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Era una calda giornata di agosto quando, assieme a tre amici, giunsi alle porte di un paesino sulla costa nord della Sicilia, Canneto di Caronia, una minuscola e solitaria frazione che interrompe chilometri di soli alberi e scogli. Scendemmo dalla jeep con un aria che senz’altro non ci avrebbe fatto passare inosservati. Macchine fotografiche al collo, berretto in testa, e occhiali da sole che nascondevano i nostri sguardi curiosi e un po’ impauriti. Chiunque ci avesse visto arrivare avrebbe sicuramente capito che non eravamo lì per sbaglio o per una semplice gita domenicale.

Autore stefanoeliamo, scritto il 16/07/2013.

 

All’entrata di Canneto di Caronia.



Potevano essere le 15.00 del pomeriggio, c’era una meravigliosa vista sul mare, capimmo che Canneto doveva essere il complesso di case che si sviluppava in quelle poche decine di metri. La ferrovia tracciava il confine tra il paesino e la strada, ed era proprio al di sotto di quei binari che fino a poco tempo fa, accadevano i fenomeni di autocombustione di oggetti di qualunque tipo e dimensione, tanto discussi e analizzati da scienziati, studiosi e ufologi di mezzo mondo. Mi resi conto che ciò che stavo cercando era dentro gli occhi delle persone che abitavano in quel paesino di sei case, ero lì per capire come la gente aveva veramente vissuto tutti quei fenomeni, per così dire paranormali, che i media ci avevano raccontato come la trama di un film di fantascienza.

Volevo parlare con le persone, volevo capire cosa potesse significare aver vissuto realmente un esperienza di quel genere. Il tizio che gestiva un piccolo supermarket, dove comprammo qualche panino per rifocillarci dopo il lungo viaggio in macchina, ci disse che da due anni non accadeva più niente di anomalo, niente più oggetti che si incendiavano da soli e sarebbe davvero sembrato tutto normale se alla fine, l’uomo non avesse aggiunto un piccolo particolare e cioè che la batteria del cellulare, ancora, di tanto in tanto decideva di ricaricarsi da sola, senza essere collegata alla corrente. Dopo questo breve incontro, scendemmo sempre più giù verso il mare, lasciandoci alle spalle e arrivammo proprio nella zona “calda”. Più ci avvicinavamo alle case e più notavo gli sguardi delle persone che schive, si allontanavano come intimorite o forse come stanche di essere perseguitati da studiosi o da semplici curiosi.

 

Lavori di ricostruzione per i danni causati dagli incendi.



Stavo per scattare una fotografia ad una palazzina, quando la padrona di casa, seduta all’entrata, ci pregò di non immortalare la sua abitazione, ad eccezione del piano di sopra che, come ci accorgemmo presto con grande stupore, si presentava totalmente bruciato. La vecchietta ci spiegò che quel piano rialzato andò a fuoco due anni prima in circostanze inspiegabili. L’appartamento era stato totalmente incenerito da misteriose fiamme che erano state fermate in tempo, prima che l’intero piano crollasse sull’altro. In breve, tra lacrime e sospiri, la vecchietta ci raccontò il suo psicodramma e quello della sua famiglia, simile all’esperienza di altri abitanti di Canneto che in seguito alle autocombustioni avevano perduto interi patrimoni, case, oggetti, automobili, persino scarpe e magliette che si incendiavano da sole mentre ancora addosso. Tutto questo mi portò ad una riflessione spontanea, e cioè, quale sarebbe stata mai la forma di energia che avesse potuto incendiare a distanza oggetti di qualunque dimensione e qualunque materiale, con una precisione tale da non colpire mai nulla di vivente? Perché erano solamente gli oggetti a bruciarsi e mai le piante o gli alberi? Perché andavano a fuoco le scarpe di chi le indossava e mai le persone stesse?

 

Telecamere di sorveglianza puntate verso l’orizzonte.



Insomma, solamente in quel momento capì che qualunque forma di energia avesse causato quei danni, comunque, avrebbe dovuto essere un energia intelligente o quantomeno, gestita da un’intelligenza. Fotografammo delle strane telecamere posizionate sopra i tetti delle case puntate inspiegabilmente verso il mare e verso la montagna. Qualcuno ci disse che i filmati di quelle registrazioni venivano ritirati dai carabinieri ogni sera. Capimmo così che le autorità stavano ancora monitorando il mare e i cieli di Caronia. Sapevamo, da indagini precedenti, che la maggior parte di quelle telecamere doveva essere a infrarossi, nella speranza di catturare ciò che l’occhio umano non fosse stato in grado di vedere. Sono state molte infatti le segnalazioni di curiosi e abitanti del luogo relative sia ad avvistamenti di strane luci in emersione dal mare o in discesa dal cielo. Persino la vecchia signora, che si rifiutava di ricondurre quelle tragedie a cause extraterrestri, ci disse che ancora, di tanto in tanto, si potevano sentire strani suoni dei quali non si capiva la provenienza né la natura.

Dopo avere scattato qualche fotografia intorno a noi, all’orizzonte e al cielo di Caronia, tornammo verso la jeep risalendo al di là della ferrovia, e lasciandoci alle spalle un clima di mistero, di tensione, di paura e di tanto, tantissimo dolore, perché quella gente ha veramente sofferto gravi perdite senza avere avuto dalle autorità e dalle istituzioni un sostegno adeguato a compensarle. Lungo la strada del ritorno ci sentimmo comunque ancora più incuriositi e affascinati dalla realtà che la nostra escursione ci aveva presentato, avevamo respirato dal vivo l’aria di quel paesino nascosto lungo la costa siciliana, raccogliendo le parole di dolore di chi in prima persona aveva vissuto quei fenomeni che capimmo avere una natura extraordinaria, e chissà se non addirittura extraterrestre.

Fonte: http://www.tgonline.eu

 


 

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