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Il Proton non oltre il 2026.
Qualche giorno fa Igor Arbuzov, capo di NPO Energomash, la storica azienda statale che produce propulsori per i razzi russi (ma anche per l’Atlas V e per l’Antares 230), ha dichiarato che la fabbrica di Permski interromperà la produzione dei motori RD-253 per il primo stadio del Proton-M. In assenza di nuove commesse, il centro passerà alla costruzione di turbine per centrali elettriche e pompe per l’industria estrattiva. Si tratta di un piccolo ma significativo segnale del fatto che si avvicina la conclusione della lunga avventura del razzo Proton, progettato in tempi sovietici come ICBM, con il nome di UR-500, convertito in lanciatore nel 1965 e da allora ininterrottamente proteso verso spazio, con ben 417 voli. Quanto annunciato da Energomash avverrà per tutti gli altri centri di sviluppo coinvolti: nei prossimi mesi saranno costruiti i veicoli necessari all’adempimento degli ordini già sottoscritti e poi le linee produttive saranno definitivamente chiuse. La notizia non ha nulla di sorprendente, perché sono tante le ragioni che giustificano il pensionamento del lanciatore, dalla sua sostanziale obsolescenza (nonostante i vari aggiornamenti e i tentativi di riproporlo in nuove versioni, alcune delle quali non hanno ancora volato), all’elevato numero di anomalie e fallimenti (spesso, in verità, dovuti all’inaffidabilità degli upperstage e a carenze nella produzione  più che a difetti di progettazione) e alle caratteristiche scarsamente ecologiche. L’impiego di propellenti ipergolici, fortemente tossici, come il tetrossido di diazoto e la dimetilidrazina asimmetrica, in tutti gli stadi, rende il vettore molto sgradito per motivi ambientali anche al governo del Kazahstan che, nonostante abbia interesse a mantenere la presenza russa a Baikonur, ha chiesto a Mosca di interrompere i lanci del Proton dal cosmodromo nel prossimo decennio.



Le tipiche – e tossiche – nuvole di fumo bruno-rossastro prodotte dal Proton-M al momento del decollo.



Se poi si considera che esiste già un successore, più moderno ed ecologico, e più flessibile nelle sue configurazioni perché concepito con una logica modulare, l’Angara, che ha già volato con successo, lo stupore assume il segno opposto. Cosa permette al Proton di esistere ancora? Dalla parte del veterano sovietico, stavano sicuramente i limitati costi di produzione che ne hanno facilitato la commercializzazione attraverso la International Launch Service (fondata nel 1995) e la conquista di una buona fascia di mercato. Questa situazione è però mutata negli ultimi anni, sia per la comparsa di nuovi agguerriti concorrenti, come SpaceX, sia per l’emergere di una grave crisi organizzativa dell’industria aerospaziale russa, che sembra essersi avvitata in una spirale negativa, fatta di scarso coordinamento e sovrapposizione tra i vari centri produttivi, vasti fenomeni di corruzione, salari bassi, inefficienza e peggioramento dei controlli di qualità. Per quanto riguarda il Proton ciò si è tradotto in una riduzione del numero dei contratti e in una pausa forzata di quasi un anno, tra 2017 e 2018, legata ad un problema di fabbricazione dei motori del secondo stadio.



Tutti i lanci del Proton dal 1965 ad oggi.



