Da secoli, il Mediterraneo - meglio conosciuto con il suo antico e significativo nome, Mare Nostrum - è percorso in lungo ed in largo da innumerevoli tipi di imbarcazioni. Dalle navi dei fenici alle grandi triremi romane, passando per le galere veneziane ai velieri settecenteschi, le onde di questo mare sono state attraversate da generazioni di marinai. Grandi civiltà sono apparse e declinate lungo le sue sponde, costellandole ovunque con gli antichi segni del loro passaggio.
Insomma, l’uomo di oggi trova naturale considerare il mare Mediterraneo come la vera e propria culla della civiltà occidentale, un luogo sicuro, eterno, immutabile, e soprattutto conosciuto da millenni in ogni suo stretto, spiaggia, scogliera.
In tempi molto più recenti rispetto a quelli degli antichi navigatori sono apparse imbarcazioni che, indubbiamente, avrebbero suscitato grande meraviglia in Vegezio, Siriano e Pompeo Magno, il famoso vincitore dei pirati: i sommergibili prima, i sottomarini poi.
Questi battelli, per le proprie prerogative, non sono usi apparire a lungo allo sguardo di potenziali osservatori, e forse questa loro caratteristica basterebbe a giustificare l’alone di mistero che da sempre avvolge loro e le loro silenziose operazioni subacquee; ma grazie alla tecnologia subacquea, abbiamo potuto scoprire molto di più riguardo al Mediterraneo, disegnando tracciati sonar delle sue profondità fino ad allora sconosciute, inseguendo correnti, ritrovando preziosi relitti le cui vestigia si trovano ora nei più grandi ed importanti musei, testimoni di millenni di civiltà.
Insomma, un mare come il Mediterraneo sembrerebbe scevro da quell’alone di mistero che potrebbe invece sfiorare oceani lontani e tropicali, acque relativamente misteriose perché toccate da pochi occidentali: ed è proprio questa sensazione di sicura conoscenza di questo mare che rende ancora più difficile accettare i fatti avvenuti negli anni 1968 e 1970 a due moderni sottomarini francesi, entrambi impegnati in normali esercitazioni al largo della loro stessa costa, entrambi giudicati perfettamente efficienti e sicuri dal personale tecnico e dagli equipaggi imbarcati, ed entrambi scomparsi senza lasciare traccia in circostanze praticamente inspiegabili.
Il discorso riguardante le due sparizioni è doverosamente lungo e complesso, ma nonostante ciò si impone innanzitutto una breve panoramica sulla classe cui appartenevano i due battelli dispersi, il Minerve e l’Eurydice: la classe francese Daphne.
Di che genere di sottomarini si trattava? Non erano grandi unità lanciamissili, e nemmeno unità d’assalto a propulsione nucleare, come ad esempio i Rubis o i prossimi Barracuda. La classe Daphne comprendeva undici unità d’attacco impostate a partire dal 1958 al 1961, esportate poi in tutto il mondo: tre battelli al Portogallo, tre al Pakistan, e tre al Sud Africa. Questi battelli erano lunghi 57.79 metri, larghi 6.82 ed alti 4.60: il dislocamento in emersione era di 869 tonnellate, che divenivano 1043 durante la navigazione immersa.
L’equipaggio era di circa 45 uomini, mentre l’armamento contava un massimo di quattordici siluri (dei tipi E14, E15 o anche L3) o venti mine: i tubi di lancio, secondo la concezione in uso durante la Guerra mondiale, erano disposti otto a prua e quattro a poppa. La propulsione era fornita da due diesel Pielstick abbinati a due generatori SEMT, e da due motori elettrici Jeumont- Schneider da 1600 Hp, con due eliche gemelle; la velocità massima in superficie era di 13.5 nodi, quella in immersione di circa 16. I Daphne avevano un’autonomia massima di 2700 miglia marine in navigazione di superficie a 12.5 nodi, o di 4500 miglia a 5 nodi, se effettuate con la pratica dello snorkeling.
La suite elettronica comprendeva un radar di ricerca aerea e di superficie Calypso, mentre i sonar annoveravano un sistema DUUA attivo e passivo montato sulla prua, un DSUV2 passivo, un DUUX2 per il passive ranging ed un sistema elettronico per il controllo del fuoco DLT D3FC.
Disegno della classe Daphne.
La robustezza dello scafo, infine, garantiva il raggiungimento in sicurezza di una profondità di trecento metri. Una classe sicura ed affidabile, insomma, costruita per durare nel tempo.
