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Ricerche in laboratorio hanno dimostrato che i vegetali, immuni dall'effetto placebo, se trattati con medicinali omeopatici reagiscono diventando più resistenti e più ricchi di sostanze nutraceutiche. Ce ne parla Lucietta Betti, già ricercatore confermato e docente di patologia vegetale e micologia. C’è una donna, una scienziata, che da oltre trent’anni studia l’omeopatia e l’applicazione dei principi omeopatici in campo vegetale. Si tratta di Lucietta Betti, già ricercatrice confermata e docente di patologia vegetale presso il Dipartimento di scienze e tecnologie agroambientali dell’Università di Bologna, ora in pensione ma richiamata dall’Università per portare avanti un progetto di agro omeopatia proprio in virtù della sua competenza in materia. L’abbiamo incontrata per farci raccontare quali sono i risultati e i progetti futuri legati alle sue ricerche. E abbiamo scoperto che – lo confermano innumerevoli studi pubblicati su riviste scientifiche specializzate – una grande certezza c’è: l’agro omeopatia funziona; le piante reagiscono all’applicazione di medicinali omeopatici diventando più forti e sviluppando più nutrienti e antiossidanti. Sconfessando la teoria che i buoni risultati in omeopatia dipendano solo dall’effetto placebo.




Le piante reagiscono all’applicazione di medicinali omeopatici diventando più forti e sviluppando più nutrienti e antiossidanti.



Agro omeopatia, in cosa consiste?
L’agro omeopatia non è altro che l’applicazione dei principi omeopatici all’agricoltura, quindi alle piante. In questo campo c’è molto poco a livello di sperimentazione, a differenza dell’omeopatia in campo medico che esiste dalla fine del ‘700 ed è supportata da tantissimi testi di riferimento. Siamo dunque agli albori di questa disciplina. Applicando i principi omeopatici alle piante, con forti diluizioni del principio attivo, possiamo dire di essere all’interno dell’agricoltura sostenibile, che non inquina l’ambiente.



Quali sono i vantaggi che i modelli vegetali possono dare alla ricerca di base in omeopatia?
Il vantaggio principale per cui ho iniziato questa ricerca circa trent’anni fa è che le piante, non avendo un sistema nervoso, non sono influenzabili da un punto di vista psichico, dunque sono immuni dall’effetto placebo. L’obiezione che viene sempre fatta da coloro i quali non credono nell’efficacia dell’omeopatia è proprio che agisca sull’onda dell’effetto placebo, anche quando viene applicata agli animali oltre che alle persone. Le piante ci dicono che non è così: se rileviamo un effetto significativo e ripetibile in modello sperimentali comprovati e validati questo è sicuramente dovuto a un effetto diretto del trattamento che noi abbiamo applicato. Il risultato non dipende quindi dall’effetto placebo.




Le piante non sono influenzabili da un punto di vista psichico, dunque sono immuni dall’effetto placebo.



Su quali vegetali avete lavorato e con quali farmaci?
Il nostro modello di base è stato quello della germinazione e crescita in vitro di plantule di frumento; il medicinale utilizzato maggiormente è stato Arsenicum album preparato da noi. Abbiamo lavorato con il triossido di arsenico e lo abbiamo portato a tante diluizioni decimali diverse, partendo da diluizioni ponderali come la quinta decimale fino ad arrivare alla 60esima decimale. Gli effetti più significativi e più riproducibili sono stati ottenuti con la 45esima decimale, quindi con una diluizione ben oltre il numero di Avogadro, una ultra diluizione. Di molecole di arsenico, di principio attivo, nel preparato che noi abbiamo dato alle piante, non ce n’era più. Abbiamo creato un modello sia con semi sani, sia con semi “stressati” attraverso dosi ponderali di arsenico allo 0.1 per cento. Lo stress provocato dall’arsenico ponderale induceva una iperossidazione, un’intossicazione nel seme, e faceva sì che questo germinasse meno e che anche la plantula crescesse molto meno. Trattando con arsenico omeopatico i semi stressati, abbiamo riscontrato che la germinazione veniva stimolata in maniera significativa così come la crescita della plantula. Come ultima sperimentazione abbiamo fatto degli studi di biologia molecolare dai quali è emerso che il trattamento con arsenico alla 45esima induce un effetto epigenetico: nei semi stressati era presente una iper espressione di moltissime classi geniche che con il trattamento con arsenico ultra diluito è rientrata verso la normalità, senza raggiungere quella dei semi sani, ma comunque riducendosi significativamente. La riduzione dell’iper espressione è la spiegazione del perché da un punto di vista morfologico vedevamo un aumento di germinazione e di crescita delle plantule.




