Mokele-mbembe e N’yamala sono i nomi più comuni con cui gli indigeni della parte nord del Congo e del Gabon chiamano un misterioso e rarissimo animale acquatico di grandi dimensioni che frequenterebbe le paludi e i corsi dei fiumi delle foreste più inaccessibili. Le testimonianze raccolte tra i pigmei che abitano quelle zone parlano di un animale dal collo lungo e flessibile, dotato di una pelle liscia di colore bruno-grigiastro e di una coda molto potente e muscolosa come quella dei coccodrilli. Sarebbe dotato di quattro zampe simili a quelle dell’elefante che imprimono sul terreno impronte a tre dita, secondo alcune descrizioni il capo dell’animale è sormontato da un corno. La creatura, esclusivamente erbivora, sarebbe ghiotta di una particolare varietà di liana del genere Landolphia, che produce grossi frutti simili a noci.
MOKELE MBEMBE e N'YAMALA.
(di Lorenzo Rossi)
Le prime notizie circa la sua esistenza risalgono al 1913, anno in cui i territori del Congo e del Camerun erano colonie tedesche. L’allora governatore Wilhelm’s, desideroso di organizzare una spedizione per tracciare la mappa della zona ed un rapporto delle sue risorse minerali e vegetali, affidò l’incarico al barone von Stein zu Lausnitz, capitano dell’esercito coloniale. Purtroppo il suo corposo e dettagliato rapporto non fu mai pubblicato in quanto la Germania, perse il suo interesse nei confronti del Camerun dopo che quest’ultimo fu sottratto ai suoi territori al termine della Prima Guerra mondiale. Tuttavia il manoscritto originale fu conservato ed è da questa fonte che lo zoologo Willy Ley attinse per pubblicare un estratto in cui si parlava di una strana bestia molto temuta dai locali, chiamata mokéle-mbembe: “Le descrizioni generali dei nativi convergono tutte su di un unico modello: l’animale è di colore bruno-grigiastro e possiede una pelle liscia, le sue dimensioni sono quelle di un elefante o perlomeno di un ippopotamo. Si dice che abbia un collo lungo e flessibile ed un solo dente, ma molto grande, alcuni dicono che si tratta di un corno. Alcuni parlano di una lunga coda muscolosa simile a quella dei coccodrilli. Le canoe che attraversano il suo territorio sono destinate ad affondare, l’animale attacca le imbarcazioni e ne uccide l’equipaggio, ma senza divorarne i corpi. Si dice che vive nelle grotte e che sale sulla riva in cerca di cibo, la sua dieta è completamente vegetale. Il suo cibo preferito mi fu mostrato, era una sorta di liana dotata di grandi fiori bianchi, una linfa lattiginosa ed un frutto simile per forma ad una mela”.
Successivamente, nel 1938, il Dr Leo von Boxberger, un altro tedesco che fu magistrato in Africa per lungo tempo, sembrò confermare le precedenti informazioni, “Il mio contributo sull’argomento è sfortunatamente molto limitato. In Camerun raccolsi abbastanza dati sulla misteriosa creatura acquatica, ma ogni mio appunto e tutte le descrizioni locali dell’animale furono perdute nella Guinea Spagnola, in seguito di un attacco alla carovana da parte dei Pangwe. Posso dire che il nome della bestia nel sud del Camerun è mbokalemuembe. E’ conosciuto come un grande animale acquatico descritto come un rettile dotato di un lungo e sottile collo”.
Maggiori e più dettagliate informazioni ci sono però giunte grazie all’erpetologo americano James H. Powell, che durante le sue numerose ricerche sul campo per lo studio dei coccodrilli, nel 1976 raccolse anche molte testimonianze su alcuni animali misteriosi, dopo essersi appassionato all’argomento tramite la lettura del libro di Heuvelmans “On the track of unknow animals”. Mentre si trovava in Gabon raccolse numerose informazioni dallo stregone di un piccolo villaggio Fang, situato sulle rive del fiume Ogoué: “Per prima cosa gli mostrai rappresentazioni di animali che vivono nelle foreste del Gabon, leopardi, gorilla, elefanti, ippopotami, ecc. e gli chiesi di identificare ciascuna di esse, cosa che fece senza esitazioni. [...] Gli mostrai allora la figura che rappresentava un Diplodocus, tratta da un libro sui dinosauri e gli chiesi se era in grado di riconoscere l’animale. Ed egli rispose con estrema naturalezza “N’yamala” [...] quindi aggiunse spontaneamente un particolare che io trovai molto interessante: disse che questi animali si nutrivano del “cioccolato della jungla”, un termine locale per indicare una pianta che cresce sulle rive dei fiumi e dei laghi e che produce grossi frutti, simili a noci, che si dice siano il cibo preferito di questo misterioso animale”.
