Specola vaticana. Guerre stellari tra Papa e Apache
L'osservatorio astronomico fondato da Leone XIII è ora sul Monte Graham, in Arizona. Ma gli indiani non lo vogliono.
di Sandro Magister
È scoppiata una strana guerra stellare, sui monti dell'Arizona. Tra scoiattoli rossi, indiani Apache e gesuiti astronomi. Su su fino a sfiorare il papa. Quando Giovanni Paolo II visitò l'Arizona, nel lontano 1987, gli scappò di difendere la natura e le culture tribali. Da allora non gli hanno più dato pace. Prima sono arrivati a Roma gli animalisti. Poi gli Apache (l'ultima loro spedizione, lo scorso 23 luglio, s'è accampata nello studio del presidente della Camera, Luciano Violante). Poi altri Apache in disaccordo coi primi. Con questi ultimi il papa si è anche fatto fotografare. Erano tutti vestiti di azzurro, come il cielo. La scintilla della guerra è infatti un osservatorio celeste. Che prima era in Vaticano, poi nelle ville papali di Castelgandolfo e adesso è in Arizona, sui 3.200 metri della vetta del Monte Graham, miracolo di cielo terso e notti profonde, paradiso dell'astronomia. Lì il più potente telescopio del mondo è attualmente in costruzione. Vi partecipano una corporation e due università americane, un consorzio tedesco e la Società astronomica italiana. Ma il Vaticano è arrivato prima. Con un suo nuovo osservatorio che per tecnologia è anche il capostipite dell'ultima generazione. L'ha inaugurato nel 1993. È operativo dal gennaio del 1995. Per prima cosa i dieci gesuiti che vi lavorano fotografarono la Nebula Crab, un magnifico fiocco di polvere stellare che è quanto resta di una supernova vista esplodere nei nostri cieli nel 1054 dopo Cristo. Perché? Perché alcuni Apache erano già da parecchio sul sentiero di guerra contro l'osservatorio del Vaticano. E proprio la Nebula Crab poteva fare da calumet della pace, nelle speranze dei gesuiti astronomi. "Esistono prove che l'esplosione di questa supernova fu notata anche dai primitivi abitanti dell'Arizona, gli indiani Anasazi di Chaco Canyon", spiega padre Christopher Corbally. Ma niente da fare. Gli Apache, convinti che il Graham è un monte sacro e intoccabile, non si sono commossi. Continuano a far balenare che prima o poi gli spiriti puniranno chi ha violato la loro montagna. Anzi. Tre primavere fa la profezia è parsa avverarsi. Proprio il giorno in cui il Congresso americano votava il definitivo via libera ai nuovi osservatori del Monte Graham, con tanto di firma del presidente Bill Clinton, sulla montagna scoppiò un incendio indomabile. Era il 25 aprile del 1996. Le fiamme infuriarono fino all'8 maggio e arrivarono a meno di 100 yarde dall'osservatorio vaticano. Per poi misteriosamente spegnersi. Pochi anni prima, a mettere in pericolo la costruzione del nuovo osservatorio vaticano erano stati gli scoiattoli rossi, una specie rarissima i cui ultimi cento esemplari sopravvivevano proprio sulle cime del Graham. Gli ambientalisti avevano fatto il diavolo a quattro e bloccato i lavori. Ma poi si scoprì che gli scoiattoli s'erano trasferiti di loro spontanea volontà a quote più basse, ben più ricche di saporiti pinoli. E avevano ripreso allegramente a moltiplicarsi. La Specola vaticana (perché così si chiama l'osservatorio del papa) ha più di cent'anni di vita. L'ha fondata Leone XIII nel 1891, nel villino con vigna in cui amava prendere il fresco d'estate, dietro il cupolone di San Pietro. Ma la preistoria della Specola risale al Cinquecento. Nella Torre dei Venti affrescata dal Pomarancio, a pochi passi dalla Cappella Sistina, papa Gregorio XIII fece fare gli ultimi calcoli celesti per la riforma del calendario che porta il suo nome, oggi in vigore in tutti i paesi del mondo. Leone XIII aveva i suoi bravi motivi, per volere la Specola. "I figli delle tenebre", scrisse nella bolla di fondazione, "sono soliti calunniare la Chiesa e chiamarla amica