La stampa 3D è un processo di costruzione che viene sempre di più utilizzato non solo in ambito industriale ma anche in contesti più “casalinghi”. Tuttavia la stampa 3D è possibile soltanto ai materiali solidi. Un nuovo gruppo di ricerca del Lawrence Berkeley National Laboratory ha invece sviluppato un metodo per stampare strutture tridimensionali composte da liquidi. Per farlo hanno utilizzato una classica stampante 3D modificata. Il metodo utilizzato vedeva fili d’acqua iniettati in tubicini di silicone per scolpire letteralmente il liquido in una soluzione oleosa.
Ma cosa può servire stampare in tre dimensioni un liquido? Secondo gli stessi ricercatori questa scoperta potrà servire per costruire principalmente componenti elettronici liquidi, di quelli che vanno ad alimentare i dispositivi flessibili e sensibili che, almeno ci si augura, si diffonderanno sempre di più in futuro nel mondo dell’elettronica. Per il momento i ricercatori sono riusciti a “stampare” fili d’acqua con un diametro compreso tra 10 micron e un millimetro, ma ciò che più conta è che sono usciti a stamparli in una grande varietà di forme, da quella spirale fino a quella più ramificata con fili che si allungavano fino diversi metri.
Proprio perché liquido e per il fatto che può cambiare forma, questo nuovo materiale può adattarsi in maniera semplificata all’ambiente circostante.
Secondo Tom Russell, uno degli autori dello studio insieme a Joe Forth, si tratta di “una nuova classe di materiali in grado di riconfigurarsi”, un materiale che può essere utilizzato in vari contesti “dalla sintesi chimica al trasporto di ioni alla catalisi”.
Allo studio hanno contribuito anche Shaowei Shi, Xubo Liu, Yanan Li, Xuefei Wu e Dong Wang.
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