All’una di mattina del 27 gennaio 1968, il Minerve S647 si trovava a Tolone, dove avrebbe sbarcato un ufficiale, tenente di vascello Merlo. Successivamente, il sottomarino ripartì per il largo, diretto verso la sua area di esercitazioni: un settore posizionato ad una dozzina di miglia a sud- est di Cape Sicié. L’esercitazione si sarebbe quindi svolta in una zona marina caratterizzata da una notevole profondità, visto che, nei pressi di Tolone, la linea dei mille metri passa subito ad una decina di miglia marine dalla costa, subito seguita da quella dei duemila.
Il Minerve aveva un compito essenzialmente semplice: doveva fungere da bersaglio per un aereo ASW (antisommergibile), permettendogli in pratica di verificare il funzionamento degli apparati di bordo, e quindi rientrare in porto verso le ventuno. Niente di particolarmente impegnativo.
Il velivolo in questione era un Breguet Atlantic I, facente parte del Groupe Aéronaval N.6 di base a Nimes- Garons: un pattugliatore marino il cui prototipo aveva volato per la prima volta nel 1961, caratterizzato da ottima autonomia e capacità di stazionamento. Propulso da due grandi turboeliche Rolls- Royce Tyne RTy.20 MK21 da 6186 cavalli, l’Atlantic aveva una curiosa fusoliera bilobata, pressurizzata per i dodici- ventiquattro uomini dell’equipaggio nella parte superiore, e non pressurizzata nella grande stiva che poteva accogliere un massimo di 3500 chili di armi, cui si dovevano eventualmente aggiungere i quattro piloni d’attacco subalari.
Con un’autonomia di 7970 chilometri, questo pattugliatore era già in forza presso le Marine di Francia, Italia, Paesi Bassi e Germania Occidentale, mentre alcuni vecchi esemplari francesi sarebbero poi stati ceduti al Pakistan. Successivamente, nel maggio 1981, sarebbe apparso il prototipo dell’Atlantique II, dalla cellula irrobustita e dall’elettronica migliorata.
Così, quella mattina di gennaio, l’aereo lasciò la base aeronavale di Nimes- Garons per l’appuntamento con il sottomarino in attesa al largo. Tuttavia, le condizioni meteorologiche presenti sul Mediterraneo, quella mattina, erano particolarmente orribili: un forte Mistral aveva soffiato da nord- ovest sin dalla notte, toccando già punte di 50 e 60 nodi, crescendo per tutta la giornata. Il mare sarebbe presto passato da forza 5 a forza 6, e la visibilità era letteralmente pessima.
L'ultima immersione del Minerve, 27 gennaio 1968.
Tuttavia, il robusto pattugliatore oceanico, comandato dal tenente di vascello Queinnec, decollò alle 06.54 ed alle 07.19 riuscì a stabilire un buon collegamento radiofonico con il Minerve, che si trovava in balia degli elementi a quota periscopica. Il battello era continuamente esposto all’effetto destabilizzante delle grandi ondate, per cui faticava a mantenere la quota e la posizione, necessarie a lasciare emergere almeno le antenne radio: infatti, le sue emissioni non vennero mai captate a terra, e ben presto le continue e sempre più prolungate immersioni degli alberi del sottomarino resero estremamente precario anche il collegamento con l’aereo, che pure si trovava quasi sulla sua verticale.
Le pessime condizioni esterne avrebbero reso molto difficile e pericoloso un qualsiasi volo sul mare, per non parlare di una missione di ricerca, per quanto simulata. Sin dalle 07.19, il tenente di vascello Queinnec ritenne opportuno avvisare il sottomarino che non ci sarebbe stato alcun tentativo di utilizzare l’apparecchiatura MAD (Magneto-Acoustic Device) di bordo, quella che, notando la variazione del campo magnetico terrestre comportata dall’enorme massa metallica di un sottomarino immerso, avrebbe dovuto portare alla sua individuazione. In pratica, dall’aereo si decise di annullare l’esercitazione stessa: l’Atlantic si sarebbe limitato a due brevi “passate” sul battello immerso, per verificare almeno la capacità del proprio radar di individuare i periscopi e le antenne del Minerve, prima di rientrare alla propria base.
Il Minerve a La Spezia, 1964.
