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Per loro fortuna, gli Americani non sono mai stati sotto un bombardamento aereo. Almeno sulla loro patria. Quindi escludiamo Pearl Harbour o il Vietnam o il resto…

Sui cieli statunitensi continentali, hanno invece avuto un “falso” bombardamento. Altre decine di migliaia ne hanno immaginato ad Holliwood, ma questo è un altro film!

Stiamo parlando del 25 febbraio 1942, quindi pieno tempo di guerra e della cosiddetta battaglia di Los Angeles (in inglese battle of Los Angeles o anche Great Los Angeles Air Raid), è il nome con cui è chiamato l'allarme causato da un presunto attacco aereo nemico, usualmente addebitato all'Impero giapponese, su Los Angeles, California, e la conseguente risposta dell'artiglieria contraerea statunitense, nella notte fra il 24 e il 25 febbraio 1942.

L'evento si svolse a tre mesi di distanza dall'attacco di Pearl Harbor, che aveva provocato l'entrata nella seconda guerra mondiale degli Stati Uniti d'America.

Almeno inizialmente, si credette che la contraerea stesse rispondendo ad una vera incursione aerea giapponese, finché il segretario alla Marina William Franklin Knox, in una conferenza stampa poco dopo i fatti, non derubricò l'incidente come un «falso allarme». Tuttavia, i giornali del tempo pubblicarono ben presto una serie di rivelazioni sensazionalistiche, sospettando un'azione di insabbiamento. Una minoranza di ufologi ha suggerito che l'obiettivo fosse un velivolo extraterrestre. Altre teorie del complotto affermano che l'incidente fosse stato orchestrato dal governo per terrorizzare la popolazione dell'area e facilitare lo spostamento delle industrie belliche della California meridionale nell'entroterra, come sostenuto già all'epoca del deputato californiano Leland Ford, oppure per giustificare l'internamento in campi di concentramento dei cittadini statunitensi di origine giapponese che era stato autorizzato qualche giorno prima, e sarebbe avvenuto di lì a poco.

Nel 1983 l'ufficio storico dell'United States Air Force concluse che l'allarme iniziale fu causato da palloni meteorologici.

Nella notte fra il 24 e il 25 febbraio 1942, ci fu comunque un'ondata di allarmi aerei in tutta la California meridionale. Nella giornata del 24, l'ufficio dell'intelligence navale aveva diramato un avviso in cui indicava come probabile un attacco aereo «entro dieci ore». Il primo allarme, a vuoto, fu suonato alle 19:18 del 24 e revocato alle 22:23. Alle 02:15 del 25, i radar registrarono un oggetto volante non identificato a 193 chilometri ad ovest di Los Angeles e l'artiglieria contraerea fu messa in stato di «allarme verde», vale a dire pronta al fuoco. L'aviazione mantenne i suoi caccia dell'8º comando d'intercettazione al suolo, attendendo notizie più precise prima di impiegare le sue limitate forze, insufficienti a presidiare tutto il territorio che era loro assegnato. Alle 02:21, con gli ipotetici nemici a non più di pochi chilometri dalla costa, fu ordinato un black out generale. Furono mobilitati tutti i dodicimila air raid warden, i riservisti civili con il compito di vigilare sull'attuazione delle norme di sicurezza in caso di attacco aereo. A quel punto, però, i radar persero il segnale di qualsiasi cosa avessero tracciato fino ad allora. Nonostante ciò, si moltiplicarono gli avvistamenti: alle 02:43, furono osservati aerei a Long Beach, e un colonnello dell'artiglieria costiera riportò «25 aerei a 3.650 metri» sul centro urbano di Los Angeles.

Alle 03:06, un pallone aerostatico con un razzo di segnalazione rosso fu avvistato su Santa Monica e quattro batterie della 37ª brigata d'artiglieria costiera aprirono il fuoco all'impazzata con proiettili da 5,8 kg, sparandone quasi millecinquecento in tutta la nottata, a volte senza nemmeno mirare e in genere limitandosi a seguire i fasci di luce dei proiettori a terra, senza badare se inquadrassero qualcosa o meno; presi dall'eccitazione, molti militari appiedati bersagliavano inutilmente il cielo con pistole, fucili, mitra e mitragliatrici da 37 mm; persino un cacciatorpediniere in secca in un cantiere vicino contribuì con le sue armi di bordo. Fari da ricerca perlustravano il cielo buio e oscurato dal fumo delle esplosioni; nel frattempo, le più disparate segnalazioni sommergevano i centri di comando: innumerevoli "aerei", ad altitudini e velocità diversissime, venivano osservati su tutta la contea, si parlò di quattro velivoli abbattuti e di un quinto che si era schiantato in fiamme fra le colline di Hollywood; ci fu chi credette di osservare veri e propri duelli aerei nel cielo, e chi — falsamente — accusò gli statunitensi di origine giapponese di star accendendo luci di segnalazione per indicare ai loro compatrioti gli obiettivi da bombardare, facendone arrestare più di trenta. Finalmente, alle 04:14, fu diramato l'«all clear» e revocato l'allarme. Il black-out fu annullato solo alle 07:21 del mattino seguente.