Una delle critiche mosse all’omeopatia è che agirebbe sull’onda dell’effetto placebo, l’agro omeopatia lo smentisce.



Quanto è importante la dinamizzazione all’interno di queste prove?
La dinamizzazione è fondamentale. All’inizio della sperimentazione abbiamo lavorato con diverse tesi, una era il controllo negativo da ottenere attraverso semi stressati trattati con acqua distillata; poi abbiamo preparato l’acqua dinamizzata alla 45esima senza principio attivo, adottando lo stesso protocollo usato per l’arsenico; in seguito abbiamo creato la 45esima decimale del triossido di arsenico con diluizione e dinamizzazione e infine abbiamo preparato un arsenico diluito alla 45esima senza dinamizzazione intercalare, quindi semplicemente facendo gli step di diluizione. Abbiamo testato circa 50.000 semi, applicando l’elaborazione statistica in maniera molto rigorosa. Questi sono stati i risultati: l’arsenico alla 45esima DH era sempre stimolante in maniera significativa; l’acqua alla 45esima DH aveva anch’essa un effetto stimolante ma meno significativo rispetto a quello dell’arsenico; l’arsenico semplicemente diluito alla 45esima, senza dinamizzazione, era esattamente come l’acqua di controllo. Questo cosa dimostra? Che la legge di Avogadro, come non era nemmeno da mettere in dubbio, è una legge fondamentale e funziona, cioè quando si supera il numero di Avogadro non ci sono più molecole del principio attivo di partenza e il preparato è identico all’acqua di controllo. Era logico aspettarsi che con la sola diluizione il trattamento non avesse nessun effetto significativo. Quando invece introduco il processo di dinamizzazione le cose cambiano drasticamente: l’arsenico alla 45esima DH è sempre altamente stimolante in maniera significativa e anche l’acqua semplicemente dinamizzata ha un effetto. Questo vuol dire che il processo di dinamizzazione è un punto focale nella preparazione dei medicinali omeopatici.



Gli standard metodologici che avete applicato alle ricerche sono affidabili e incontestabili?
Abbiamo pubblicato sempre su riviste internazionali indicizzate con referee. Per pubblicare su riviste internazionali lavorando nel settore dell’omeopatia bisogna essere irreprensibili. Mentre su ricerche più convenzionali a volte i referee possono trascurare alcuni errori di protocollo sperimentale, quando si stratta di omeopatia basta una minima disattenzione per vedersi bloccare tutto. Abbiamo lavorato in modo ineccepibile.




Gli studi di agro omeopatia della professoressa Betti sono stati pubblicati sempre su riviste internazionali indicizzate con referee.



