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A mantenere la geodinamo attiva, e con essa il campo magnetico terrestre, contribuirebbe l’effetto dovuto all’attrazione gravitazionale esercitata dal nostro satellite. Lo suggerisce uno studio pubblicato su Earth and Planetary Science Letters da un team di ricercatori del CNRS.

 

 

Gli effetti gravitazionali determinati dal sistema Terra-Luna-Sole provocano la deformazione ciclica del mantello terrestre e oscillazioni nel suo asse di rotazione. Questo tensione meccanica applicata a tutto il pianeta provoca forti correnti nel nucleo esterno, costituito da una lega di ferro liquido di viscosità molto bassa. Correnti sono sufficienti a generare il campo magnetico terrestre. Crediti: Julien Monteux e Denis Andrault


Senza scudo magnetico saremmo spacciati, questo si sa. È solo grazie alla magnetosfera se raggi cosmici e altre pericolose particelle cariche provenienti dallo spazio – perlopiù dal Sole – vengono in gran parte fermate. Ora, all’origine del campo magnetico terrestre è pressoché certo che vi sia la cosiddetta geodinamo: l’azione prodotta dal rapido movimento d’enormi quantità di materiale ferroso liquido nel nucleo esterno del nostro pianeta. Assai più dibattuta è invece l’origine dell’energia che ha alimentato – e continua ad alimentare – nel corso di miliardi di anni la geodinamo. Ebbene, uno studio uscito la settimana scorsa su Earth and Planetary Science Letters suggerisce che almeno parte dell’energia necessaria possa arrivare dalla Luna, e in particolare dalla deformazione del mantello indotta dagli effetti mareali.

Per capire quanto quest’ipotesi possa essere condivisibile, conviene anzitutto dare un’occhiata ai numeri. Partiamo dalla temperatura. Il modello classico implica un raffreddamento di 3000 gradi, nell’arco degli ultimi 4.3 miliardi di anni di vita della Terra, della temperatura del nucleo, che sarebbe dunque passata da 6800 gradi iniziali ai 3800 attuali. Il problema sta nella vertiginosa temperatura di partenza richiesta: se le cose fossero andate davvero in questo modo, fino a quattro miliardi d’anni fa il nostro pianeta sarebbe dovuto essere completamente fuso. Eventualità che sia le analisi geochimiche condotte sulla composizione delle carbonatiti e dei basalti più antichi, da una parte, sia i modelli più aggiornati sull’evoluzione del pianeta, dall’altra, sono concordi nell’escludere.

Ma se, come lo studio guidato dai quattro ricercatori del CNRS propone, la temperatura della Terra in realtà fosse scesa non di 30.00 bensì di 300 gradi – appena un decimo rispetto a quanto richiesto dal modello classico, dunque – da dove avrebbe tratto tutta l’energia necessaria, la geodinamo, per mantenersi attiva? L’ipotesi presa in considerazione da Denis Andrault e colleghi è che arrivi dalla combinazione di effetti gravitazionali come quelli di cui scrivevamo poc’anzi.

Rimanendo sempre con l’occhio puntato sui numeri, ma mettendo un istante da parte la temperatura e guardando alla potenza, gli autori dello studio calcolano che la Terra riceva in continuazione 3.700 miliardi di watt dal trasferimento dell’energia gravitazionale e di rotazione prodotto dal sistema Terra-Luna-Sole. Di questi, stando alle stime, circa mille miliardi potrebbero essere disponibili – tramite l’azione di deformazione elastica del mantello, per esempio – per tenere in movimento il nucleo esterno. Cifre sufficienti a rendere conto del campo magnetico terrestre.

Un effetto, questo delle forze gravitazionali sul campo magnetico d’un pianeta, del resto già ampiamente documentato per due lune di Giove, Io ed Europa, e per un buon numero di pianeti extrasolari. Non solo. Considerando anche le irregolarità della rotazione terrestre, dell’orientamento del suo asse e dell’orbita della Luna, l’effetto combinato produrrebbe nella geodinamo fluttuazioni tali da spiegare, analizzando il loro possibile impatto sul mantello e dunque sui vulcani, gli eventi eruttivi più importanti. Insomma, concludono i quattro autori dello studio, gli effetti della Luna sulla Terra sembrano andare ben oltre le maree.

Marco Malaspina

Fonte: http://www.media.inaf.it

 


 

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