe essere definita come un aerostato subacqueo. In pratica si trattava di una guaina a tenuta di gas, composta da tre strati di tela e uno di tessuto alluminizzato gommato che offriva durata e isolamento termico. Quando riempito di aria la parte superiore dell’habitat assumeva una forma sferica con al centro di un cilindro che terminava a sua volta su un fondo piatto. Il guscio esterno era leggermente più piccolo di quello interno, e nei due gusci erano incorporati due oblò con un diametro di 300 mm. L’idrostato era racchiuso in una rete di rinforzo in corda di canapa (come una mongolfiera) con un diametro di 10-12 mm che, attraverso quattro brache di cavi, fissava l’habitat al fondo. Un progetto decisamente curioso.



Il progetto Chernomor.
Negli anni seguenti, venne avviato il progetto Chernomor II M che si avvalse delle esperienze precedenti. Sotto molti aspetti era un habitat impressionante, progettato per potersi muovere verticalmente grazie a delle casse di zavorra che potevano essere riempite o svuotate. Il primo team era composto dal comandante Igor Sudarkin, ricercatore di lito-dinamica Ruben Kosyan, ricercatore di idro-ottica Oleg Prokopov, ricercatore di idro-ottica Vladlen Nikolaev, ricercatore bio-geografo Nikolai Denisov, sotto il controllo del caposquadra della stazione di immersione Alexei Nasonov. Il compito scientifico ufficiale era quello di registrare l’illuminazione del campo luminoso sottomarino e studiare la litodinamica della zona costiera. Si prevedeva inoltre di studiare le biocenosi dei suoli solidi e fare esperimenti per la ricerca medica. L’esperimento prevedeva una permanenza della durata di 70 giorni ad una profondità di 15 metri, un periodo lungo mirato a superare il record di 59 giorni che era stato stabilito nella primavera del 1969 dal progetto Tectite degli Stati Uniti al largo di St. John, Isole Vergini. L’interno era molto austero, in linea con lo stile sovietico dell’epoca, ma non molto diverso da quello dei laboratori occidentali. Le condizioni ambientali si dimostrarono però terrificanti: 30 gradi di temperatura, umidità quasi del 100%, con un rischio altissimo di ammalarsi per proliferazione batterica (gli acquanauti raccontarono che erano costretti a lavarsi continuamente con l’alcool). Ciononostante, resistettero fino all’undici novembre 1971 ovvero per 52 giorni, fino a quando, a causa di una violenta tempesta, si ruppero gli ormeggi della struttura.



Alle tre del mattino del 20 settembre i cavi di collegamento con terra si ruppero, l’alimentazione fu interrotta e gli acquanauti dovettero passare alle batterie di bordo (che gli avrebbero potuto dare in teoria circa 10 giorni di autonomia). Per sfuggire agli effetti delle avverse condizioni meteorologiche il laboratorio avrebbe dovuto appoggiarsi sul fondo ma il sistema di riempimento delle casse di zavorra non funzionò e gli effetti profondi del moto ondoso trascinarono il laboratorio quasi a riva. In seguito, si scoprì che non era stata solo una fatalità ma era stato fatto un errore di progettazione. Il 21 settembre il quotidiano governativo "Izvestia" riportò che i membri dell’equipaggio del laboratorio erano stati evacuati da una profondità di 50 piedi. Essendo saturi, a causa della lunga permanenza sott’acqua, l’equipaggio aveva subito una rapida decompressione ma riuscì a salvarsi (anche se uno degli scienziati rimase disabile). Nel 1972, l’habitat Chernomor II M fu nuovamente impiegato sott’acqua… per l’ultima volta. Quindi fu trasferito in Bulgaria per una mostra e, in seguito, diventò un’esposizione permanente del museo navale di Varna. Gli studi della fisiologia degli acquanauti che avevano partecipato ai progetti “Ichthyander” e “Chernomor” ed ulteriori lavori condotti presso l’Università statale di Donetsk (1970-73) portarono alla possibilità di utilizzare le modalità di decompressione standard da una nuova profondità “saturata”, utilizzando quindi uno “zero spostato”. Secondo le fonti citate, il risultato più importante fu l’istituzione di un nuovo modo di respirare gas sotto pressione con una densità 32 volte della miscela neon-ossigeno a “profondità” fino a 450 m, teoricamente equivalente a condizioni di immersione con elio-ossigeno ad una profondità di 2.500 metri. Anche dopo il crollo dell’Unione Sovietica, la Federazione Russa mostrò un forte interesse per l’ambiente sottomarino, intravedendo in maniera visionaria l’importanza del dominio degli abissi. Non mi riferisco alla flotta di sottomarini nucleari della marina di Mosca ma a sottomarini di piccole dimensioni, civili e militari, in grado di raggiungere alte profondità ed eseguire lavori subacquei. Sebbene gli habitat subacquei siano stati sostituiti da questi mezzi sofisticati, il contributo degli acquanauti russi alla conquista degli abissi non è stato dimenticato.



Ed il futuro?
Al di là degli aspetti scientifici, il sempre maggiore interesse per gli oceani nasconde sempre più fini politici e economici. Da un punto di vista militare, al compito di spionaggio, si è unito quello operativo: linee di comunicazione, pipeline e gasdotti sono obiettivi strategici facilmente raggiungibili e… Sabotabili. Non a caso si parla già di una nuova forma di guerra da combattere non sul mare ma negli abissi con mezzi subacquei autonomi e sempre più innovativi per accaparrarsi risorse e informazioni vitali ma anche in grado di danneggiare condotte vitali …Ma questa è un’altra storia.

Note.
1) Sadko è un personaggio epico di un mercante del XII secolo, abile suonatore di gusli, un antico strumento a corda. La leggenda racconta che Sadko riesce ad arricchirsi grazie al re del lago affascinato dalla sua musica, che decide però di renderlo prigioniero negli abissi delle acque del lago. Alla fine, Sadko riuscirà però a liberarsi grazie all’aiuto di San Nicola.

Fonte: https://www.difesaonline.it

 

 

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