Quali sono i passi successivi e quali i vostri obiettivi futuri?
Stiamo passando dalla ricerca di laboratorio alla ricerca di campo, tenendo presente però che il campo è un ambiente difficilissimo. Mentre in laboratorio si può lavorare con protocolli sperimentali rigidi, con tante ripetizioni, tenendo sotto controllo le tante variabili, in campo può succedere di tutto. Si tratta dunque di un passaggio complesso. Abbiamo già fatto due sperimentazioni di campo negli anni passati, una nella nostra azienda universitaria e l’altra in una serra in condizioni controllate, quindi fuori dal laboratorio ma ancora con un impianto di tipo sperimentale. Abbiamo lavorato sul cavolfiore contro un fungo che lo colpisce e abbiamo visto che il trattamento agro omeopatico non solo riusciva a contenere l’infezione agendo in modo identico rispetto a quello che faceva il rame a 3 grammi/litro (il trattamento che viene generalmente usato nelle aziende bio), ma anche che i cavolfiori trattati avevano una qualità di tipo nutraceutico superiore, essendo più ricchi di glucosinolati rispetto al controllo, composti che hanno un effetto antiossidante, quindi antitumorale. Ciò significa che quei cavolfiori fanno molto meglio a chi li mangia perché hanno proprietà nutraceutiche maggiori. Anche sulla fragola, l’altra sperimentazione effettuata, i trattamenti agro omeopatici facevano aumentare in maniera significativa il tasso di antiossidanti. Due anni fa abbiamo vinto un progetto della regione Emilia Romagna per l’applicazione di preparati agro omeopatici su coltivazioni di aziende biologiche della regione che ci ha portati “veramente” in campo. In questi due anni di sperimentazione abbiamo ottenuto risultati incoraggianti, ma c’è ancora molto lavoro da fare. Siamo solo agli inizi di un lungo percorso e le prospettive si stanno rivelando interessanti.



Qual è la difficoltà maggiore da fronteggiare nella ricerca in campo?
La scelta del trattamento agro omeopatico adeguato, perché non esiste una materia medica di riferimento e quindi bisogna ancora trovare il sistema per capire come intervenire, con quale trattamento omeopatico. A Bologna ultimamente abbiamo tenuto un corso di agro omeopatia in cui abbiamo invitato il dottor Radko Tichavsky, l’unico che da tanti anni applica l’agro omeopatia in campo. Ci ha raccontato le sue esperienze, come cerca di identificare i preparati con un approccio di tipo metabolico, sicuramente interessante, ma tutta la sua esperienza va ancora comprovata. Ora stiamo lavorando per capire se l’approccio di tipo metabolico è quello che effettivamente potrà dare in futuro dei risultati positivi.



Possiamo dire che l’agro omeopatia potrebbe essere usata per controllare le malattie delle piante ma anche per potenziarne i nutrienti e le virtù benefiche?
Certo, serve ad aumentare la resistenza naturale delle piante a qualunque tipo di stress, che può essere di tipo patogeno (funghi, batteri) o di tipo ambientale (carenza idrica, troppo caldo, troppo freddo). L’aumento di resistenza naturale generalmente è mediato da un punto di vista metabolico da sostanze, metaboliti secondari, che il più delle volte hanno un effetto benefico a livello nutraceutico, quindi le due cose vanno di pari passo.




In Italia, non avendo una legislazione a riguardo, al momento non si potrebbero somministrare i preparati agro omeopatici alle piante.



A livello mondiale, quali sono le altre realtà che stanno lavorando all’agro omeopatia?
Come detto, il dottor Radko Tichavsky, che sta lavorando in Messico. Esiste poi una legislazione relativa all’agro omeopatia in Brasile, dove questa pratica è consentita, ma si tratta anche in questo caso di una realtà “locale” non supportata da pubblicazioni e dunque priva di autorevolezza scientifica. L’altro Paese dove viene applicata l’agro omeopatia è l’India, dove è usata moltissimo perché ha costi infinitamente più bassi rispetto ai prodotti convenzionali. Anche lì non ci sono pubblicazioni di riferimento: esistono sì alcune pubblicazioni a livello di ricerca, con lavori molto interessanti, ma sul lavoro di campo non esistono ricerche passate attraverso il referaggio internazionale. In Italia, non avendo una legislazione a riguardo, al momento non si potrebbero somministrare i preparati agro omeopatici alle piante, il che è paradossale se pensiamo che il glifosato è permesso mentre i preparati agro omeopatici da un lato vengono accusati di essere semplicemente “acqua fresca” e dall’altro vengono invece vietati in natura come se fossero nocivi per le piante.

Paola Magni.

Fonte: https://www.lifegate.it

 


 

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