Lo confesso: non ce la faccio. È come se sentissi costantemente un rumore in sottofondo, un fischio stridente, un ghigno di dileggio proveniente da chissà dove. Insomma, mi dispiace ma io proprio non riesco a crederci fino in fondo, non riesco a prendere davvero sul serio le previsioni sul futuro.
Mi spiego meglio. Nutro un'ammirazione sconfinata per Yuval Noah Harari; ho acquistato e divorato il suo saggio Homo deus, "Breve storia del futuro" appena è uscito. È una bellissima lettura, non c'è che dire. Harari tratteggia con mano sapiente l'avvenire. Parla di come la vita umana verrà allungata e dell'ipotesi di raggiungere, in alcuni casi, l'immortalità. Parla di impianti e biotecnologie che ci trasformeranno in cyborg, parla dell'intelligenza artificiale e delle sue disastrose conseguenze sul mercato del lavoro.
Certo, la sua prosa è lucida e pacata, il suo procedere è consequenziale. Certo, Harari cita riccamente dati, date e luoghi dei fatti, nomi dei ricercatori. Eppure una parte di me, oscuramente, ha il sospetto di stare leggendo un godibilssimo romanzo di fantascienza e che le previsioni di Harari non siano più attendibili di quelle di Philip K. Dick. Quest'ultimo, vale la pena di ricordarlo, aveva ambientato Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (tradotto in Italia anche come Il cacciatore di androidi) nell'anno 1992. Poi il 1992 è arrivato sul serio. Ma, se la memoria non mi inganna clamorosamente, non c'era l'ombra di un androide in giro. Anzi, 10 anni prima, nel 1982, dal romanzo di Dick fu tratto il celeberrimo film Blade Runner; e, visto l'andazzo, si pensò di posticipare l'ambientazione al 2019. Si dà il caso, tuttavia, che anche il 2019 sia arrivato e ancora siamo ben lungi dal poter incontrare androidi per strada. Tanto più dall'avere bisogno di specialisti per distinguere i replicanti dai veri umani e di cacciatori appositi.
Ma non divaghiamo. Torniamo ad Harari e alle altre previsioni dotate di un approccio scientifico. Cosa mi rende così diffidente? Non so dirvelo con certezza. Ma ho il sospetto che la colpa sia principalmente di un paio di storie che conosco.
Ecco la prima.
Siamo alla fine del XIX secolo. Nelle città ci si muove a piedi o a cavallo. Scorrazzano tanti, tantissimi cavalli. Anno dopo anno l'umanità prospera, le città si estendono, la popolazione aumenta. Di conseguenza, nei centri urbani aumentano anche i cavalli. Bene. A causa di tutto ciò nell'ultimo decennio dell'800 le strade di Londra sono completamente ricoperte di sterco equino. Al punto che esisteva un mestiere: il crossing sweeper. Si trattava di persone armate di scopa che attendevano i clienti al lato della strada. Quando un pedone doveva attraversare la carreggiata, si offrivano in cambio di una mancia per creare un varco nel letame, permettendo un passaggio (quasi) immacolato. Vale la pena notare che la questione non è meramente olfattiva ed estetica, ma sanitaria. Perché nel letame di cavallo si annidano flagelli come il tetano e il tifo, tanto per fare due esempi. Male. Come è comprensibile, la questione solleva qualche inquietudine. Ci si interessa al problema, ci sono studi, si proiettano prospettive. E nel 1894 sul Times esce un articolo. Si tratta di una previsione accuratamente scientifica, basata sui nudi dati e sull'uso della fredda ragione. E la previsione dice: fra 50 anni, ossia nel 1944, le strade di Londra saranno costantemente coperte da uno strato di letame di cavallo alto 2 metri e mezzo. Malissimo. Si scatena una certa apprensione. L'orizzonte si addensa di nubi. Il fenomeno fu chiamato “The great horse manure crisis”. Quattro anni dopo a New York si tenne la prima conferenza mondiale per l'organizzazione urbana. Anche nota agli storici come “The poo conference”. Ma tutti gli sforzi furono inutili: non fu trovata nessuna soluzione.
Naturalmente nel 1944 il letame era sparito dalle strade di Londra; perché, nel frattempo, le automobili avevano soppiantato i cavalli. In compenso, 50 anni prima nessuno avrebbe potuto immaginare la Seconda Guerra Mondiale e gli scienziati impegnati nella realizzazione della bomba atomica.
Dunque la previsione è fallita clamorosamente. Era basata sui dati, era accurata, ma il futuro si è rivelato sontuosamente imprevedibile.
Come interpretare questo fatto? Le possibilità sono almeno due. C'è chi pensa che non dovremmo affatto preoccuparci del futuro, perché di qui a pochi decenni i problemi che crediamo di vedere all'orizzonte saranno spazzati via dall'innovazione tecnologica. La quale, a sua volta, ci metterà di fronte a sfide che oggi non abbiamo nessuna speranza di immaginare.
Non manca chi sostiene questa opinione nel modo più radicale. Nel 2015 il giornalista Josh Gelenter ha pubbicato un articolo intitolato “Why Climate Change Won't Matter in 20 Years” ovvero “Perché il cambiamento climatico non conterà niente fra 20 anni”. È un'interpretazione.
Ma si può adottare un punto di vista differente.