Al centro della crisi sembra essere proprio l’industria responsabile della costruzione dei lanciatori medio-pensanti Proton e Angara, il Centro Khrunichev, che oggi si trova in una situazione di grave dissesto finanziario, avendo accumulato 100 miliardi di rubli di debiti (pari a oltre 1,3 miliardi di euro). In una simile congiuntura sarebbe insostenibile portare avanti la produzione di entrambi i lanciatori; l’unica soluzione, come ha affermato Dmitry Rogozin dalle sue prime interviste rilasciate in qualità di presidente di Roscosmos, è quella di abbandonare il Proton e concentrare tutti gli sforzi sull’Angara. Ciò coinciderà con un trasferimento dell’azienda a Omsk, in Siberia, dove già si trovano le linee produttive del nuovo lanciatore e dove il costo del lavoro è più basso. Il valore dei terreni occupati dalla storica sede di Mosca potrebbe tra l’altro permettere a Khrunichev di ripianare una parte dei suoi debiti, anche se Putin, contrario alla smobilitazione dell’industria dello spazio dalla capitale, ha bloccato i progetti di svendita. È comunque molto probabile che il trasferimento porterà anche ad una riduzione della manodopera (alcune voci parlano di oltre 2.500 esuberi), ma Rogozin si è sempre rifiutato di confermarlo, pur ammettendo che parte del personale sarà ricollocata in altre aziende. I tempi dell’operazione non sono stati confermati ufficialmente ma i media russi riportano che la produzione del Proton dovrebbe cessare nel 2021 e i voli intorno alla metà del prossimo decennio. I lanci già ordinati sarebbero circa 24. Una dozzina sarebbero “governativi”, per conto di Roscosmos e del Ministero della Difesa, e includerebbero due satelliti per comunicazioni Blagovest, altrettanti satelliti meteorologici Elektro-L, vari componenti del sistema di navigazione GLONASS, nonché due dei tre nuovi moduli russi per la ISS (Nauka e NEM. Il modulo “Nodo”, o UM, più piccolo, dovrebbe essere lanciato con un razzo Soyuz). I rimanenti sarebbero voli commerciali venduti da ILS e prevedrebbero anche l’impiego delle versioni light e medium del Proton, annunciate nel 2016. Tutti i lanci sono in programma da Baikonur e sfrutteranno principalmente la piattaforma 39 del sito 200. L’unico altro pad per il Proton-M ancora attivo, il 24 del sito 81, ormai obsoleto, sarà decommissionato dopo il 2020.




Il primo Angara A5 in attesa del lancio dal cosmodromo di Plesetsk nel dicembre del 2014.



