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L’F-35 è uno dei caccia più discussi dall’inizio del suo progetto e delle prime commesse internazionale. Il programma è considerato il fiore all’occhiello dell’industria bellica americana. E gli Stati Uniti hanno da anni avviato una martellante campagna di vendita ai partner internazionali. Ma perché Washington sta puntando in maniera così vigorosa su questi caccia multiruolo? Semplice economia?

Certo, quella aiuta tantissimo. I miliardi incassati dalla Lockheed Martin entrano nel circuito economico degli Stati Uniti alimentando l’apparato militare-industriale americano e, a loro volta, l’industria nazionale. Gli stabilimenti lavorano, i soci incassano e la politica Usa ottiene un volano per l’economia importantissimo. E non è un caso che Donald Trump abbia spinto, in maniera quasi spasmodica, per vendere il programma e chiedere agli altri alleati di perseguire nell’acquisto si questo caccia e, se possibile, aumentarne le commesse.

Il fatto però è che pensare agli F-35 solo in ottica di commesse, rischia di non dare la reale percezione dell’importanza di questo programma. Perché dietro a questo nuovo caccia, che è anche un mezzo pronto per il cyberwarfare, c’è di mezzo anche la capacità di registrare i dati da parte dei software inseriti all’interno dell’aereo. E la questone non è affatto secondaria, dal momento che rappresenta un vero e proprio “cavallo di Troia” della difesa Usa all’interno delle aviazioni militari alleate, come scritto da Giampaolo Cadalanu su Repubblica.

Come spiega il quotidiano, “alla Lockheed è stato attribuito il compito di creare un firewall ‘che dia ai partner internazionali la possibilità di rivedere e bloccare i messaggi per prevenire la perdita di dati sovrani’. In parole povere, le diverse Forze armate vogliono poter scegliere quali dati raccolti dal cacciabombardiere condividere con l’hub di comunicazione centrale (che ovviamente sarà in Usa) e quali invece riservare per la conoscenza ai soli operatori nazionali”.

Questo cosa significa? Che dagli Stati Uniti possono controllare tutti i dati registrati dal caccia mentre esso è operativo nei cieli nazionali e internazionali. E parliamo di un flusso di dati immenso, dal momento che l’aereo è altamente computerizzato e supporta la guerra nei vari domini, non solo quello del cielo ma anche quello cyber. L’F-35 registra tutto. E tutto è inserito all’interno di un software, l’Alis (acronimo di Autonomic Logistics Information System), che ha sede non nei singoli Paesi che utilizzano l’aereo, ma in Texas, precisamente a Fort Worth. Un problema non secondario, dal momento che le Difese dei vari partner del programma vogliono avere garanzie particolarmente chiare sulla sicurezza dei dati di volo di questi aerei.

La questione, che dal punto di vista militare è chiarissima. La guerra si sta trasformando in una sfida cyber e questo implica che i software e i componenti dei singoli mezzi da guerra siano al centro di una sfida di fondamentale importanza fra chi progetta, realizza e vende queste parti. Avere un paese che possiede “le chiavi di accesso” di un mezzo significa consegnargli una parte della propria sicurezza nazionale. E se per noi il problema è rappresentato dai codici degli F-35 o dal firewall che comunica i dati direttamente nella centrale americana, anche il Pentagono ha i suoi problemi.

Uno di questi è legato per esempio alla Cina. I vertici militari statunitensi hanno già segnalato che la presenza ormai enorme di componenti cinesi nei missili e nei sistemi di difesa americani genera il rischio che queste parti contengano malware con cui Pechino non solo più monitorare la Difesa statunitense ma anche controllarne, eventualmente, l’utilizzo, per esempio disattivando il software cinese. Il problema è che oggi la Difesa degli Stati Uniti dipende, in larga parte, proprio dall’industria elettronica cinese. E finché non ne avrà una nazionale in grado di soddisfare tutte le richieste interne, sarà costretta a utilizzare il made in China. Con tutti i rischi che esso implica.

Ma c’è poi un profilo di natura politica, che per noi italiani ed europei è fondamentale. Qual è il confine fra alleanza e subordinazione nel momento in cui gli Stati Uniti possono controllare i dati dei nostri caccia? La questione non è secondaria. E non è un caso che il governo americano sia stato da subito molto preoccupato dall’idea di una Difesa comune europea che puntasse a una centrale d’appalto europea e sulle imprese del nostro continente. I rischi non sono solo di natura economica, ma soprattutto strategica. Prova ne è lo scontro con la Turchia sulla vendita degli F-35 contemporanea all’acquisto da parte di Ankara del sistema S-400 russo.

Fonte: http://www.occhidellaguerra.it

 

 

 

 

 

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