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È possibile un dialogo strategico tra Europa e Cina? E una cooperazione militare tra Pechino e la NATO? La domanda non è retorica: lunedì, in una Pechino torrida, l'Alto commissario Ue per la politica estera e di difesa Catherine Ashton ha incontrato il generale cinese Liang Guanglie, suo omologo, per discutere "come migliorare la cooperazione sino-europea sulla difesa e la sicurezza".

 

 

E dato che l'apparato di difesa europeo e quello dell'Alleanza Atlantica in gran parte coincidono, è lecito domandarsi che cosa possa nei fatti produrre questa strana partnership, definita "molto costruttiva" da entrambe le parti. Di certo il retroterra diplomatico su cui tenta di ergersi non è dei migliori, sia per gli attriti in tema di diritti umani, sia per i contrasti in campo economico-commerciale (qui pesano il deficit di bilancio Ue, il protezionismo bilaterale, il non rispetto della normativa su brevetti e copyright da parte cinese).

Pechino inoltre, dal 2005 ad oggi, è andata maturando una grande disaffezione verso l'Unione, un tempo considerata il partner internazionale ideale: all'indomani della dichiarazione di guerra all'Iraq da parte del presidente americano George W. Bush, la presa di posizione contraria al conflitto dell'allora presidente francese Jacques Chirac e del cancelliere tedesco Schroeder, portarono la Cina a vedere l'Europa come un alleato prezioso, capace di opporsi agli Usa e controbilanciarli.

I cinesi capirono troppo tardi che Francia e Germania non sono rappresentative dell'intera Unione: nel 2005, certi di ottenere una risposta positiva, chiesero ufficialmente a Bruxelles di togliere l'embargo sulla vendita di armi alla Cina, di appoggiare Pechino contro Taiwan, di chiudere le porte al Dalai Lama ed entrambi gli occhi sui diritti umani. Il no secco dell'Unione fu per Pechino un duro colpo a cui, negli anni successivi (quelli dell'allargamento a 27) si aggiunse la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un partner estremamente complesso e difficilmente influenzabile.

Da parte sua l'Europa guarda ad Oriente con una serie di aspettative che continuano a venire frustrate. A capo della lista c'è la richiesta che la Cina diventi un attore globale "responsabile". Ma Pechino su questa strada fa un passo avanti e due indietro: da una parte accresce la propria partecipazione alle missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite, alla lotta alla pirateria, al traffico di droga internazionale; dall'altra rifiuta di partecipare alla missione Isaf in Afganistan e di votare sanzioni contro Siria ed Iran.

La cooperazione in tema di difesa e sicurezza prenda dunque corpo per fronteggiare minacce "non tradizionali", come la lotta alla pirateria al largo della Somalia e nel Golfo di Aden, di cui pure si è discusso durante il meeting di Pechino. La Cina ha inoltre già dimostrato la propria volontà e capacità di contribuire alla gestione delle emergenze umanitarie causate da disastri naturali (ne ha dato prova nel Sud Est asiatico dopo lo tsunami del 2004, in Pakistan dopo il terremoto del 2005, nelle Filippine dopo il tifone del 2007 e nel 2010 è intervenuta sia Cile sia Haiti dopo il terremoto). All'Europa (ma anche agli Usa) questo tipo di impegno non basta. Ma al momento sembra inutile aspettarsi di più.

di Elisa Borghi

Fonte: http://www.notapolitica.it

 


 

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