E l’Angara?
Nonostante le grandi aspettative, non sembra che nel breve periodo il nuovo razzo prodotto da Khrunichev sia destinato a ripetere, nel difficile e volubile mercato dei lanciatori, il successo del Proton-M, dal momento che la sua realizzazione risulta ancora piuttosto costosa e soprattutto molto lenta. Ad oggi siamo fermi ai due voli di test effettuati da Plesetsk nel 2014: quello suborbitale della versione A1.2 a luglio, e quello orbitale dell’Angara A5 a dicembre. Nel luglio del 2016 sono state aperte le nuove linee di Omsk ma, al di là della retorica degli annunci, dopo due anni i livelli produttivi annui sembrano essere ancora ben lontani da quelli programmati per la prima fase, ossia fino al 2020, di 11 URM-1 (il modulo base che, assemblato in diversi numeri, costituisce i primi due stadi delle diverse versioni dell’Angara). Verso la fine del 2017, comunque, Roscosmos ha annunciato che i primi moduli per il secondo volo dell’A5 erano già arrivati ai laboratori di Khrunichev di Mosca e che sarebbero stati sottoposti a vari test, anche per certificare la qualità produttiva degli stabilimenti di Omsk e dei relativi subcontractors. Nel medesimo tempo, non si sa con quale lungimiranza, si annunciava il lancio da Plesetsk per l’inizio dell’anno successivo. Nel gennaio 2018, in realtà, altri due moduli erano ancora in viaggio per Mosca, mentre i controlli sugli altri erano ben lontani dal completamento. La data del liftoff slittava nel corso dell’anno. Nell’ultima intervista concessa alla TASS, il 16 agosto scorso, Rogozin ha parlato di un rinvio al 2019; il payload sarà un satellite militare che il Ministero russo della difesa pare non abbia ancora individuato. Questi ritardi non giovano certo alla commercializzazione del razzo, che ILS aveva già avviato. Anzi, da questo punto di vista si aggiunge un altro problema, quello del piattaforma di lancio. I satelliti per comunicazioni che costituivano una buona parte degli introiti del Proton, infatti, non possono essere lanciati dall’unico cosmodromo attualmente attrezzato per l’Angara, quello di Plesetsk che, posto a 62° e 55’ di latitudine Nord, non è adatto al raggiungimento dell’orbita geostazionaria. I possibili clienti dell’Angara dovranno perciò aspettare il completamento del secondo pad di Vostochny. I tempi indicati dal governo (primo lancio Angara nel 2021) appaiono ancora una volta molto ottimistici, se si pensa che i lavori, che dovrebbero durare 45 mesi, non sono ancora iniziati. La firma del contratto con l’impresa costruttrice, comunque, è data per imminente, entro la fine di agosto. È quindi molto probabile che l’Angara, almeno per un po’ di tempo, non riuscirà a ritagliarsi una fascia di mercato molto cospicua, e che la sua sopravvivenza sarà legata soprattutto alle commesse militari e governative. In tale direzione, anche se la notizia non ha avuto molto risalto al di fuori dei media russi, un aiuto significativo verrà dal programma “Sphera” (Sфера), presentato di recente al pubblico dallo stesso Putin, che prevede la messa in orbita, per offrire servizi di comunicazione mobile, connettività Internet e osservazione della terra in tempo reale, di ben 640 satelliti. Il dispiegamento della costellazione richiederà almeno 25 lanci dal 2022 e ciò assicurerà a Khrunichev, per oltre un decennio, la possibilità di costruire almeno due A5 all’anno. Al momento la produzione Angara riguarda solo le configurazioni A1.2 e A5; sulle altre, specialmente la A3, c’è ancora molta incertezza. Indicativamente si parla del 2025 per il primo lancio della versione aggiornata A5M, in grado di trasportare in LEO fino a 27 tonnellate e del 2027 per la A5V, con un terzo stadio alimentato a idrogeno, anziché cherosene, capace di portare 37 tonnellate in orbita bassa. Il destino della versione per voli con equipaggio, la A5P, non è ancora definito (al 16 agosto Rogozin dava la decisione in merito ancora come “pendente”), ma le sue azioni sono in forte calo da quando ha guadagnato spazio il progetto del Soyuz-5.




Uno degli URM-1 prodotti a Omsk, in corso di test negli stabilimenti Khrunichev di Mosca.



Lo Zenit russo.
Lo sviluppo del Soyuz-5 rientra nel progetto “Feniks” per la realizzazione di un lanciatore di media potenza in grado di prendere il posto del Soyuz-2, una delle poche voci del Programma Spaziale Federale che ha resistito agli ultimi tagli. Inizialmente il nome è stato applicato al disegno, proposto da SRC Progress, di un razzo modulare alimentato con nuovi motori a metano, in seguito ribattezzato “Soyuz-7”. “Soyuz-5” è invece passato ad indicare una rivisitazione del vecchio Zenit-2 di origine sovietica (già concepita da RSC Energia nell’ambito di una collaborazione con il governo del Kazahastan), che ha incontrato i favori di Roscosmos. Anche se costruito per il 70/80 % con componenti russi, lo Zenit era prodotto in Ucraina. Dopo il 2014, con il deteriorarsi dei rapporti tra i due paesi, il suo sviluppo si è trovato improvvisamente congelato, per quanto la collaborazione sarebbe nell’interesse di entrambe le parti. L’Ucraina potrebbe infatti mantenere attiva la propria industria aerospaziale mentre la Russia se ne gioverebbe per ripristinare l’operatività di Sea Lanch, la piattaforma galleggiante disegnata per il lancio commerciale di un’apposita versione dello Zenit. Nei fatti, il dialogo è proseguito con molte incertezze – e ha permesso il lancio, da Baikonur, su uno Zenit dello sfortunato AngoSat-1 – ma alla fine Mosca ha deciso per una scelta autonoma.




Lo Zenit 3F di AngoSat, viene innalzato sulla piattaforma 45/1 di Baikonur nel dicembre 2017. Il sito sarà ristrutturato per ospitare il Soyuz-5.



