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La NASA sta verificando la possibilità di mettere degli astronauti a bordo della capsula Orion che sarà montata in cima al vettore Space Launch System, in occasione del suo volo inaugurale, la missione denominata Exploration Mission-1 (EM-1). L’iniziativa, rivelata il 15 febbraio dell’amministratore ad interim, Robert Lighfoot, è stato oggetto di teleconferenza svoltasi lo scorso venerdì, con la partecipazione di William Gerstenmaier, amministratore associato dell’Human Explorations and Operations Mission Directorate e William Hill, vice amministratore associato per l’Exploration Systems Development.

 

William H. Gerstenmaier, Amministratore associato dell’Human Exploration and Operations Directorate. Credit: NASA.

 

Le ragioni.

Una mossa come quella che si sta esaminando non è affatto priva di rischi e sembra contravvenire ad una consolidata regola di sicurezza. Con la sola eccezione per lo STS-Shuttle, che non poteva atterrare senza equipaggio, è stata fino ad oggi prassi costante della NASA testare tutti i nuovi lanciatori destinati al volo umano attraverso almeno una missione di prova senza equipaggio. Quali ragioni potrebbero giustificare ora un diverso comportamento? Si profila forse un’accelerazione del programma SLS-Orion?

Su questo punto regna l’incertezza. Gerstenmaier e Hill si sono limitati a dire che la richiesta di avviare uno studio sulla fattibilità di un volo EM-1 con equipaggio è venuta dall’amministrazione Trump, ma senza particolari forzature: “Dal mio punto di vista non avverto pressioni perché quanto si ipotizza sia messo in atto. – ha detto Gerstenmaier – Ci è richiesto di fare un valutazione, esaminando la cosa da tutti i lati e di vedere quali risultati ne usciranno”.

Trump, per il momento, non ha ancora scoperto le sue carte sullo spazio, né rivelato quali siano i suoi progetti per la NASA – ammesso che ne abbia in serbo. In mancanza di altri elementi, ci si deve affidare alle illazioni espresse da alcuni giornalisti.

Secondo i programmi attuali, il primo volo abitato di Orion e SLS dovrebbe essere la Exploration Mission-2 (EM-2), che prevedrebbe l’invio di quattro astronauti in una traiettoria di ritorno libero intorno alla Luna (ossia senza inserimento in orbita), ottenuta con l’impiego dei motori dello stadio superiore (EUS) di SLS e del modulo di servizio di Orion. La missione, di circa otto giorni, avrebbe un significato storico, rappresentando il primo viaggio dell’uomo oltre l’orbita terrestre dal 1972, ma partirebbe non prima dell’agosto 2021, ossia oltre il termine del primo mandato presidenziale di Trump. Non è priva di fondamento l’ipotesi che l’attuale inquilino della Casa Bianca desideri che un tale evento si svolga prima delle prossime elezioni presidenziali e che il ritorno di astronauti statunitensi attorno alla Luna, dopo 47 anni, possa essere presentato come uno degli adempimenti del suo slogan elettorale: rendere l’America di nuovo grande.

Se il progetto di mettere un equipaggio già su EM-1 sia concretamente realizzabile, lo diranno tra circa un mese gli esperti della NASA, che stanno già lavorando sui requisiti, costi, vantaggi e rischi insiti nell’ipotesi. Al momento è però già possibile avere un’idea di quali problemi dovranno essere affrontati.

 

Profilo di volo per la missione EM-2. Credit: NASA.

 

Un nuovo profilo di volo.

In primo luogo sarà opportuno un cambio del profilo di volo. La missione EM-1, infatti, come pianificata fino ad oggi, prevede una durata di tre settimane (il limite operativo di Orion) e l’inserimento del veicolo in un’orbita retrograda attorno alla Luna a 70.000 km dalla superficie. Dopo sei giorni di permanenza in orbita lunare, si dovrebbe effettuare l’accensione di ritorno, tramite il propulsore del modulo di servizio di produzione europea, e un rientro nell’atmosfera ad alta velocità (11 km/s, cioè maggiore di quella sperimentata nel primo volo della capsula nel 2014), in grado di dimostrare la resistenza dello scudo termico. Qualora si decidesse di mettere a bordo della capsula degli astronauti (due è il numero ipotizzato), sarebbe più sicuro adottare un profilo simile a quello di EM-2, con durata più breve e senza inserimento in orbita lunare. In pratica, non si ripeterebbe il volo di Apollo 8, ma si seguirebbe una traiettoria simile a quella di Apollo 13 (emergenza a parte), un semplice loop attorno al nostro satellite.