dell'oscurantismo, nemica della scienza e del progresso". L'osservatorio doveva sgretolare l'accusa. Mostrare coi fatti che tra Chiesa e scienza ci può essere "amplesso fecondo". Che la condanna di Galileo era acqua passata. Il gesuita austriaco Johann Georg Hagen, direttore della Specola nel primo Novecento, costruì nella Torre di San Giovanni un ingegnoso bilanciere che forniva la prova provata della rotazione terrestre: "Ancor più preciso del pendolo di Foucault e proprio in quel Vaticano che per secoli aveva proibito alla terra di ruotare", commenta padre Sabino Maffeo, unico italiano tra i gesuiti che oggi hanno in affido la Specola. Ora che Giovanni Paolo II ha fatto autocritica sul caso Galileo, è sempre la Specola a pubblicare gli studi scientifici d'appoggio. Uno per tutti: il "Galileo" di Annibale Fantoli, dottissimo ex gesuita che vive tra Vancouver e Tokyo. Nel 1935 la Specola traslocò a Castelgandolfo, più al riparo dalle luci di Roma. Pubblicò un rinomato Atlante spettrografico dei corpi celesti. E fino al 1955 gli astronomi del papa fecero la loro parte con altri 17 osservatori di cinque continenti per ridisegnare una completa Carta del Cielo. Mettendo a segno anche qualche buon colpo: la cometa Timmers porta il cognome del gesuita olandese che la scoprì nel 1946. Ma poi anche il cielo di Castelgandolfo si rivelò troppo disturbato dalle luci di città. E così, cerca cerca, negli anni Ottanta nacque la decisione di creare un nuovo osservatorio in Arizona. L'università di Tucson fornì la lente a specchio, diametro metri 1,83, prototipo della più avanzata tecnologia. Un gruppo di magnati americani offrì 3 milioni e mezzo di dollari per l'intera struttura. E il Vaticano disse a tutti grazie. Padre George V. Coyne, l'attuale direttore della Specola, e gli altri gesuiti astronomi vivono dieci mesi dell'anno in Arizona e due a Castelgandolfo, dove d'estate tengono convegni di scienziati e corsi d'astronomia, con borse di studio per chi viene dai paesi poveri. Nel 1991, la Specola ha organizzato una scuola estiva di tre settimane addirittura per vescovi. Vi parteciparono in 19. E sarebbero stati 20 se l'allora arcivescovo di Buenos Aires, oggi volato in cielo, Antonio Quarracino, non avesse dato forfait perché nominato cardinale proprio alla vigilia del corso. Anche a papa Karol Wojtyla capita di far capolino tra gli astronomi. Una volta, durante un simposio in Vaticano, s'imbatté nell'inglese Stephen Hawking, il celebre autore della teoria dell'universo prima del big bang: "Piccolo come un pisello e sospeso in uno spazio senza tempo". Hawking aveva appunto finito di sostenere, nella sua conferenza, che l'universo non ha avuto un inizio e che quindi non c'è stata creazione. Il papa gli rispose tranquillo: "La Bibbia non vuole insegnarci come è stato fatto il cielo, ma come si va al cielo". Quello degli extraterrestri è un altro dei punti critici che sembrano contraddire la tradizionale visione cristiana del cosmo. Padre Coyne non si scompone: "La vera sorpresa è che nell'universo c'è la vita. Sulla terra e, perché no?, magari anche fuori della Terra". Quando due anni fa su un meteorite caduto da Marte nell'Antartide furono scoperte tracce di un fossile, Coyne spedì immediatamente al Polo Sud un suo confratello astrofisico, Guy Consolmagno, alla caccia di altri reperti di vita dal vicino pianeta. E fece ristudiare da capo i meteoriti che la Specola ha in custodia a Castelgandolfo, una delle più ricche collezioni esistenti. Niente ferma i gesuiti astronomi. Nemmeno gli ambientalisti e gli Apache. Coyne sorride: "A sentir loro, mi viene da pensare che se qualcuno di essi fosse stato presente alla creazione del mondo, avrebbe detto a Dio: 'Okey, adesso basta. Hai fatto gli uccelli, non creare l'uomo, sarebbe solo capace di rovinare tutto'. Meno male che non è andata così".
Fonte: http://www.chiesa.espressonline.it