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Gli scienziati alla ricerca di vita extraterrestre si sforzano di trovare metodi per individuarla anche tramite osservazioni fatte dalla Terra, sostanzialmente con i nostri telescopi sia terrestri che orbitanti. Proprio per questo sono alla ricerca delle cosiddette “tecnofirme”, ossia quegli indizi che possono indicare la presenza di vita intelligente. Una “classica” tecnofirma è la cosiddetta sfera di Dyson: nel caso trovassimo una stella con un livello di luminosità anormale, ad esempio intermittente, indicherebbe l’esistenza di una qualche struttura che la circonda, anche parzialmente, per sfruttare al massimo l’energia irradiata dall’astro, una cosa che, abbastanza evidentemente, deve essere stata costruita da una civiltà extraterrestre.

Questa può essere considerata come la tecnofirma più nota e famosa ma potrebbero esisterne molte altre, anche più fattibili, almeno dal nostro punto di vista, e non così fantascientifiche. Tra queste, secondo un nuovo studio apparso su arXiv, a firma di Zaza Osmanov, fisico del Laboratorio di Astrofisica Nazionale Georgiano, potrebbero esserci anche le megacostellazioni di piccoli satelliti, come la rete di satelliti Starlink che è in corso di realizzazione da parte della SpaceX. Anche altre civiltà potrebbero aver fatto lo stesso, in modalità ancora più grandi e “generose”.

Queste strutture, orbitanti intorno ai pianeti occupati da queste civiltà, potrebbero essere già oggi visibili dagli strumenti che già possediamo. Uno di questi è il Very Large Telescope (VLT) in Cile. Lo scienziato calcola che con questo telescopio si potrebbe individuare una struttura del genere fino a 280 a.l. di distanza, una distanza che comprende circa un migliaio di stelle simili al sole, dunque stelle che, almeno potenzialmente, potrebbero ospitare la vita come la conosciamo.

Il concetto, infatti, è che la ricerca di vita oggi, con gli strumenti che abbiamo, dovrebbe concertarsi perlopiù sulla ricerca di civiltà intelligenti tecnologicamente di millenni più avanzate di noi. Una civiltà del genere, ad esempio una di Tipo I sulla scala di Kardašëv, non dovrebbe avere molti problemi a costruire una rete di satelliti o comunque megastrutture planetarie fatte di oggetti solidi orbitanti intorno al proprio pianeta. Una megastruttura del genere potrebbe essere individuata tramite l’osservazione del modello di emissione all’infrarosso da molti anni luce di distanza da un grande telescopio come il VLT.

Un altro metodo, secondo ricercatori, per individuare strutture del genere rotanti intorno ad un pianeta potrebbe essere quello della variabilità spettrale. Infine un ultimo metodo potrebbe essere quello del rilevamento delle emissioni radio operanti sulla frequenza degli atomi di idrogeno. In tal senso il radiotelescopio FAST in Cina, considerato come il radiotelescopio più grande e sensibile del mondo, potrebbe rivelarsi molto utile.

Fonte ed altri link: https://notiziescientifiche.it

 


 

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