Naturalmente queste descrizioni fanno irresistibilmente saltare alla mente quelle che il barone von Stein aveva raccolto sessant’anni prima, possiamo quindi affermare che i termini mokele-mbembe e n’yamala sembrano ricondurre allo stesso animale. Il problema del mokele-mbembe non tardò a scatenare una serie di agguerrite spedizioni scientifiche organizzate col preciso scopo di mettersi sulle sue tracce per confermarne l’eventuale esistenza. Oltre a raccogliere un gran numero di testimonianze che andavano a confermare la morfologia dell’animale, emersero anche nuove ed interessanti informazioni. I nativi erano infatti convinti che il mokele-mbembe uccidesse gli ippopotami, ma senza divorarne i corpi. Questo strano comportamento sembra trovare conferma nelle affermazioni dello zoologo Ivan Sanderson, che nel 1932, mentre si trovava assieme al collega Gerald Russel nel Camerun occidentale, scoprì grandi impronte simili a quelle degli ippopotami, in una zona che però risultava priva di questi pachidermi, venne così a sapere che appartenevano al “mbuluem’bembe”, che aveva allontanato da lì tutti gli ippopotami.
A dispetto della mole di dati raccolti sul suo conto, le varie spedizioni, fino a questo momento, hanno ottenuto ben poche prove materiali circa l’effettiva esistenza della misteriosa creatura. Tra queste la più indicativa è forse la fotografia di una misteriosa pista scattata dalla spedizione americana del 1981 composta da Roy Mackal, Richard Greenwell e dallo zoologo congolese Marcellin Agnagna. Mentre si trovavano in Congo presso la zona di Epena, lungo le rive del fiume Likouala, udirono il rumore tipico di un grande animale intento ad entrare in acqua, giunti sul luogo poterono esaminare una pista di rami ed arbusti spezzati ed una serie d’impronte che si dirigevano verso il fiume.
Due anni più tardi Marcellin Agnagna guidò una spedizione africana, che riuscì a raggiungere il lago Tele, uno dei pochi luoghi che si dice frequentato dai mokele-mbembe. Mentre Agnagna era intento a filmare un gruppo di scimmie, la sua attenzione fu richiamata dalle grida di un membro della spedizione che indicava la presenza di un oggetto nelle acque del lago. Gli uomini si avvicinarono il più possibile entrando in acqua loro stessi, fino a trovarsi ad una distanza di circa 275 metri dalla cosa: si trattava di un animale.
Stando quanto riportato dai testimoni l’osservazione durò una ventina di minuti prima che l’essere, visibilmente spaventato, si immergesse scomparendo alla vista. Agnagna lo descrisse come munito di un collo sottile, che emergeva dall’acqua di circa un metro, sormontato da una piccola testa dotata di occhi ovali e di un naso sottile, dietro al collo emergeva una schiena scura e lucente, la lunghezza totale della creatura fu stimata attorno ai cinque metri.
Purtroppo a causa della grande distanza, ogni tentativo di fotografare e filmare l’animale diede come risultato soltanto una macchia scura all’interno del lago. Agnagna si disse convinto che l’animale da lui avvistato fosse una sorta di rettile, ma non si trattava di una tartaruga, un pitone o un coccodrillo. Tale testimonianza, ritenuta a lungo tra le più importanti dell’intero dossier, è stata recentemente messa in dubbio da alcuni ricercatori, soprattutto perché lo scienziato congolese ha spesso cambiato la versione dei fatti lungo il corso degli anni, non manca inoltre chi ritiene che quest’ultima possa essere stata frutto di una mal’interpretazione da parte dell’autore, che avrebbe in realtà osservato un animale ben noto che non sarebbe riuscito ad identificare, torneremo comunque ad occuparci più tardi di questa congettura.
