Con la nuova riforma penale via libera ai ‘trojan’ di stato: vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.
Se fino ad oggi i giudici durante le indagini potevano disporre di mettere sotto controllo il telefono cellulare delle persone, con la recente riforma penale approvata definitivamente il 14 giugno gli inquirenti avranno la possibilità di effettuare un controllo molto più accurato e approfondito. È stato dato il via libera all’uso dei cosiddetti “trojan”, ovvero dei virus informatici che permettono il completo accesso a dispositivi come smartphone, tablet e personal computer.
Le funzioni del trojan.
Questa tecnologia consente di avere completo accesso ad un dispositivo e ovviamente alle applicazioni utilizzate sullo stesso. Sarà possibile pertanto monitorare conversazioni sui social network, su WhatsApp e altre applicazioni, avere accesso alla rubrica e alla memoria del dispositivo – le foto, i video e gli altri dati memorizzati – ma addirittura attivare il microfono e la fotocamera in remoto, in modo da usare uno smartphone come una microspia per intercettazioni ambientali con tanto di immagini o video. Una sorta di video chiamata: come se vi dimenticaste Skype acceso dopo una conversazione, con l’altro interlocutore che può sentire quello che dite e vedere le immagini trasmesse dal telefonino fino a quando non chiudete il programma. Ovviamente in questo caso avverrebbe a insaputa della persona controllata, con la connessione stabilita via remoto dagli inquirenti o, meglio, dalle aziende private che per conto dei giudici gestiranno questo tipo di intercettazione.
Le preoccupazioni di chi contesta la riforma.
Il giudice potrà disporre questo tipo di controlli non solo in caso di gravi reati come il terrorismo, organizzazioni criminali di stampo mafioso, narcotraffico e altri crimini molto gravi. Ma anche per reati minori come minaccia, frodi commerciali o vendita di alimenti non genuini. A preoccupare i detrattori della riforma sono diversi aspetti. Il primo è che a gestire le intrusioni saranno delle società private, che dovranno garantire rigide normative per garantire la massima riservatezza. In ballo ci sono informazioni sensibili, che se gestite male potrebbero creare grossi problemi. L’avv. Marisa Marraffino, intervistata da “Il Giornale” in qualità di esperta di cyber crimini definisce “molto pericoloso” l’utilizzo di queste tecnologie per qualsiasi fattispecie di reato.
Un provvedimento forse incostituzionale.
Con questi “trojan” la privacy delle persone sarà invasa in modo molto approfondito, dai dati presenti sui dispositivi a quanto viene digitato sulla tastiera, fino alla possibilità, come specificato sopra, di usare lo smartphone come una microspia. Secondo l’avvocato, in gioco oltre al diritto alla privacy ci sono anche le garanzie minime sulle quali si fonda il processo penale, in quanto chi effettua questo tipo di intercettazioni potrebbe, anche inavvertitamente, modificare o alterare i dati. L’avv. Marraffino conclude che c’è anche il rischio che le nuove norme siano ritenute costituzionalmente illegittime, vanificando la possibilità di usare le prove nei procedimenti penali in corso.
Fonte: https://it.blastingnews.com