Il Minerve accusò il ricevuto via radio, cominciando prontamente ad emettere i segnali che avrebbero dovuto guidare il radar del pattugliatore sulla propria posizione: man mano che l’aereo si avvicinava tra la fitta nuvolaglia della tempesta, gli operatori del sottomarino segnalavano ai loro colleghi sballottati tra le nubi l’azimut al quale li rilevavano.
L’Atlantic piegò ad est verso l’invisibile posizione del battello, effettuò un passaggio a sud, per poi tornare definitivamente a nord- est, diretto alla sua base.
Alle ore 07.37, a soli venti minuti dopo l’inizio del duplice contatto, il collegamento radio con il Minerve divenne estremamente precario: gli operatori imbarcati sul pattugliatore captarono ancora frasi indistinte che parlavano di navigazione con lo snorkel, e di trasmissioni radio vanificate dalle condizioni del mare, che sicuramente sottoponevano ad un forte stress le antenne del sottomarino.
Alle 07.43, il sottomarino segnalò ancora l’azimut cui rilevava l’aereo, ma fu alle 07.55 che si ebbe l’ultimo traffico in uscita dal Minerve:
Atlantic: “Je comte annuler à 8.00 la vérification radar”.
Minerve: “Je comprends que vous annulez cette vérification: m’avez- vous entendu?”
Atlantic: “Je vous ai entendu.”
Tuttavia, restavano ancora alcuni minuti prima del termine dell’esercitazione, ed i piloti dell’Atlantic mantennero l’aereo in posizione per permettere ai loro operatori ASW un ultimo tentativo di individuazione radar del sottomarino: non individuarono più né le antenne, né tantomeno i segnali che queste avevano continuato ad emettere fino a poco prima.
Dalle 07.55 alle 08.09, l’aereo cercò ripetutamente di contattare il Minerve, ma senza il minimo successo. Agli operatori del pattugliatore, questa evenienza sembrò abbastanza strana: un’interruzione così brusca, nessun annuncio dell’intenzione di chiudere le emissioni né il solito saluto di rito, e soprattutto, un’infrazione alle regole. Di norma, il sottomarino avrebbe dovuto accertarsi che l’equipaggio dell’aereo fosse riuscito a stabilire un contatto radio efficiente con la propria base, prima di cessare le trasmissioni; ma alla fine, l’equipaggio del Breguet non si preoccupò troppo, limitandosi a dare per scontato che, verso le 07.55, le condizioni del mare avessero veramente reso impossibile al sottomarino il mantenimento della quota periscopica, senza minimamente presagire il disastro che si era ormai consumato nel nulla sottostante.
Più tardi, verso le 11.00, il Comandante dei sottomarini francesi nel Mediterraneo segnalò via radio al Minerve che tutte le esercitazioni erano annullate per il perdurare delle pessime condizioni meteorologiche, dando al battello la piena libertà di manovra. Il sottomarino non diede mai il ricevuto, ma si continuò ad attenderne l’arrivo entro l’una di mattina del giorno successivo, 28 gennaio. Quando questo non avvenne, i colleghi dell’equipaggio del Minerve presso la Premiére Escadrille de Sous- marins cominciarono ad allarmarsi: alla fine, l’Officier de Suppléance, tenente di vascello Vinot, avvertì del mancato rientro il Comandante ad interim, Capitano di Fregata Gelas.
Alle 02.15, la triste procedura definita Recherche de sous- marins venne avviata.
L'area di ricerca del Minerve, gennaio 1968.
Cos’era successo al Minerve?
In casi simili, si procede subito all’analisi della posizione di tutte le altre navi che avrebbero potuto speronare inavvertitamente un battello immerso, o magari trovarne relitti o superstiti. Durante la loro comunicazione, l’Atlantic aveva segnalato al sottomarino la posizione e la rotta approssimativa di alcuni contatti in zona, tra cui un cargo da 6000 tonnellate rilevato alle 07.40 a 15 miglia a sud del sottomarino, impegnato in una rotta verso est, ed una petroliera diretta a Marsiglia, ancora più a sud: niente ad ovest. Ma l’equipaggio del pattugliatore fu il primo ad ammettere che, a causa delle forti ondate che spazzavano la superficie marina, qualcosa avrebbe potuto sfuggire loro. Un eco radar di medie dimensioni potrebbe agevolmente sparire nel generale e caotico retour de la mer, infatti: ma a tutt’oggi, l’ipotesi di uno speronamento è stata praticamente abbandonata.
Alcuni anziani marinai delle unità della classe Daphne, che ben ne conoscevano le caratteristiche ed i difetti, suggerirono alcune ipotesi.
