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La 36ª Aerobrigata Interdizione Strategica era un reparto dell'Aeronautica Militare Italiana equipaggiata con IRBM SM-78 Jupiter a testata nucleare. Fu attiva tra il 1960 ed il 1963, anno in cui venne sciolta. Si trattò dell'unica unità italiana dotata di missili balistici.



Storia.
La vicenda dei Jupiter italiani ebbe origine nel settembre 1958, quando il presidente americano Eisenhower iniziò ad insistere presso il governo italiano perché accettasse la presenza sul suo territorio di alcuni missili a medio raggio con testata nucleare. Lo scopo era quello di avere delle basi di lancio capaci di colpire l'Unione Sovietica ed i Paesi meridionali del Patto di Varsavia. L'accordo tra Italia e Stati Uniti venne siglato il 26 marzo 1959. Questo prevedeva la fornitura di 30 missili SM-78 Jupiter, equipaggiati con una testata all'idrogeno W-49 da 1,44 megatoni. L'addestramento del personale italiano all'uso delle nuove armi ebbe luogo presso la base americana di Lackland. Tuttavia, per il supporto tecnico gli italiani continuarono a dipendere fortemente dagli americani. Le stesse testate nucleari rimasero sempre sotto il controllo americano. I missili giunsero in Italia grazie ad un ponte aereo di 10 voli, direttamente dagli Stati Uniti, tra il 1º aprile ed il 10 giugno 1960. La brigata fu ufficialmente costituita il 23 aprile 1960 presso l'aeroporto militare "Antonio Ramirez" di Gioia del Colle. Nel 1962 venne presa la decisione di ritirare i missili dall'Italia e dalla Turchia in seguito alla crisi dei missili di Cuba, come contropartita al ritiro degli ordigni sovietici dall'isola. Una volta ritirati i missili, il 1º luglio 1963 la 36ª Aerobrigata fu sciolta.



Organizzazione.
La 36ª Aerobrigata IS era articolata su due reparti, ognuno dei quali composto da cinque gruppi.

  • Primo Reparto: 56º, 57º, 58º, 59º e 60º Gruppo IS
  • Secondo Reparto: 108º, 109º, 110º, 111º e 112º Gruppo IS

Ogni gruppo controllava una postazione di lancio, con un missile pronto all'impiego e due di riserva. Le postazioni erano situate nei pressi dell'aeroporto di Gioia del Colle, ad una distanza compresa tra le 10 e le 30 miglia. Ogni postazione era sorvegliata da due ufficiali italiani ed altrettanti americani, in turni di 48 ore.



Critiche.
Pesanti critiche al modo in cui gli italiani conservavano i missili furono mosse, in un rapporto riservato del 18 settembre 1961, da Alan G. James, funzionario dell'Ufficio per gli Affari europei del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. Oltre a constatare che l'aver condiviso con gli italiani le procedure di lancio costituiva una violazione dell'Atomic Energy Act, rilevò che gli ordigni erano mantenuti «non in sicurezza». Infatti:

  • le postazioni di lancio erano sistemate in luoghi deserti e poco sorvegliati. In un caso, i missili erano addirittura visibili dalla strada e dalla ferrovia;
  • le testate dovevano essere stoccate in un edificio di cemento armato a circa 90 metri dalla pista di atterraggio. L'eccessiva vicinanza alla pista ne aumentava la vulnerabilità;
  • le testate erano tenute montate sui missili, invece di essere stoccate al sicuro nei depositi. Gli stessi missili erano tenuti in posizione di lancio, su piazzole all'aperto;
  • i missili erano vulnerabili al sabotaggio: potevano essere colpiti con un normale fucile. Inoltre, la mancanza di adeguate difese aeree nella zona, rendeva i missili troppo vulnerabili dall'alto, anche da azioni solitarie condotte da piccoli aerei.

Un altro problema era dovuto al fatto che il governo italiano aveva deciso, per motivi politici, di tenere la popolazione all'oscuro della presenza dei missili. Invece la popolazione era lo stesso al corrente di tali armi, perché queste erano visibili. Occorre considerare che critiche molto simili furono mosse anche alla Turchia, l'altro paese in cui erano stati schierati gli Jupiter.

Fonte: http://it.wikipedia.org

 


 

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