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Erano in 40mila a bordo di una flotta di circa mille imbarcazioni che rappresentavano l’eccellenza dell’ingegneria navale del Tredicesimo Secolo, diretti alla conquista del Giappone. Non sopravvissero pero’ al tifone che spirava a oltre 250 chilometri orari; simile, per potenza, a quello che ha devastato le Filippine pochi giorni fa. La ‘corrente nera’, come viene chiamata dal sud-est asiatico all’Estremo Oriente. Oggi quella maestosa flotta agli ordini di Kublai Kahn e’ stata ritrovata, dopo sette secoli, nelle acque dell’isola di Takashima, regione del Kyushu, sud del Giappone; a compiere la storica scoperta, di cui si e’ parlato alla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum, e’ stata la spedizione italo-nipponica composta da International Research Institute for Archaeology and Ethnology, Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana e Ariua giapponese.

La recente scoperta, spiega all’Adnkronos l’archeologo Daniele Petrella a capo della spedizione, “ha confermato le nostre teorie: abbiamo ricostruito graficamente le navi, sappiamo di che modelli si tratta, quale era la sequenza costruttiva“. Si trattava di “navi fluviali, sottratte alla dinastia Song sbaragliata da Kublai Kahn, non adatte ai viaggi d’alto mare. Dai resti delle navi in fondo al mare, spiega Petrella, si e’ avuta la conferma che “i Song erano massimi ingegneri navali dell’antichita’. Sono scafi divisi in compartimenti stagni, che in Occidente abbiamo usato solo quattro secoli dopo con le navi in metallo, mentre loro lo facevano in legno. Pur senza una grande chiglia sono riuscite a arrivare fino al Giappone, ma non hanno resistito al tifone“. Mille navi, ciascuna delle quali poteva portare a bordo circa 40 persone. Presto sara’ possibile visitare virtualmente i reperti in fondo al mare con telecamere a frizione remota, guardando le immagini dalla sala predisposta nel museo o dal proprio computer. Per la creazione del parco archeologico sommerso, i giapponesi hanno chiesto a Petrella indicazioni sulla base del modello gestionale dei parchi archeologici di Baia, nei Campi Flegrei, e di Pantelleria. Il progetto iniziale risale al 2006: “Lavoravo come archeologo in cooperative di scavo – racconta Petrellae andavo personalmente in Giappone a mie spese. Li’ trovai la disponibilita’ a collaborare del professore Kenzo Hayashida, archeologo marino“. La svolta nel 2009, quando e’ diventata una missione ufficiale italo-giapponese: “Il ministero degli Affari esteri poteva accettare di finanziare missioni solo se a proporlo era un ente pubblico. Chiedemmo alle universita’ e l’Alma Mater di Bologna ci diede l’autorizzazione senza chiederci nulla in cambio. Nel 2010 la direttiva cambio’ e ho fatto richiesta privatamente“. Oltre alla partecipazione del Ministero, la missione poggia sul sostanzioso contributo della Japan Foundation, della Prefettura di Nagasakie del Comune di Matsuura.

Adesso gli archeologi e i comunicatori dell’Iriae, l’International Research Institute for Archaeology and Ethnology vogliono cercare la ”Pompei indiana”. ”Nel 2014 – spiega ancora Petrella - prevediamo due missioni, una in India e una in Turchia. In India scaveremo la citta’ di Pataliputra, antica capitale fondata oltre 2500 anni fa. La missione mira a portare alla luce una sorta di Pompei del sud-est asiatico per la grandezza della citta’ sepolta. Sara’ una spedizione completamente nuova, che partira’ da zero. In Turchia, invece, affiancheremo una missione portata avanti gia’ da alcuni anni dall’Universita’ La Sapienza di Roma, nella citta’ di Elaiussa Sebaste. Finora lo scavo si e’ limitato alla parte di terra, noi collaboreremo alla ricerca in mare attraverso una nuova tecnologia sviluppata dal laboratorio Wsense della Sapienza e fatta di sensori sottomarini che vengono messi in rete tra loro come fossero dei modem”.

Fonte: http://www.meteoweb.eu

 


 

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