1) Una grave avaria alla barra d’immersione, che forse è la vera responsabile dell’affondamento dell’Eurydice, avvenuto due anni più tardi: è stato notato che sul Galathée la barra d’immersione fu colpita da molte avarie legate alla pressione idraulica incapace di contrastare quella dell’acqua circostante, al punto che tutte le barre d’immersione di questa classe sarebbero poi state modificate in cantiere. Ma il Minerve, purtroppo, non visse abbastanza per vedere i grandi lavori che forse avrebbero salvato il suo equipaggio.
2) Una potente ed inarrestabile via d’acqua provocata da una falla nel tubo dell’aria, o negli scappamenti: il sottomarino aveva segnalato di navigare con lo snorkel, dopo le 07.37, e visto che all’epoca le valvole di aspirazione dell’aria in forza a questa classe non disponevano ancora di griglie di protezione, qualcosa potrebbe esservi rimasto incastrato, impedendo la chiusura della valvola stessa. Lo snorkel, finendo sott’acqua per il moto ondoso o per il proprio ritiro da parte dell’equipaggio, si sarebbe trasformato in una trappola fatale per la tenuta stagna dell’unità; qualcuno suggerì anche che fossero stati i cristalli di silicio così spesso trasportati dal potente Mistral ad aver bloccato in posizione aperta la valvola, la cui chiusura doveva avvenire mediante un sistema manuale - tardivamente rimpiazzato da un sistema elettro-pneumatico, poi.
3) Immersione profonda. Se l’unità era ancora integra verso le undici di mattina, quando le giunse la comunicazione del definitivo annullamento delle esercitazioni, gli ufficiali avrebbero potuto ordinare un’immersione profonda verso strati più calmi, dopo ore di disagio e malessere nella tempesta. Il Minerve aveva già compiuto numerose immersioni fino ai duecento e trecento metri di quota, ma ciò no toglie che, ad ogni nuova discesa, il pericolo di un cedimento strutturale si ripresenti: ad ogni dieci metri di profondità in più, la pressione dell’acqua aumenta infatti di un chilo per centimetro quadrato.
Il Minerve poteva sopportare al massimo 30 chili di pressione per centimetro quadrato: se l’unità fosse scesa sotto i trecento metri, per esempio a causa di un’avaria alla barra di immersione, si sarebbero aperte vie d’acqua più o meno intense dappertutto, mentre le zone pressurizzate avrebbero finito per cedere, così come le chiusure dei portelli stagni esterni.
Sotto i seicento metri, il sottomarino avrebbe raggiunto la propria quota di collasso, e scendendo ancora, si sarebbe praticamente disintegrato. Nella zona in cui scomparve il Minerve, i fondali superano frequentemente profondità di duemila metri.
Prima del gennaio 1968, però, nessuno avrebbe potuto immaginare la perdita di un Daphne impegnato in normali esercitazioni, seppure funestate da un tempo atmosferico tanto proibitivo.
Questa classe era giudicata molto positivamente, a livello internazionale, mentre i tecnici ed i progettisti francesi la definivano “perfettamente sicura” in immersione: unità agili e robuste, dotate di buona autonomia, almeno secondo i canoni di allora.
Nessuno volle credere ad errori di progettazione o ad ipotetici difetti di fabbrica nei materiali. Si preferì dar credito a voci infondate riguardanti errori di un equipaggio solitamente inappuntabile, o persino ad un misterioso abordage en plongée da parte di un sottomarino sovietico in agguato appena fuori i maggiori porti del Mediterraneo francese.
Malgrado la perdita di un battello, dunque, la reputazione di solida sicurezza della classe Daphne non venne minimamente scalfita.
Eurydice in bacino. Si notino i tubi di lancio a poppa ed il sonar attivo-passivo DUUA1 montato a prua.
Il 4 marzo 1970, due anni dopo la misteriosa scomparsa del Minerve - che non sarebbe stato mai più individuato, nonostante fosse sparito a poche miglia dalla costa nazionale francese - un secondo battello della medesima classe, l’Eurydice S644, divenne protagonista di un episodio drammaticamente simile al primo, sparendo senza lasciare tracce o spiegazioni con i suoi 57 uomini di equipaggio al largo di Cape Camart, 15 chilometri al largo di St.Tropez.
Le certezze sopravvissute alla perdita del Minerve andarono definitivamente distrutte.