 

L’interim cryogenic propulsion stage (ICPS) in partenza per Cape Canaveral. Credit: ULA.

 

L’hardware necessario.

Una delle sfide più significative dell’eventuale cambiamento di programma in corsa, è sicuramente quello legato all’hardware, soprattutto considerando il fatto che la costruzione del razzo e della capsula, il cui volo è in programma per la fine del 2018, è ormai in fase avanzata. E l’hardware è ovviamente progettato per la missione EM-1, senza equipaggio. Sulla capsula Orion, perciò, non sono al momento previsti i sistemi di supporto alla vita, quelli per la gestione dei rifiuti, display e strumenti di comando per gli astronauti e un sistema di abort operativo. Elementi questi, di una certa delicatezza, che andrebbero integrati ex novo.

C’è poi il problema del lanciatore. Per la sua prima missione, infatti, è prevista per lo Space Launch System la configurazione Block 1, mentre per la missione con equipaggio si dovrebbe utilizzare la Block 1B. La differenza principale tra le due versioni sta nello stadio superiore. Su EM-1 si impiegherà l’Interim Cryogenic Propulsion Stage (ICPS), derivato dall’upper stage del Delta IV di ULA e propulso da un solo motore RL-10B2 della Aerojet Rocketdyne, alimentato ad Idrogeno liquido. Per la missione EM-2 sarà invece essere pronto l’Exploration Upper Stage (EUS), più potente, essendo dotato di quattro motori RL-10C, e di maggiori dimensioni.

Le prestazioni inferiori dell’ICPS – ha spiegato Gerstenmaier ai giornalisti – non creano problemi rispetto al piano di volo che sarebbe adottato in una missione EM-1 manned; l’Interim Cryogenic Propulsion Stage è assolutamente in grado di fornire la spinta necessaria per eseguire la manovra di multi-translunar injection (MTLI) prevista per l’inserimento in traiettoria di libero ritorno verso la Luna. Occorre però considerare che lo stadio pensato per il volo inaugurale non è certificato per il volo umano e, per quanto sia il primo componente dell’SLS già ultimato (al momento è in viaggio verso Cape Canaveral), saranno necessarie alcune modifiche ed ulteriori test per renderlo adeguato agli standard di sicurezza previsti per un veicolo destinato a trasportare astronauti. Ad esempio, si pensa di aggiungere una protezione contro i micrometeoriti.

 

Settembre 2009: si testa la preparazione del pad abort test. Credit: NASA.

 

La gestione dei rischi.

Le misure per garantire la sicurezza degli astronauti costituiranno ovviamente un capitolo fondamentale dello studio che la NASA sta svolgendo. Rispetto alla “scommessa” di mettere un equipaggio su un razzo che non ha mai volato, Gerstenmaier ha detto di sentirsi fiducioso nei dispositivi di emergenza di Orion-SLS. In fondo, durante il volo inaugurale dello Shuttle, Young e Crippen viaggiavano su di un veicolo che disponeva solo di un sistema piuttosto spartano di sedili eiettabili, utilizzabili solo in alcune fasi della missione. Se EM-1 avrà a bordo un equipaggio, avrà installato un vero e proprio sistema di abort, efficiente e testato, in grado di allontanare rapidamente la capsula dal booster in caso di problemi. Ma ciò richiederà di anticipare un’altra operazione fondamentale, l’in-flight abort test, ossia la prova durante il volo del sistema di fuga (LAS) che, a tutt’oggi è programmata per la fine del 2019.

Il pad abort test di Orion, ossia la prova del LAS “da fermo”, si è svolto nel lontano 2010 nel deserto del New Mexico. Il test in volo, finora rinviato per motivi di budget, prevede l’impiego di un apposito razzo, (ATB – Abort Test Booster) realizzato da Orbital ATK a partire dal motore del primo stadio del missile militare Peacekeeper, in grado di portare un mockup della Orion a velocità transonica e a una quota di circa 9,14 km, prima che avvenga la separazione di emergenza della capsula. Qualora si decidesse di modificare la EM-1, ha osservato Gerstenmaier, il test dovrebbe essere anticipato per lo meno ai primi mesi del 2019.

 

Le piattaforme, installate all’interndo del Vehicle Assembly Building al Kennedy Space Center, che permetteranno ai tecnici di lavorare attorno allo SLS. Credit: NASA.

 

Una nuova timeline e nuovi costi.

