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Gli scienziati della Chalmers University of Technology hanno per la prima volta creato la luce dal vuoto. Cosa significhi esattamente verrà spiegato più avanti, ma questo esperimento è la dimostrazione di un effetto, predetto oltre 40 anni fa e mai realizzato in laboratorio prima d'ora.

 

 

L'esperimento si basa su uno dei principi fondamentali della fisica quantistica: il vuoto, in realtà, non è affatto vuoto, ma pieno di particelle vaganti che continuano a fluttuare non solo nello spazio, ma anche nel tempo, e probabilmente in qualche ipotetica dimensione o universo parallelo.

Queste particelle appaiono e scompaiono in continuazione, e la loro esistenza nel nostro universo dura soltanto qualche frazione infinitesimale di secondo. E' quindi facile capire perchè vengano definite "particelle virtuali": secondo i calcoli dovrebbero essere reali, ma nessuno le ha mai osservate finora.

Il problema principale nello studiare queste particelle virtuali è l'impossibilità di determinare quando possano apparire nella nostra realtà. Si può fornire un dato statistico sulla loro quantità in un determinato volume di spazio, ma non si può sapere con certezza se in un dato istante esistano o meno.

Per poter osservare queste particelle, e farle passare da uno stato di particella virtuale ad uno di particella reale, è necessario sfruttare ciò che viene definito effetto Casimir.

L'effetto Casimir è una forza che si manifesta quando due corpi sospesi nel vuoto si avvicinano. Non si tratta di attrazione gravitazionale, ma di una serie di fluttuazioni di particelle virtuali che tendonono a far avvicinare i due corpi.

Casimir predisse che due piastre metalliche parallele, distanti tra loro pochi micron e immerse nel vuoto privo di qualsiasi campo elettromagnetico, tendono ad attrarsi per via dell'azione delle particelle virtuali.

Dato che tra le due piastre possono esistere solo particelle virtuali, quelle che possiedono una lunghezza d'onda pari ad un sottomultiplo della distanza tra le lastre generano una forza attrattiva.

Negli anni '70, il fisico Moore predisse che i fotoni virtuali potessero essere osservati e "catturati" sfruttando l'effetto Casimir dinamico: per ottenere questo risultato, occorrerebbe far rimbalzare i fotoni virtuali contro uno specchio che si muove a velocità prossime a quella della luce.

"Dato che non è possibile far muovere uno specchio abbastanza velocemente, abbiamo sviluppato un altro metodo per ottenere lo stesso effetto" spiega Pan Delsing, professore di Fisica Sperimentale alla Chalmers. "Invece che variare la distanza fisica rispetto allo specchio, abbiamo variato la distanza elettrica rispetto ad un corto circuito elettrico che agisce come specchio per le microonde".

Per spiegarla in termini più comprensibili, i ricercatori non hanno spinto uno specchio a velocità estreme, cosa praticamente impossibile allo stato attuale della tecnologia, ma lo hanno fatto vibrare ad una velocità pari al 25% di quella della luce.

Lo specchio è composto da un componente elettronico definito come SQUID (Superconducting quantum interference device), capace di percepire i campi magnetici con estrema accuratezza. Cambiando la direzione del campo magnetico miliardi di volte al secondo, i ricercatori sono stati capaci di far vibrare lo specchio ad una velocità pari ad 1/4 di quella della luce.

"Il risultato è stato che i fotoni appaiono in coppie dal vuoto, e siamo stati in gradi di misurarli sotto forma di radiazione di microonde. Siamo stati anche capaci di stabilire che la radiazione ha precisamente le stesse proprietà che la teoria dei quanti dice che dovrebbe possedere quando i fotoni appaiono a coppie in questo modo".

I fotoni virtuali non sono le uniche particelle in grado di apparire dal nulla nel vuoto, ma sembrano essere le uniche a possedere le caratteristiche adatte per "indurli" ad manifestarsi, in particolare la loro assenza di massa. "E' necessaria un'energia relativamente piccola per eccitarli e farli uscire dal loro stato virtuale. In principio, si potrebbero creare anche altre particelle dal vuoto, come elettroni e protoni, ma richiederebbe molta più energia" spiega Göran Johansson, professore di fisica teorica della Chalmers.

Che implicazioni può avere un esperimento del genere? Prima di tutto teoriche, perchè contribuirà a comprendere più a fondo le misteriose fluttuazioni quantistiche del vuoto e ha svelare principi fondamentali della fisica grazie allo studio delle particelle elementari.

Possiamo anche spingerci nella fantascienza, e ipotizzare lo sfruttamento dell' "energia del punto zero" in un futuro probabilmente remoto. Ma siamo fin troppo lontani dal capire i principi cardine della fisica del XXI° secolo per poter azzardare scenari improbabili. Il vero problema non è l'esistenza dell'energia del vuoto, ormai dimostrata sperimentalmente in diverse occasioni, ma la possibilità di accumularla e utilizzarla.

Fonte: http://www.ditadifulmine.com

 


 

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