L’Eurydice era giunto a St.Tropez alle 05.00 del mattino, per impegnarsi in tre ore di esercitazioni comprese in una zona ad est delle isole d’Hyères. Il battello era comandato da soli sei mesi da un precedente ufficiale in seconda del Minerve, Bernard Truchis de Lays; a bordo vi era anche un “ospite” proveniente dai Daphne in forza alla Marina pakistana, il tenente Jhanil Khan.
Le condizioni del mare e la visibilità erano buone. L’Eurydice, incredibile a dirsi, era in collegamento radio con un altro Breguet-Atlantic di base a Nimes-Garons, il suo partner nell’esercitazione programmata per quella mattina; a quattro miglia nautiche dal porto, l’unità andò in immersione, stabilizzandosi agevolmente a quota periscopica e segnalando un ottimistico “Tutto bene” all’equipaggio del pattugliatore che orbitava sul mare.
Fu l’ultimo messaggio che venne captato dal sottomarino. Alle 07.13, senza che nulla potesse presagirlo, l’Atlantic perse il contatto radio, radar ed addirittura visuale con l’unità, lanciando subito l’allarme ed avviando le istantanee ricerche.
L’escorteur d’escadre (avviso scorta) Surcouf, comandato dal capitano di vascello Quentin - a sua volta sottoposto all’ammiraglio Guillon - prese subito il comando delle ricerche del sottomarino disperso. Numerose furono le unità che parteciparono: un elicottero, altri due Atlantic provenienti anch’essi da Nimes-Garons, quattro avvisi-scorta (Le Duperrey, Le Picard, Le Vendéen, L’Alerte), sei dragamine, due unità d’appoggio (Arago e Jean Charcot) e due sottomarini, Daphné e Doris.
Anche la Marina Militare Italiana inviò quattro dragamine, mentre la US. Navy fece arrivare dalla base sottomarina di Rota (Spagna) l’unità specializzata Skylark.
Alle 13.00, la barca da carico Fourmie comunicò di aver rinvenuto in mare alcuni detriti e tracce di nafta: vennero ripescati pezzi di plastica, targhette di immatricolazione di apparecchi dell’Eurydice, frammenti di compensato e carte della meccanica di un pezzo di ricambio recentemente fornito a quella particolare unità. Anche il combustibile venne analizzato, e si scoprì che purtroppo apparteneva proprio alla qualità normalmente utilizzata a bordo dei sottomarini: conteneva una forte presenza di zolfo, confermata dal fatto che l’analisi delle bande sismografiche di un laboratorio geofisico aveva segnalato la presenza di una forte esplosione marina, non ancora identificata, avvenuta alle 07.28 del 4 marzo 1970.
Il relitto, sicuramente adagiatosi su profondi fondali, non venne mai ritrovato: probabilmente ha seguito il triste destino del Minerve e si è disintegrato sotto la morsa di una pressione impossibile da sostenere, diventando la tomba silenziosa del suo equipaggio e della verità della propria sparizione.
Alla grande cerimonia in memoria dei dispersi parteciparono l’allora Primo Ministro Jacques Chaban-Delmas ed il suo ministro della Difesa, Michel Debré. Anche il Presidente della Repubblica Francese, Georges Pompidou, fu colpito da questa nuova ed inspiegabile tragedia: in un messaggio alla Nazione ed alle famiglie dei marinai dispersi, sostenne che anch’egli “si inchinava con rispetto davanti ai marinai vittime del loro dovere”.
Cos’è successo a questi due sottomarini? Perché sono spariti entrambi nella medesima zona, nelle stesse circostanze, pur essendo stati giudicati perfettamente funzionanti ed in grado di tenere il mare? Cosa si nasconde dietro al loro affondamento… Una tragica fatalità, un difetto di produzione o progettazione mai individuato nella classe Daphne che solo particolari circostanze potevano mettere in tragico risalto? Il Flore, della stessa classe, andò quasi perso nel 1971 per un gravissimo problema allo snorkel: solo la perizia ed il sangue freddo del suo comandante, che ordinò immediatamente la risalita d’emergenza, evitò il peggio. E’ questo che gli uomini del Minerve e dell’Eurydice non sono mai riusciti a fare?
Non lo sapremo mai. Tuttavia, a rigore di cronaca, chi scrive non può esimersi dal riportare un’interessante ipotesi circa la fine del Minerve, un suggerimento avanzato in sedi giornalistiche e basato su strane voci circolate poco dopo la scomparsa del secondo battello (e pertanto, qui riportato solo in appendice): un collegamento con un terzo sottomarino, scomparso a sua volta nel Mediterraneo nello stesso periodo del Minerve.