Altre testimonianze e prove risultano ancora meno credibili, come ad esempio quella dei coniugi Regusters che dissero di avere osservato il misterioso animale mentre si spostava a terra tra i cespugli e le foto di uno strano oggetto indistinto nel lago Tele scattate da Rory Nugent nel 1992, che non necessariamente devono essere spiegate con la presenza del mokele-mbembe. Abbastanza interessanti sembrano invece essere i pesi che i mercanti Ashanti dell’Africa dell’ovest utilizzano per pesare l’oro, in quanto hanno in tutto e per tutto l’aspetto di un dinosauro sauropode.
Una tartaruga della famiglia dei Trionichidi?
I Trionichidi sono tartarughe con la capsula ossea fortemente ridotta e ricoperta di pelle robusta che ne sovrasta alquanto i contorni, il capo, slanciato, si prolunga in una proboscide e possiede labbra carnose, gli arti recano ciascuno tre unghie libere. Incredibilmente agili ed aggressivi sono dotati di un lungo collo, che possono spostare all’indietro, al di sopra del carapace, per morsicare. Fondamentalmente carnivori di quando in quando si nutrono però anche di piante.
La maggior parte delle specie abbandona l’ambiente acquatico solo per deporre le uova, ma singoli individui si spingono talvolta sulla terraferma per riscaldarsi ai raggi del sole o addirittura per compiere sortite nei dintorni. Il genere Trionyx, che secondo Klingelhoffer si nutre esclusivamente di piante, è ampiamente diffuso in Africa. La trionice africana o trionice dalle tre unghie (Trionyx triunguis), che può raggiungere dimensioni pari a 90 cm, avvalendosi delle robuste unghie di cui è dotata, è in grado di arrampicarsi anche lungo le rive più ripide e, con ogni probabilità, intraprendere frequenti incursioni sulla terraferma.
L’antropologo inglese William Gibbons, che è stato alla guida di due importanti spedizioni in Congo alla ricerca del mokele-mbembe nel 1985 e nel 1992, crede che la famosa e contestata osservazione di Marcellin Agagna possa essere stata dovuta in realtà all’avvistamento di un grande esemplare di Trionyx, ed in effetti la particolare descrizione del “naso sottile”, potrebbe essere accostata alla “proboscide” di queste tartarughe, abbiamo appurato inoltre come alcuni particolari sia fisici che comportamentali di questi animali, collo lungo, zampe dotate di tre unghie, dieta erbivora, aggressività e vita quasi esclusivamente acquatica, sembrano essere estremamente compatibili con il modello del mokele-mbembe tracciato dalle tribù locali.
Di fatto però, numerosi elementi sembrano deporre a sfavore della validità di questa teoria. Fermo restando che l’avvistamento di Agagna possa essere stato in effetti frutto di una mal’interpretazione da parte dello zoologo africano se non addirittura di un’invenzione, esistono caratteristiche attribuite al mokele-mbembe che mal si sposano ad una trionice africana. Per prima cosa la coda di questa tartaruga non è abbastanza potente e sviluppata per potere essere paragonata a quella di un coccodrillo ed inoltre, benché possa raggiungere dimensioni notevoli, non avvicina di certo la stazza di un ippopotamo, che oltretutto sarebbe più piccolo del mokele-mbembe.
Un altro elemento che parrebbe mettere fuori gioco la trionice è la presenza del corno, a dire il vero incerta, del mokele-mbembe: nessun Trionichide conosciuto possiede un corno o perlomeno un’appendice che possa assomigliarvi, mentre in numerose descrizioni, anche se non in tutte, il mokele-mbembe ne possiede uno sulla testa. Questa discrepanza non deve però indispettire, perché potrebbe benissimo essere causa del fenomeno del dimorfismo sessuale che già conosciamo: non è impossibile infatti che gli esemplari maschi possiedano una sorta di corno sulla fronte, assente nelle femmine. Si pone infine il problema dell’aspetto generale dell’animale, che i testimoni, anche aiutati da raffigurazioni grafiche, riconducono a quello di un dinosauro sauropode. Una trionice infatti non assomiglia ad un sauropode più di quanto un gatto somigli ad un cavallo, benché entrambi siano dotati di una struttura fisica per certi versi abbastanza simile.
E’ comunque un’ipotesi più che plausibile che gli indigeni abbiano scelto il modello del dinosauro in quanto tra gli animali raffigurati era l’unico a possedere un collo simile a quello del mokele-mbembe. A tal proposito va rimarcato il fatto che Powell mostrò alle tribù locali anche dei disegni rappresentanti degli pterosauri, i rettili alati dell’era Secondaria, che furono identificati come pipistrelli.
