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La prima bomba atomica sovietica sarebbe stata costruita in Armenia e non in Russia, come comunemente si crede. Ad affermarlo è un documento desecretato della Cia e pubblicato il 22 dicembre 2016 sul sito dell’agenzia americana. Una storia molto diversa rispetto alla versione più diffusa che vuole sia stata realizzata ad Arzamas-16, nell’odierna città di Sarov, dove si trovano il Centro nucleare della Federazione Russa e il Museo della bomba atomica. Diversa, sempre secondo il documento, anche la data della prima esplosione: il 10 luglio 1949, anziché il 29 agosto. Confermato invece nel testo, redatto il 18 gennaio 1950, il ruolo di primo piano rivestito nel programma nucleare dal capo della polizia segreta Lavrentij Berija, georgiano come lo stesso Stalin. Berija – si legge – uno dei peggiori criminali dell’intera storia sovietica, avrebbe ricevuto da Stalin «una libertà di azione illimitata», avendo a sua immediata disposizione per il progetto tutto ciò che avesse desiderato: soldi, materiali, manodopera e macchinari. Armeno, invece, l’uomo identificato come il direttore tecnico e scientifico degli impianti nucleari, il professor Arakelyan. Questi sarebbe stato un compagno di scuola Anastas Mikoyan, uomo di punta del potere sovietico sopravvissuto a tutte le stagioni politiche, da Lenin a Brezhnev, e famoso per essere stato l’uomo di Mosca a Cuba durante la crisi dei missili che ha fatto tremare il mondo. Una storia tutta caucasica, utile a ricordarci che l’URSS non fu soltanto Russia. Il Caucaso, infatti, fu uno dei territori più sviluppati dell’Unione, oltre a produrre – nel bene e forse soprattutto nel male – tanti rappresentanti di primo piano della classe politica e militare sovietica. Nel documento di due pagine, molto dettagliato, emerge il ruolo fondamentale svolto dall’occupazione della Germania nel programma atomico sovietico. Tedeschi erano i prigionieri che realizzarono l’impianto atomico segreto situato in «sei grotte di basalto lungo le rive di basalto del fiume Zanga»; il tutto seguendo il progetto realizzato da «specialisti tedeschi che avevano costruito le industrie sotterranee di Hitler in Germania e in Austria». Tedesco infine (e ceco) era anche l’uranio grezzo trasportato nel gennaio del 1948 fino al Caucaso. La scelta di Berija, leggiamo nel testo, sarebbe ricaduta sull’Armenia – che in quanto georgiano doveva conoscere bene – a causa delle caratteristiche peculiari del lago di Sevan e del suo emissario, lo Zanga (oggi chiamato Hrazdan), che li rendevano ideali per lo sfruttamento idroelettrico. Il lago, non a caso, fu protagonista di uno dei disastri ambientali più clamorosi della storia dell’URSS. Uno sfruttamento che ha provoco un abbassamento di circa 20 metri del livello dell’acqua, e a cui solo in piccola parte si è riusciti a rimediare negli ultimi anni. Grazie a questa risorsa naturale, all’epoca ancora in larga parte disponibile, nel febbraio del 1949 – leggiamo nel documento della CIA – avrebbe visto la luce in Armenia la prima atomica sovietica. Una pagina di storia importante per una guerra fredda che era ancora agli albori.

Fonte: https://it.insideover.com

 

 

Alle 7.00 del mattino del 29 agosto 1949, un bagliore accecante illumina il sito di massima segretezza di Semipalatinsk, nell’odierno Kazakistan. Un boato, il black-out, poi il silenzio. Il fungo atomico che si alza sul poligono nucleare decreta il successo dell’Operazione Borodino: la detonazione della bomba RDS-1 – per i sovietici Pervaja Molnija (‘Primo raggio’ ndr), per gli americani JOE-1, in onore del segretario Joseph Stalin che così fortemente l’aveva voluta. I russi sono entrati a far parte del ‘club atomico’; anche loro possono esercitare la deterrenza nucleare sul mondo.