Per parlarne, bisogna ritornare al 28 settembre 1943, quando un sommergibile britannico della classe T venne varato presso gli HM. Dockyards di Devenport: si trattava del Totem S52, che il 10 novembre 1967 entrò a fare parte della Marina Israeliana con il nome di Dakar. L’unità era stata progettata e costruita durante la Seconda Guerra Mondiale, ma non era affatto un vecchio residuato: prima di essere acquistata da Israele, infatti, aveva affrontato complessi lavori che l’avevano praticamente demolita e ricostruita ex novo, tra cui l’asportazione dell’intero settore centrale in favore di una nuova sezione più grande, che alloggiasse più elementi per le batterie.
Ma cosa c’entra il Dakar con un sottomarino molto più moderno quale il Minerve? Il collegamento è evidente: l’unità israeliana andò persa in modo inspiegabile il 26 gennaio 1968, un solo giorno prima del Minerve, mentre era ufficialmente impegnata in una crociera dall’Inghilterra al porto israeliano di Haifa. Con il Dakar scomparvero 69 ufficiali e marinai, fatto che scosse l’opinione pubblica israeliana. Cos’era successo? Com’era possibile che, in tempo di pace, un sommergibile sparisse senza lasciare tracce?
Non era possibile, o almeno, non del tutto. Difatti, un arabo trovò successivamente la boa d’emergenza prodiera dell’unità su una spiaggia deserta a quattro miglia a nord di Yunis, nella Striscia di Gaza. I giornali ne parlarono molto, argomentando anche sul totem portafortuna regalato da una tribù canadese all’unità ex britannica, con la severa raccomandazione di portarlo sempre con sé per evitare catastrofi: la statuina rimase però a terra, alimentando le superstiziose dicerie di circostanza, ed oggi è conservata presso il Submarine Museum di Gosport.
L’ipotesi avanzata all’epoca vedeva il Dakar ed il Minerve impegnati non in banali esercitazioni di routine, bensì in una segretissima missione di trasferimento di materiali bellici terminata in una accidentale tragedia: si parlò infatti di vettori e testate per missili antinave Aerospatiàle Exocet SM39, l’impegno concreto della Francia a contribuire all’armamento della difesa costiera e navale di Israele. Non bisogna dimenticare la fine dell’Eilat israeliano, ad opera di un missile ASuW Styx; forse, Tel Aviv aveva voluto munirsi a sua volta di un’arma navale di potenza superiore a quelle in dotazione alle Marine arabe.
Il 28 maggio 1999 venne annunciato il ritrovamento del relitto del Dakar a 500 km dalla costa israeliana, in direzione nord-nord est: i resti dell’unità si trovano però a 2.900 metri di profondità, per cui le analisi dello scafo sinistrato si sono dovute limitare a filmati e fotografie effettuate mediante robot e scansioni sonar da parte delle unità di superficie. Da queste fotografie, si è suggerito che una forte collisione abbia letteralmente squarciato lo scafo resistente, trascinando rapidamente a fondo l’unità agonizzante ed il suo equipaggio; ma nessun mercantile ha denunciato una collisione con un oggetto immerso in quel periodo, né sono stati segnalati avvistamenti o messaggi di soccorso.
Il mistero continua ad avvolgere queste tre unità subacquee, appartenenti a due diverse nazionalità ma accomunate dallo stesso, tragico destino. Il Dakar è stato ritrovato, mentre il Minerve e l’Eurydice rimangono tuttora dispersi: scopriremo mai con certezza cosa è veramente successo a bordo di questi tre sottomarini, scomparsi in un lasso di tempo tanto delimitato? E, almeno nel caso del Minerve, è vero che il relitto non è mai stato rinvenuto proprio perché scomparso ad una distanza molto maggiore dalla sua area di esercitazioni?
Solo il ritrovamento dei due relitti ancora mancanti potrà rispondere a questa domanda.
Per ora, nonostante le ricerche e le tante ipotesi avanzate, la verità rimane nascosta in luoghi sconosciuti, migliaia di metri sotto le onde immutabili dell’antico ed apparentemente conosciuto Mare Nostrum.
Marco Soggetto
Vice-Presidente ITALIADIFESA
Fonte: http://alfazulu.altervista.org