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In Zero Privacy si citano 3 casi che, fossimo rane meno prossime al punto di cottura, dovrebbero vederci sparire dalla rete, limitandoci alle sole attività burocratiche rese ormai obbligatorie.

 

 

1. Nel 2012, un ragazzo che sta per partire per una vacanza a Los Angeles invia un messaggio via Twitter a un’amica: “Ehi, che ne dici di andarci a bere una birra prima che vada a distruggere l’America? Un bacio”. Un paio di giorni dopo si imbarca e, giunto al controllo passaporti dell’aeroporto di Los Angeles, viene avvicinato e scortato da un paio di poliziotti in una stanza della polizia aeroportuale dove viene trattenuto per 5 ore per essere interrogato sul suo account Twitter. Poi viene trasferito in una prigione cittadina e lì ulteriormente interrogato, fino al rilascio il giorno dopo. Il suo reato? L’aver inviato quel messaggio all’amica via Twitter. I software che controllano e tracciano ogni cosa che facciamo diciamo via web lo hanno segnalato come un allarme per la sicurezza nazionale americana per via di quel “…distruggere l’America”. Un software non è in grado di stabilire se il tono di ciò che scriviamo sia scherzoso o meno, e i poliziotti non sono tenuti ad avere il senso dell’ironia. Così oggi, questo simpatico burlone irlandese, sa che ogni qual volta si troverà a transitare in un aeroporto dovrà aspettarsi di subire controlli e interrogatori come immaginiamo succeda a un qualsiasi “sospetto terrorista”. Per un Tweet.

2. Una sera, stanco della giornata, un attore newyorkese decide di rilassarsi vedendosi Fight Club prima di andare a lezione di yoga. In una scena del film si parla di una particolare arma, fin lì a lui sconosciuta, e per cazzeggio decide di riportare testualmente il dialogo dove nel film parla di quest’arma. Pochi minuti dopo bussano alla sua porta: agenti dei servizi segreti, armati di tutto punto, entrano senza chiedere permesso e iniziano a buttargli sottosopra la casa cercando… Cosa? Uno degli agenti trova una scatola dove l’attore aveva riposto i suoi vecchi riconoscimenti militari, così inizia a chiacchierare con lui chiedendogli poi a un certo punto: “Ehi, sai cos’è l’arma tipo xy (cioè quella di cui lui aveva appena trascritto il dialogo su Facebook citando Fight Club)?”. La cosa che sorprende maggiormente l’attore è che non capisce come abbiano fatto ad arrivare a lui in pochi minuti, abita in quella casa da pochi giorni, l’appartamento non è intestato a lui e la sua residenza risulta tuttora da un’altra parte della città: non c’é modo che qualcuno abbia potuto per caso sapere dove si trovasse, a meno non risalisse a lui in base alla localizzazione dell’Ip del computer con il quale si era appena collegato a Facebook. Alla sua domanda su come siano arrivati a lui, gli rispondono prima, che avevano ricevuto una telefonata da un suo “amico” e poi, visto che come nel suo diritto chiede di sentire la registrazione della telefonata, gli viene detto che no, la segnalazione era stata fatta direttamente al posto di polizia lì vicino, e con questo gli si chiude ogni possibilità di risalire a chi abbia tratto le conclusioni che il suo messaggio su Facebook dovesse far ritenere l’uomo, che nessuno sapeva dove abitasse, “pericoloso” al punto da muovere, nel giro di pochi minuti, un’intera pattuglia di agenti segreti che gli butta all’aria la casa. Per un innocente messaggio su Facebook.

3. Un attempato professore inglese di antropologia racconta che in occasione del matrimonio di William&Kate (aprile 2011), aveva organizzato con un gruppetto di teatranti una sorta di flash-mob in costume allo scopo di contestare le enormi spese che furono allora sostenute (con soldi pubblici) per garantire i servizi di sicurezza durante il tragitto della reale carrozza lungo le strade cittadine londinesi. Per organizzare il flash-mob, il professore aveva scambiato con altri manifestanti-teatranti dei messaggi via BlackBerry per accordarsi sul luogo e l’ora dell’incontro. Giunto all’appuntamento, in abiti teatrali come gli altri del gruppo, subito sono stati circondati da poliziotti i quali parevano sapere esattamente chi controllare, dato che si avvicinarono solo a loro e procedettero all’arresto di una cinquantina di persone in costumi teatrali, fra cui l’anziano professore. Portati tutti alla più vicina stazione di polizia, furono trattenuti fino alla fine dello svolgimento della “passeggiata” reale e rilasciati dopo parecchie ore. Strattoni, modi bruschi, interrogatori, segnalazione nei registri di polizia solo per aver pensato di inscenare una contestazione accordandosi su ora e luogo via BlackBerry. Nessuna scuse, nessun "ci dispiace". Quei poliziotti, come è evidente, sapevano perfettamente cosa si erano messaggiati fra loro via BlackBerry, e lo scopo dell’arresto era di impedire a dei teatranti di strada di contestare pubblicamente la coppia di sposini reali. Nonostante Edward Snowden e nonostante Julian Assange, quando si parla di “privacy” e controllo da Grande Fratello capace ormai di bloccarti un account senza nemmeno lo sforzo di darti un preavviso, c’é chi ancora si aggrappa a resistenze psicologiche del tipo: ”Non ho nulla da nascondere”. Nemmeno nell’invitare un’amica per una birra c’é nulla da nascondere, tant’é che il simpatico irlandese lo fa via Twitter, non lasciando messaggi cifrati nel buco di un convenuto albero del viale cittadino. Nemmeno il simpatico attore che ha trascritto una frase da Fight Club, pensava di aver nulla da nascondere, tant’é che la trascrive su Facebook, non la verga con inchiostro simpatico lasciando poi il messaggio dentro a un libro convenuto di una biblioteca pubblica così che il compare aspirante a un incarico all’MI5 lo trovi. Tantomeno aveva qualcosa da nascondere il professore che con il suo gruppo di teatro aveva organizzato una contestazione in costume lungo le vie di Londra per rendere un ironico omaggio alla coppia di sposini reali. Eppure, sono stati tutti testimoni di come funzioni e a cosa portino nascosto nel ventre quegli apparentemente innocenti social network cui cediamo ogni informazione sulla nostra quotidianità, completa di foto, corredata da like e arricchita dai commenti dei nostri follower dei quali, in realtà, tranne di quei pochi che conosciamo realmente, non sappiamo per lo più nulla. Leggevo stamattina di un ulteriore passo avanti nel controllo pervasivo di chi siamo, cosa facciamo, cosa pensiamo, cosa cerchiamo in rete. Facebook traccerà gli utenti che si recheranno nei negozi degli inserzionisti grazie alla geolocalizzazione e alle reti wi-fi. Naturalmente rassicurano che i dati raccolti dal nostro smartphone circa le nostre navigazioni e attività in rete, non saranno che dati aggregati, quindi non ci sarebbe una vera identificazione personale che contrasti con la nostra privacy, così molti ancora diranno: “Che m’importa? Non ho nulla da nascondere”.