Fu solo all'alba che ci si rese conto che, nel caos della "battaglia", il fuoco amico delle batterie antiaeree aveva danneggiato parecchi edifici, ucciso quattro o cinque civili, provocato tre morti per infarto, centrato diverse vacche in un pascolo e ferito molte persone per via della grandine di schegge, frammenti e granate inesplose che si abbatté sulla città, e che fu quantificata in più di dieci tonnellate di metallo. Oltre a ciò, durante il black-out vi furono molti incidenti stradali, che costarono la vita ad almeno due persone, un poliziotto ed una donna.

Già nella mattinata del 25 febbraio, immediatamente successiva all'evento, infuriò una dura discussione su cosa fosse successo realmente nella notte. La Marina sostenne fin dall'inizio che si era trattato di un falso allarme, provocato dal «nervosismo da guerra» (war nerves), linea confermata dal segretario alla Marina William Franklin Knox in una conferenza stampa dello stesso giorno. Nella stessa occasione, però, Knox affermò che attacchi simili rimanevano pur sempre possibili ed espresse la necessità di spostare le industrie belliche californiane nell'entroterra, dove sarebbero state più protette. Questo diede adito all'ipotesi che il raid fosse solo un modo per convincere i cittadini ad accettare questo trasferimento come necessario ed inevitabile.

Meno chiara era la posizione dell'Esercito.Un rapporto a Washington del Western Defence Command, inviato poco tempo dopo la fine del presunto raid, indicava come la credibilità dell'attacco fosse considerata scarsa già prima che fosse revocato il black-out. Nel testo, si prevedeva che «la maggior parte dei rapporti precedenti sarà considerata grandemente esagerata». Anche la Quarta Air Force dell'Aeronautica militare, allora dipendente dall'Esercito, indicò di non ritenere che ci fossero stati aerei nemici in volo, quella notte.

Della faccenda si interessò anche il presidente Franklin Delano Roosevelt. Il 26 febbraio, chiese, «alla luce dei due allarmi della scorsa notte», al segretario alla Guerra Henry L. Stimson chi fosse preposto a dichiarare l'allarme aereo negli Stati Uniti, se ciò fosse possibile a qualcuno all'infuori dell'Esercito e suggerì di lasciare tutti i commenti sul caso ai funzionari del dipartimento governativo responsabile. Lo stesso giorno, il generale George Marshall, capo di Stato maggiore dell'Esercito, inviò al presidente un memorandum in cui riassumeva la versione degli eventi dell'Esercito.

Nel febbraio 1942, gli Stati Uniti erano entrati nella seconda guerra mondiale da meno di tre mesi e la situazione generale era tetra: le truppe statunitensi, appena reduci dello shock di Pearl Harbor, arretravano nelle Filippine, ricacciati dall'Impero giapponese; in Africa, i britannici erano respinti dall'Afrikakorps; in Europa, sul fronte orientale, i sovietici riuscivano a malapena a tenere la linea a difesa di Mosca e Leningrado. La tensione era palpabile e il timore di un'aggressione giapponese della West Coast diffuso. L'intera costa californiana era stata militarizzata, disseminata di postazioni di contraerea e di proiettori di ricerca; era stato formato un Civil Defense Program, i cui membri avrebbero dovuto assicurare l'applicazione delle norme di sicurezza in caso di attacco nemico. L'antiaerea effettuava regolari esercitazioni notturne in cui sparava verso bersagli d'addestramento e veniva messo in atto un black-out notturno per impedire ad eventuali sommergibili nemici di individuare il profilo delle navi contro la costa illuminata.

Il rischio dei sommergibili era reale. Alle 19:07 del 23 febbraio, quindi solo un giorno prima del Great Los Angeles Air Raid, il sommergibile I-17 della Marina imperiale giapponese, al comando del capitano di fregata (Kaigun Chūsa) Kozo Nishino, emerse al largo della raffineria petrolifera di Ellwood, nei pressi di Santa Barbara, e la bombardò con diciassette colpi del suo cannone da 14 cm, provocando danni risibili (500$ in lavori di riparazione e un ferito, un uomo che stava cercando di disinnescare una granata inesplosa) e reimmergendosi dopo una ventina di minuti.

Daniele Vanni.

 

Fonte: http://www.dilucca.it

 


 

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