Possiamo pensare: è proprio perché dobbiamo trovare forme di energie, mezzi di locomozione, tecnologie diverse che ci servono questo tipo di proiezioni. Esse sono la prima spinta al cambiamento. Non a caso le primissime automobili, appena comparse su mercato, sono state pubblicizzate e si sono diffuse facendo leva sul problema igienico-sanitario che i cavalli comportavano. Un annuncio pubblicitario di fino '800 proponeva l'auto come alternativa alla locomozione equina. Lo slogan era “Dispense with a horse!” ossia “Rinuncia al cavallo!”. Il tono ricorda quello con cui oggi si invitano i consumatori a rinunciare alle bottigliette di plastica in favore delle borracce in metallo. L'elenco delle virtù dell'automobile riserva qualche momento di straniamento: “No odor!”, “Nessun cattivo odore!”, viene annunciato trionfalmente.
Immaginate oggi, nella pubblicità di un'auto, fra le immagini patinate, con tanto di testimonial pagato lautamente, nell'incalzare della musica, una voce suadente fuoricampo che proclama: “Non puzza!”
Dunque, a quanto pare, in questo caso è stata, almeno in parte, anche la previsione ad aver contribuito al cambiamento. Il quale, a sua volta, ha finito per smentire la previsione stessa. Se poi volessimo rimarcare quanto è imprevedibile il futuro, potremmo notare questo. Fra le cose che non era possibile prevedere nel 1894, c'era il fatto che l'automobile, mezzo inizialmente igienico e salvifico, sarebbe stata additata come una deleteria fonte di inquinamento dell'aria. Con gli ecologisti che invitano a “rinunciare all'auto” usando il treno, i mezzi pubblici, le gambe etc. Mentre ingegneri coscienziosi lavorano a tecnologie alternative e più verdi.
C'è un secondo punto, però. Che merita una seconda storia. Non solo non sappiamo quali tecnologie ci riservi il futuro. Ma, anche lo sapessimo, sarebbe molto difficile prevedere il loro reale utilizzo.
Ecco un esempio.
Anno di grazia 1876: Thomas Edison costruisce il primo prototipo di fonografo, l’antenato del giradischi. Dopodiché pensa a cosa potrebbe servire un tale marchingegno. Fa una lunga lista di tutti gli usi secondo lui possibili. Non ve la riporto integralmente. Però almeno due utilizzi ve li riferisco, perché sono semplicemente irresistibili. Uno era registrare le ultime parole dei moribondi. Immaginate la scena: “Jack, Jack, il nonno ci sta per lasciare. Vai a chiamare il prete per l’estrema unzione e... passa a comprare il disco” (in realtà al tempo si trattava di un cilindro cerato, ma non sottilizziamo). Un altro era annunciare l’ora esatta. Quindi sarebbe servito un supporto di dimensioni mastodontiche (cilindro o disco che fosse), della durata di 24 ore, da posizionare sul piatto con estrema cura, in un momento ben preciso, e poi... “Zzzzzzzz...Sono le 2! Zzzzzzzz...(dopo un quarto d’ora) Sono le 2 e un quarto! Zzzzzzzz...”. Per poi ricominciare daccapo il giorno seguente.
Stranamente l'invenzione non prende il volo. Insomma, passano un paio di anni ed Edison, deluso e amareggiato, confessa al suo assistente che secondo lui il fonografo era una invenzione inutile. Ma ecco, trascorre ancora qualche anno, e un’azienda americana immette sul mercato una specie di primitivo jukebox; cioè una macchina che, sfruttando i cilindri di Edison, permetteva di ascoltare un brano musicale selezionato dall’utente. A questa invenzione il povero Edison si mostra amareggiato, quasi offeso. Ma come, la sua geniale creazione sminuita, svilita e usata banalmente per ascoltare frivola musica?!
Ci volle una ventina d’anni perché Thomas Edison confessasse al suo assistente che sì, a conti fatti, probabilmente bisognava ammettere che il fonografo servisse soprattutto a questo: registrare ed ascoltare musica (trovate maggiori dettagli su questa storia nel meraviglioso testo di Jared Diamond "Armi, acciaio e malattie").
Ma, alla luce di quanto sopra, potrei portare un esempio più recente, per quanto analogo. Quando ero giovane, proprio negli anni in cui tentavo di laurearmi in ingegneria elettronica, irruppero sul mercato i primi telefonini in grado di scattare e condividere foto. Con la mia proverbiale lungimiranza, giudicai l'invenzione un ammenicolo irrilevante e senza il minimo avvenire.
Molti dei miei coetanei, viceversa, ne erano assai entusiasti e sborsavano somme notevoli senza battere ciglio per avere in mano uno di questi nuovi portenti. Ricordo che uno dei professori, il docente del corso di Qualità Aziendale, sminuì la cosa spiegandoci che quella era una tecnologia vecchia di dieci anni. Può darsi che avesse ragione. Ma, se così fosse, significherebbe che per dieci anni nessuno aveva trovato il modo di utilizzarla. Proprio come era successo ad Edison con il suo fonografo. Per inciso, condividendo timidamente le prime, sgranate immagini, mai avremmo previsto quale ruolo avrebbe avuto di lì a qualche anno quella tecnologia grazie a Instagram, Facebook e YouTube.
Concludo ricapitolando con una serie di domande di cui, sia chiaro, non ho le risposte. Le previsioni riguardo alle tecnologie del futuro (e ai loro problemi) sono sul serio attendibili? E se non sono attendibili, quale importanza dobbiamo attribuirvi? Nessuna, perché sono vana fantascienza e puro intrattenimento? Oppure un'importanza altissima: perché è proprio la previsione e il lavoro che ne consegue a portare alla luce la tecnologia che la smentirà?
Infine una domanda che suggerisce un diverso approccio alle previsioni sul futuro: quale nuovo uso, completamente inedito e innovativo, possiamo immaginare per le tecnologie che abbiamo già da tempo a disposizione?
Roberto Mercadini
Fonte: https://www.kobo.com