Un’altra notizia di stamattina è quella per cui gli Usa si riservano il diritto di sequestrare qualsiasi server in ogni parte del mondo. Ma che importa? “Tanto non ho nulla da nascondere”. La terza notizia sul tema privacy è quella per cui Yahoo starebbe brevettando un tipo di pubblicità basata sui sistemi di video sorveglianza piazzati in luoghi pubblici – piazze, aeroporti, treni, ecc. – “questi cartelloni pubblicitari elettronici si avvalgono di sistemi di videosorveglianza diretti e indiretti. Un sistema che sfrutta videocamere, satelliti, droni, microfoni, sensori di movimento e scanner biometrici (impronte digitali, riconoscimento facciale) e utilizza tutte le informazioni accumulate tramite questi mezzi per riconoscere ogni persona che si avvicina a uno dei cartelloni e servire pubblicità che presentino un tema comune a tutti i presenti nelle vicinanze”. Leggi l’articolo originale su ZEUS News . Ma tanto “Io non ho nulla da nascondere”. Mentre pensiamo sempre più spesso di essere prossimi a un futuro orwelliano, sembriamo non voler essere consapevoli di vivere già in un mondo in cui le nostre vite, grazie all’attrazione che ha su di noi la “gratuità” della rete e ai social che ci attirano più che le mosche sul miele, siamo già oltre Orwell. Presi nella rete dalla nostra vanità che ci fa cedere tutto per un mezzo minuto di notorietà per un selfie, un like, un tweet azzeccato (un post…), ecc, minuto dopo minuto, giorno dopo giorno, anno dopo anno, siamo già ora rane così bollite da non reagire nemmeno più al lento e progressivo togliersi della nostra pelle se non con un consenziente: “Che m’importa, tanto non ho (più) nulla da nascondere”.

Anni fa, ben prima dei social e di Whatsapp, in rete girava una massima: “L’unico computer sicuro è un computer spento”. Oggi nemmeno questo è più un consiglio valido: i nostri smartphone, e perfino le nostre (le vostre) ipertecnologiche tv, sono ormai in grado di catturare suoni di casa e localizzarvi anche a dispositivi spenti.

Nel film Zero Privacy (linkato qui sotto), verso la fine, si vede un blogger appostarsi nei pressi della villa di Mark Zuckerberg. Si chiede: “Se pubblicamente ci invita a non avere segreti e a giudicare con sospetto chi ne ha, lui coerentemente con quanto dice pubblicamente ci aprirà la porta e parlerà con noi di tutto senza zone d’ombra sulla sua privacy”. Quando dopo qualche ora Mark finalmente esce di casa, a piedi, per avviarsi al lavoro, non risponde alle domande del blogger e cammina in serrato cupo silenzio, tutto impettito e seccato. Quando il blogger insiste chiedendogli se può cortesemente rispondere a qualche domanda, Mark gli chiede se può prima spegnere la telecamera. Avendone una seconda nascosta, il blogger spegne la prima e riprende con la seconda (non dobbiamo avere segreti, giusto?). Convinto di non essere più ripreso, Mark Zuckerberg si rilassa visibilmente, accenna perfino un imbarazzato sorriso, e puntualizza che non risponderà a domande personali, invitando il blogger a prendere un appuntamento con l’addetto alla comunicazione di Facebook se vuole un’intervista. Solo Facebook non ha privacy, Mark Zuckerberg invece la sua la difende molto più attentamente di quanto facciano i suoi ammiratori.

Un’ultima banale domanda: qualcuno di quelli che “Non ho niente da nascondere”, si è mai chiesto come facciano Big G e FB a far soldi a palate? Come mai, se concedono a chiunque email e social gratuitamente sono entrambi diventati i colossi finanziari che sono? Non sarà che gli unici a concedere loro gratis tutto siamo noi, ben sapendo ormai che loro vendono a caro prezzo perfino i dettagli più intimi delle nostre vite reali? E non sarà che proprio cedendo volontariamente e gratuitamente alla rete anche le informazioni più personali, con l’illusione della gratuità della rete, ci siamo lasciati imbrigliare in un sistema di sorveglianza così capillare sulle nostre vite che nemmeno Orwell era a ipotizzare? Il Mondo Nuovo non è di là da venire, è quello che già ci vede a protestare innocui e tranquilli davanti a una tastiera, anziché prenderla a martellate.

Fonte: http://rossland.blogspot.it

 


 

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