La caratteristica fisica comune più saliente degli pterosauri e dei pipistrelli sono senza dubbio le ali membranose e questo potrebbe spiegare il perché gli indigeni li consideravano pipistrelli, non dobbiamo quindi escludere che la ricostruzione di un dinosauro sauropode sia stata accostata al mokele-mbembe semplicemente perché tra tutti gli animali raffigurati, solamente quest’ultimo possedeva un collo abbastanza sviluppato. Anche raffigurazioni di plesiosauri, rettili acquatici dotati di lungo collo con pinne a forma di pagaia al posto degli arti, vennero infatti identificati come mokele-mbembe, seppur piuttosto dissimili da un sauropode.
A complicare le cose va aggiunto il fatto che gli indigeni dell’Africa conoscono alquanto bene queste tartarughe ed inoltre molte tribù credono nell’esistenza di una varietà gigante che i Bantu chiamano Ndendeki, e che si dice possa raggiungere i quattro metri di diametro.
Una specie di varano?
I Varani sono i più grandi sauri viventi, dato che a questa categoria appartiene il famoso drago di Komodo, che come abbiamo visto, può raggiungere anche i quattro metri di lunghezza. Ne esistono circa trenta specie diffuse in tutta l’Africa, l’Asia meridionale, l’Insulindia e il continente australiano. Possiedono un corpo simile a quello delle lucertole, con capo allungato, collo molto lungo, tronco robusto ma assottigliato e potenti zampe di media lunghezza munite di dita armate di unghie appuntite.
La coda è lunga e muscolosa, spesso compressa lateralmente. La maggior parte delle specie predilige una vita arboricola o terrestre, ma ne esistono anche di abilissimi nel nuoto, capaci di trattenersi a lungo sott’acqua, come ad esempio il varano del Nilo (Varanuus niloticus), in grado di resistere in apnea anche diverse ore. Il mokele-mbembe potrebbe essere una specie di varano ancora sconosciuta? Innanzi tutto i nativi lo descrivono come un animale esclusivamente vegetariano, caratteristica che mal si adatta ad un varano, dato che tutte le specie conosciute sono esclusivamente carnivore.
E’ ipotizzabile che passando gran parte del proprio tempo in acqua, dove non può essere visto, un varano possa cacciare le sue prede abituali, ad esempio pesci, per poi risalire sulla terraferma ed integrare la sua dieta con delle piante acquatiche, tale congettura non sarebbe comunque molto verosimile. Una caratteristica saliente del mokele-mbembe è inoltre quella di dare una spietata caccia agli ippopotami senza però divorarne i corpi, si può supporre che un varano di grandi dimensioni possa essere perfettamente in grado di uccidere questi pachidermi, ma a quale scopo se poi non ne divora le carni?
La cosa non avrebbe alcun senso a meno che gli ippopotami non vengano considerati come antagonisti nella ricerca del cibo, ma un’ipotesi del genere farebbe ricadere ancora una volta tutti gli indizi su di un animale erbivoro.
Un dinosauro sauropode di piccole dimensioni?
I dinosauri appartenenti all’ordine dei Sauropodi, apparsi sulla Terra alla fine del Triassico, con il loro collo lunghissimo e flessibile, il corpo massiccio simile a quello dell’elefante, la lunga coda potente e il regime alimentare prettamente erbivoro, rappresentano tra le specie animali conosciute, quella che più si avvicina al ritratto del mokele-mbembe. Alcuni appartenenti a quest’ordine, tra cui il famoso Brontosauro (il cui nome corretto é in realtà Apatosauro), potevano facilmente superare i venti metri di lunghezza, ma esistevano anche specie di dimensioni molto più contenute, ad esempio nel 1972, nei territori dello Zimbawe, il Prof. M.A. Raath ritrovò lo scheletro quasi completo di un Sauropode lungo circa sei metri, successivamente ribattezzato Vulcanodon, letteralmente “dente da vulcano”.
A rigor di logica, la possibile sopravvivenza di un sauropode di piccole dimensioni nel cuore delle foreste del Congo non sarebbe un’eventualità geologicamente impossibile, vastissime zone dell’Africa centrale sono rimaste relativamente stabili ed immutate nel corso dei millenni, scampando persino alla grande glaciazione dell’era Quaternaria.