Quattro anni prima, sui cieli di Hiroshima e Nagasaki i bombardieri strategici B-29 avevano sganciato le bombe atomiche ‘Little Boy‘ e ‘Fat Man’ con i risultati che tutto conosciamo. Stalin rimase terribilmente impressionato dalla potenza distruttiva delle armi sviluppate dagli americani, e sguinzagliò le spie dislocate in America e Europa per rubare i segreti del ‘Progetto Manhattan’ – il programma nucleare americano – e consegnarli agli scienziati sovietici. Mosca doveva avere al sua bomba atomica, e doveva essere a tutti i costi ‘uguale’ a quelle sviluppate dal team di Oppenheimer. Le informazioni sottratte agli americani avrebbero evitato, ed evitarono, numerosi errori di progettazione e tentativi, che si sarebbero tradotti un enorme dispendio di tempi e di costi. Secondo le stime di allora della neonata CIA, i ‘russi’ non avrebbero ottenuto – date le scarse tecnologie di cui erano a disposizione – un’arma nucleare pienamente funzionate prima del 1954. I dati raccolti sulla bomba al plutonio ‘Fat Man’ che gli agenti dell’NKVD – tra cui i famosi ‘Cinque di Cambridge’ e i Rosemberg – riuscirono a trafugare in Inghilterra però, portarono al rapido sviluppo dell’RDS-1 invece, e la bomba venne costruita in tempi record. Il programma nucleare sovietico poteva avvalersi di fisici di rango, tra i quali spiccavano Igor Kurchatov e Pyotr Kapitsa; essi con le precise indicazioni che erano costate un decennio di studi e test ai quali presero parte Einstein e Fermi, e prima di loro Frisch e Peierls, si trovarono con compito di gran lunga ‘facilitato’. L’uranio impiegato per il reattore nucleare sovietico, invece, proveniva dal programma nucleare nazista ed era stato confiscato nel 1945.

Il successo inaspettato dell’URSS.
L’intelligence americano rimase totalmente esterrefatto rispetto il risultato conseguito dall’Unione Sovietica, traducendo la propria preoccupazione nell’immediato studio di un piano di guerra che prevedeva il bombardamento (al quanto improbabile ndr) di 70 città sovietiche tramite l’invio di bombardieri strategici. I sovietici, 5 anni prima delle stime, avevano raggiunto la fissione del plutonio; nel 1951 la fissione dell’uranio, e nel 1953 – contro ogni pronostico – avrebbero già testato con successo la bomba all’idrogeno. Nel 1961 testarono la ‘Bomba ZAR’: la più potente arma termonucleare sperimentata dall’uomo nella storia.

La corsa alle armi nucleari.
La necessità di uno stato di possedere una “deterrenza nucleare” deriva dalla potenza distruttiva esercitata dalle armi di distruzione di massa impiegate dagli Stati Uniti d’America per piegare l’avversario giapponese e concludere la seconda guerra mondiale con la vittoria schiacciante che avrebbe intimorito il mondo intero. Tale ricerca era nelle mire del Terzo Reich e divenne una priorità per l’URSS durante l’assetto bipolare che si concretizzò al termine del secondo conflitto mondiale. Secondo l’Istituto Internazionale di Ricerche per la Pace di Stoccolma, dalla corsa agli armamenti nucleari, iniziata nel 1940 ad oggi, nel mondo esistono circa 15.850 testate nucleari: divise tra Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Cina, India, Pakistan e Corea del Nord. Di queste almeno 1.800 vengono considerate ad "alto rischio”. Dal 1945 al 2018 sono stati effettuati 2.085 test nucleari. Il picco maggiore si è raggiunto del 1962. La metà dei test sono stati condotti dagli Stati Uniti. Nel 1970 il Trattato sulla non-proliferazione nucleare che entrò in vigore con la sottoscrizione di 190 paesi frenò i test e la produzione di armi nucleari. Da allora solo India (6), Pakistan (6) e la Corea del Nord (4 presunti) hanno condotto test nucleari. Il 22 settembre del 1979, un satellite della NASA tipo ‘Vela Hotel’ registrò un doppio bagliore associabile ad un’esplosione nucleare tra l’Oceano Atlantico Meridionale e l’Oceano Indiano – al largo delle Isole del Principe Edoardo (Sudafrica). La responsabilità dell’evento sarebbe stata attribuita nell’ideale comune a Sudafrica e allo Stato di Israele. Documenti della CIA parzialmente desecretati nel 1999 riportano le conclusione che potrebbe essersi trattato della caduta di un meteorite o ‘di un test nucleare’ del quale tuttavia non vennero rilevate tracce sufficienti per la conferma. Secondo i documenti della CIA: “Se si è verificata un’esplosione nucleare in tale data, il Sudafrica ne è il più probabile responsabile”.

Fonte: http://www.occhidellaguerra.it

 


 

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