Rispetto al vecchio Zenit il Soyuz-5 avrà un diametro leggermente superiore (per ragioni produttive sarà di 4,1 metri invece che 3,9), utilizzerà nel primo stadio una versione aggiornata dei motori RD-171, denominata 171MV, e adotterà per il secondo gli RD-0124, impiegati anche sul terzo stadio dell’Angara. Entrambi i motori sono costruiti da Energomash, mentre il secondo stadio dello Zenit montava RD 120 prodotti in Ucraina da Yuzhmash. Come upperstage sarebbero disponibili sia il Block DM-03 sia una nuova versione del Fregat, appositamente proposta da NPO Lavochkin, che permetterebbe al razzo di portare in GTO fino a 6,4 tonnellate di carico utile. Terminata la fase di progettazione, nel luglio scorso Roscosmos ha firmato il contratto per la realizzazione del lanciatore, che vede la partecipazione della parte più qualificata dell’industria aerospaziale russa, con RSC Energia, il produttore delle Soyuz, nel ruolo di prime contractor. Ecco il tweet con cui Rogozin annunciava l’evento.





È il Soyuz-5 che, almeno secondo le speranze russe, potrebbe essere il vero erede del Proton sul piano commerciale. Grazie all’impiego di tecnologie sperimentate, infatti, i costi di produzione dovrebbero essere da subito relativamente bassi, in proporzione a quelli dell’Angara, tanto che si parla di un prezzo al lancio intorno ai 55 milioni di dollari, o comunque concorrenziale rispetto a quelli praticati da SpaceX . Inoltre il Soyuz-5 non richiederà ulteriori investimenti per le infrastrutture, perché potrà sfruttare le piattaforme di lancio dello Zenit esistenti a Baikonur, che saranno ristrutturate e ammodernate a spese del Kazahstan, sulla base degli accordi esistenti. Il nuovo razzo potrebbe anche essere adattato alla piattaforma Sea Launch e consentirne la definitiva ripresa delle attività, per quanto la società che l’ha acquistata, S7 Group, avrebbe bisogno di disporre di lanciatori molto prima della data prevista per il primo volo del Soyuz-5, il 2022. Ma ci sono altre ragioni che rendono lo Zenit russo molto interessante. In primo luogo la sua utilizzabilità per i voli con equipaggio. Il Soyuz-5 ha infatti tutte le carte in regola per consentire l’invio di cosmonauti in orbita bassa e sulla ISS. Anche se il piano di far coincidere il volo inaugurale del nuovo razzo con quello della nuova capsula Federatsiya sembra essere sfumato per i ritardi nello sviluppo di quest’ultima, la dirigenza di Roscosmos vede nell’erede dello Zenit una soluzione realistica e sostenibile, in grado dare continuità ai voli umani con equipaggio. In secondo luogo il Soyuz-5 potrà essere utilizzato, in chiave modulare, nella realizzazione di un lanciatore superpesante da impiegarsi nei futuri e ancora nebulosi programmi di esplorazione della Luna e dello spazio profondo. Fortemente voluto dallo stesso Putin, che più volte ha ribadito come traguardo per la sua realizzazione il 2028, il nuovo vettore, ancora una volta alternativo all’Angara, dovrebbe essere in grado di trasportare in LEO – in base alla configurazione – tra le 80 e le 100 tonnellate di carico. Chi conosce un po’ di storia della cosmonautica difficilmente potrà astenersi dal notare un’affinità, almeno ideale, con il razzo Energia in cui già quattro primi stadi dello Zenit svolgevano il ruolo di booster laterali. Paradossalmente, anche nello sforzo di rinnovarsi e di aggiornarsi, l’industria russa dello spazio continua ancora a vivere all’ombra dell’eredità sovietica.


 


Il razzo Energia che, nel novembre del 1988 lanciò la navetta Buran, utilizzava quattro primi stadi Zenit-2 come booster ed era in grado di trasportare 100 tonnellate in LEO.

Fonte: https://www.astronautinews.it




 

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