È facile intuire che un cambiamento di questa portata non possa avvenire senza un prezzo significativo, da misurarsi in tempo e in milioni di dollari. Per poter ospitare un equipaggio sul primo SLS, il lancio, (che – ripetiamo – è ancora programmato per la fine del 2018) dovrà essere posticipato. Di quanto? Anche questo sarà stabilito dallo studio, ma durante la conferenza è stato apertamente dichiarato che si pensa ad un ritardo non superiore all’anno. Se si dimostrerà impossibile preparare la nuova EM-1 per un liftoff entro la fine 2019 (l’ipotesi che viene analizzata è per la metà dell’anno) sarà più sensato lasciare il programma invariato e far partire il primo volo senza equipaggio.

L’aspetto finanziario non è meno stringente: “Sappiamo che occorrerà una notevole quantità di denaro – Ha osservato Hill – e che, per realizzare ciò che dobbiamo fare, dovrà essere disponibile piuttosto rapidamente”. Nel caso, Il Congresso e la Casa Bianca dovrebbero occuparsene nelle discussioni sul budget della NASA per il 2018.

Né Hill, né Gerstenmaier hanno dato indicazioni sull’ordine di grandezza della cifra richiesta, ma qualche giornalista, che si è rivolto a fonti del settore, sostiene che le prime stime indichino per l’operazione un costo di circa 500 milioni di dollari, principalmente per le modifiche e le integrazioni dell’hardware. Una somma piuttosto onerosa a paragone dei costi che Eleon Musk ritiene di poter garantire per un viaggio attorno alla luna sul suo Falcon Heavy, stando al clamoroso annuncio di lunedì.

 

Il liftoff di Falcon Heavy per ora esiste solo come artist’s concept. Credit: SpaceX.

 

L’incognita SpaceX.

Probabilmente non è il caso di parlare, come qualcuno ha fatto, di una nuova space race tra pubblico e privato, o tra NASA e SpaceX, ma è difficile pensare che non esista alcuna relazione tra la notizia degli studi della agenzia spaziale USA per anticipare un volo umano attorno alla Luna al 2019 e la decisione di Musk di rivelare l’intenzione di inviare due misteriosi turisti in un viaggio analogo già nel 2018.

Di certo, il Falcon Heavy non può aspirare a prendere il posto dello Space Launch System, né la Dragon V.2, pensata viaggi taxi per la Stazione Spaziale Internazionale, può paragonarsi ad Orion, ma non si può escludere che l’eventuale risultato, profondamente simbolico, di battere la NASA nel tentativo di far ritornare l’America alla grandezza dei viaggi lunari (e se non proprio nel 2018, per lo meno durante il mandato di Trump), potrebbe avere conseguenze significative. Congresso e Amministrazione USA potrebbero esserne spinti ad aprire ai soggetti privati l’esplorazione dello spazio oltre l’orbita bassa, o comunque a mettere in discussione l’esistenza di un programma, come quello SLS-Orion, che sicuramente produce lavoro e consensi elettorali in varie parte degli Stati Uniti ma che potrebbe essere giudicato eccessivamente dispendioso, a fronte di quanto le aziende commerciali si mostrerebbero in grado di fare con risorse finanziare molto più ridotte.

Tra la realtà e questi condizionali resta comunque il dubbio sulle possibilità di Elon Musk dare concretezza ai suoi annunci, specialmente per quanto riguarda la tempistica: per il momento né Falcon Heavy, né Dragon V.2 hanno compiuto il loro primo volo.

Ben prima che l’incognita SpaceX riveli il suo valore, conosceremo i risultati dell’indagine della NASA. Durante la teleconferenza, Gerstenmaier e Hill hanno ribadito più volte che si tratterà di un semplice studio di fattibilità che non implicherà nessuna conseguenza immediata e si sono rifiutati di esprimere una loro personale opinione sull’ipotesi in discussione. Entrambi si sono però detti convinti dell’utilità dell’indagine, a prescindere da quella che sarà la decisione finale: “anche se non si deciderà di andare avanti – ha detto Gerstenmaier –  potremo tornare ad esaminare la cosa e dire: ‘Ehi, probabilmente dovremmo comunque implementare su EM-1 parte di quanto abbiamo scoperto in questo studio, per rendere il programma più robusto’”. A maggior ragione, “se saremo in grado di volare il profilo della missione EM-2 su EM-1, – ha osservato Hill – si aprirà la possibilità di fare di più su EM-2.”

Fonte estera: https://www.nasa.gov

Fonte italiana: https://www.astronautinews.it

 


 

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