In effetti è vero, bastava pensarci: e in questi giorni qualcuno l’ha fatto. Sta rimbalzando in rete una constatazione: per le centrali nucleari, una tempesta solare molto forte rappresenta una minaccia più concreta rispetto a un terremoto come quello che ha innescato la catastrofe di Fukushima.
Solo che il rischio dei terremoti viene preso in considerazione quando si progetta una centrale nucleare, anche se non è detto che basti: Fukushima docet, appunto. Mentre nessuno finora ha pensato a mettere in sicurezza le centrali nucleari rispetto alle conseguenze delle tempeste solari extrastrong, come quelle ritenute possibili nei prossimi anni.
Quale è il pericolo? Una super tempesta solare manderebbe in tilt per giorni le reti elettriche in una parte più o meno ampia del mondo. Ma le centrali nucleari hanno assoluto bisogno di avere sempre un allacciamento alla rete elettrica, per mantenere in funzione l’impianto di raffreddamento. Altrimenti succede quel che sta accadendo a Fukushima.
Circostanziamo. Qui si parla di una tempesta solare davvero super, con effetti persistenti. Come quella del 1859: non c’erano reti elettriche, allora, ma c’era il telegrafo, che rimase muto per due giorni. O come quella del 1921, quando i cortocircuiti misero fuori uso linee elettriche e telefoniche sulle due sponde dell’Atlantico.
Eventi molto rari, ma comunque possibili in corrispondenza dei periodici massimi dell’attività solare. Il prossimo massimo solare è atteso verso il 2012-13. Ha fatto il giro del mondo, qualche tempo fa, lo studio commissionato dalla Nasa alla National Academy of Sciences sugli effetti di una maxitempesta solare.
In sè e per sè, le conseguenze di una tempesta solare sulla Terra sarebbero trascurabili: l’atmosfera ci protegge, tutt’al più vedremmo l’aurora boreale a latitudini inconsuete. Però in seguito alle grandi quantità di energia e di radiazioni provenienti dal Sole l’aria sarebbe – per così dire – carica di elettricità. Questo manderebbe fuori uso la rete elettrica e tutte le infrastrutture che da essa dipendono: un problema che nel 1859 non si poneva, e che nel 1921 non era poi così grave.
Lo studio di Nasa e National Academy of Sciences ha dipinto un quadro da catastrofe: i black out conseguenti ad una fortissima tempesta solare, adesso, paralizzerebbero le attività umane e causerebbero danni per trilioni di dollari; per rimettere pienamente in funzione le reti elettriche potrebbero essere necessari addirittura degli anni.
Tuttavia lo studio non si è soffermato sull’aspetto relativo alle centrali nucleari e alla loro necessità di avere sempre – anche quando sono spente - un impianto di raffreddamento funzionante: cosa che implica la disponibilità di energia elettrica.
Il gran parlare di questo problema che ora si fa in rete discende da un articolo uscito circa un mese fa su OpEdNews: sottolineava l’importanza di colmare la lacuna della sicurezza mondiale attraverso investimenti per attrezzare le centrali con sistemi d’emergenza più solidi rispetto agli attuali generatori diesel, che sono in grado di assicurare solo alcune ore di autonomia.
Gli investimenti, diceva l’articolo, contribuirebbero a rimettere in moto l’economia e a creare lavoro. Io, in nome dell’ambiente e della salute, preferirei invece che le centrali nucleari non ci fossero e basta, e che gli investimenti venissero piuttosto indirizzati verso le energie rinnovabili: ma è un altro discorso.
Sempre OpEdNews ha osservato che una centrale nucleare in funzione per 40 anni ha il 33% di probabilità di subire un black out connesso con una tempesta solare: e dunque si tratta di un rischio più serio di quello connesso a terremoti e tsunami.
Fonte: http://informarexresistere.fr