“Io odio gli indiani. Sono un popolo bestiale con una religione bestiale. La carestia era colpa loro moltiplicandosi come conigli”. Winston Churchill.
Gli inglesi attuarono uno spietato programma economico operando in India e ciò escludeva l’empatia per i nativi. Sotto il Raj inglese, l’India soffrì innumerevoli carestie. Ma la peggiore fu nel Bengala. La prima avvenne nel 1770, seguita nel 1783, 1866, 1873, 1892, 1897 e infine nel 1943-44. In precedenza, quando le carestie colpivano il Paese, i governanti indigeni si affrettarono a fornire risposte utili per evitare gravi catastrofi. Dopo l’avvento degli inglesi, la maggior parte delle carestie fu una conseguenza dei monsoni e dello sfruttamento delle risorse naturali del Paese da parte degli inglesi per proprio vantaggio finanziario. Eppure fecero ben poco per riconoscere lo scempio di tali azioni. Se mai, erano irritati per gli inconvenienti alle tasse che le carestie provocavano. La prima di queste carestie fu nel 1770 e fu orribilmente brutale. I primi segni che indicano tale enorme carestia si manifestarono nel 1769 ed essa continuò fino al 1773. Uccise circa 10 milioni di persone, milioni in più degli ebrei incarcerati durante la Seconda guerra mondiale. Spazzò via un terzo della popolazione del Bengala. John Fiske, nel suo libro “The Unseen World”, scrisse che la carestia del 1770 in Bengala fu molto più letale della Peste nera che terrorizzò l’Europa nel XIV secolo. Secondo il dominio Mughal, i contadini dovevano pagare un tributo del 10-15 per cento del raccolto in contanti. Ciò assicurò un comodo tesoro ai governanti e una vasta rete di sicurezza per i contadini nel caso in cui il tempo non permettesse futuri raccolti. Nel 1765 fu firmato il trattato di Allahabad e la Compagnia delle Indie Orientali assunse il compito di raccogliere i tributi dall’allora imperatore Mughal Shah Alam II. All’improvviso, gli inglesi insistettero nel chiamarli tributi e non tasse per impedire una ribellione, aumentandola al 50 percento. I contadini non seppero nemmeno che le monete erano cambiate. Pagarono, credendo ancora che andassero all’imperatore. Un parziale raccolto era abbastanza comune nella vita del contadino indiano. Ecco perché lo stock di eccedenze, rimasto dopo aver pagato i tributi, era importante per il loro sostentamento. Ma coll’aumento della tassazione, questo surplus si ridusse rapidamente. Quando un parziale mancato raccolto si ebbe nel 1768, questa rete di sicurezza non c’era più. Le piogge del 1769 furono gravi e in quel periodo comparirono i primi segni della terribile minaccia. La carestia si verificò principalmente negli Stati moderni del Bengala Occidentale e del Bihar, ma colpì anche Orissa, Jahrkhand e Bangladesh. Nel Bengala fu, ovviamente, peggiore. Tra le zone più colpite c’erano Birbum e Murshidabad nel Bengala. A migliaia lasciarono l’area nella speranza di trovare sostentamento altrove, solo per morire di fame più tardi. Ciononostante, chi rimase in vita poi morì comunque. Ettari di terreni agricoli furono abbandonati. La boscaglia iniziò a prosperare, col risultato di aree della giungla profonde e inabitabili. Tirhut, Champaran e Bettiah nel Bihar ne furono influenzati allo stesso modo. Prima di questo, ogni volta che emersa la possibilità di una carestia, i governanti indiani rinunciavano alle tasse e prevedevano misure compensative, come irrigazione e maggiori aiuti agli agricoltori colpiti. I governanti coloniali continuarono a ignorare gli avvertimenti sulla carestia, anche se iniziò nel 1770. Poi i decessi iniziarono nel 1771. Quell’anno, la compagnia portò la tassa fondiaria al 60% per ricompensarsi per le vite perdute di tanti contadini. Meno contadini produssero meno raccolti che a loro volta comportavamo meno entrate. Quindi chi non era ancora deceduto per la carestia dovette pagare una tassa doppio per garantire che il tesoro inglese non subisse perdite in quel periodo. Dopo aver preso il controllo dai governanti Mughal, gli inglesi emisero ordini sulle coltivazioni da tassare. Erano destinati alle esportazioni. Così gli agricoltori abituati a coltivare risone e verdure furono costretti a coltivare indaco, papavero e altre piante dall’alto valore di mercato, ma che non potevano essere di alcun aiuto per una popolazione affamata. Non c’era alcun sostegno a colture commestibili in caso di carestia. Le cause naturali che contribuirono al disastro erano comuni. Era il profitto che creò le conseguenze devastanti. Alcuna misura di aiuta fu presa per le popolazioni colpite. Piuttosto, come già accennato, la tassazione aumentò per compensare le eventuali mancate entrate. Ciò che è più ironico è che la Compagnia delle Indie Orientali ottenne un profitto maggiore nel 1771 che non nel 1768.
Anche se la popolazione affamata del Bengala non lo sapeva ancora, questa fu solo la prima delle mille carestie causate unicamente dal profitto, che devastò le campagna. Sebbene tali disastri fossero mortali, il più mortale che si verificò dopo il 1771 fu nel 1943, quando morirono tre milioni di persone e altri si misero a mangiare erba e carne umana per sopravvivere. Winston Churchill, il primo ministro inglese che salvò l’Europa da un mostro come Hitler, fu totalmente insensibile alla tremenda carestia che inghiottì la popolazione del Bengala. Sottrasse intenzionalmente gli aiuti medici e cibo inviati alle vittime affamate per inviarli ai soldati già ben riforniti in Europa. Quando disse: “Carestia o no, gli indiani si riprodurranno come conigli”. Il governo di Delhi gli inviò un telegramma che dipingeva l’orribile devastazione e il numero di persone morte. La sua unica risposta fu: “Allora perché Gandhi non è ancora morto?”
Traduzione di Alessandro Lattanzio
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