Naturalmente questo non è sufficiente a provare l’esistenza di un sauropode vivente, ma di certo sappiamo che in ambienti stabili e poco accessibili, una specie può sopravvivere indisturbata molto a lungo, ed i casi dell’okapi e del celacanto, che è persino più vecchio dei dinosauri, ne sono una prova. Uno dei problemi avanzati nei riguardi di questa tesi è il fatto che nell’areale in cui si dice viva il mokele-mbembe, non sono stati rinvenuti fossili che potessero perlomeno confermare, se non l’esistenza attuale, perlomeno quella passata di simili dinosauri nelle zone del Gabon e del Congo.
Questa mancanza può avere comunque numerosi spiegazioni, innanzi tutto perché un organismo si conservi allo stato fossile deve prima subire una concatenazione tale di processi chimici e fisici che rendono molto raro il passaggio tra stato organico ed inorganico.
Non dobbiamo infatti dimenticare mai che, benché i fossili scoperti siano molto numerosi, non rappresentano che una piccolissima parte delle forme di vita del passato giunte sino a noi. In secondo luogo emerge un problema di tipo logistico, cercare fossili nel cuore del Congo non é certo un’impresa agevole, sia per le caratteristiche ambientali del luogo, sia per la precaria situazione politica di quelle zone, sono molte infatti le spedizioni scientifiche che hanno dovuto fare dietro front davanti ai problemi burocratici, la scadenza dei visti e la guerra civile, finché la situazione politica del Congo non si sarà stabilizzata, il mokele-mbembe potrà continuare a nascondersi al nostro sguardo ancora per molto tempo.
Giunti al nocciolo della questione, esaminando tutti i dati a nostra disposizione, non sembra improbabile che il cuore del Congo possa celare una forma di vita animale ancora sconosciuta, i territori ancora inesplorati sono molto vasti, le condizioni ambientali idonee e le numerose testimonianze sembrano ricondurre ad un animale in carne ed ossa. D’altro canto le prove materiali di cui disponiamo sono però troppo poco numerose e scarsamente indicative, consistendo più che altro in testimonianze oculari, fotografie sfocate e descrizioni da parte degli indigeni, il cui dialetto non è sempre facilmente comprensibile ed interpretabile, per cui solamente una ricerca chiara e approfondita delle zone più inaccessibili delle foreste del Gabon e del Congo, quando la situazione internazionale lo permetterà, potrà dare una clamorosa conferma o una deludente smentita circa l’esistenza del mokele-mbembe.
(il Mokele-mbembe, rappresentato come un sauropode dall'artista Stefano Maugeri)
CHIPEKWE.
Un altro evanescente mostro africano, che infesterebbe le zone dell'Angola, Zaire e Zambia sarebbe conosciuto dai locali con il nome di Chipekwé, la belva dai denti a sciabola. In realtà sotto tale denominazione, sarebbero raggruppati vari tipi di animali misteriosi, dato che la parola chipekwé sembrerebbe significhi "mostro" ed adattabile quindi a diverse specie di animali temute dagli indigeni e non necessariamente ignoti alla scienza. Altri nomi riferibili alla stessa creatura potrebbero essere dilali e nru-ngu, nomi peraltro alquanto indicativi perché tradotti letteralmente significano rispettivamente leone e pantera acquatica.
Il misterioso chipekwé sembrerebbe così non essere un sauro, ma un mammifero, più probabilmente un grosso felino. Un elemento che ne accomuna tutte le descrizioni nelle varie parti dell'Africa è che questa belva ucciderebbe gli ippopotami senza però divorarne le carni ed in effetti, i laghi che si credono frequentati da tali mostri, sono privi di questi pachidermi nonostante rappresentino per loro un habitat adeguato.
Bernard Heuvelmans, forte di alcune testimonianze che andremo in seguito ad esaminare, pensa che dietro a questo "drago africano" possa celarsi il felino preistorico conosciuto come "machairodus", una tigre dai denti a sciabola. Più precisamente lo zoologo belga è convinto che questo felino, per fuggire alla concorrenza alimentare degli altri predatori, possa essersi evoluto ad una vita acquatica.
Tale ipotesi può sembrare senza alcun dubbio alquanto fantasiosa, ma esaminiamo con le dovute cautele, alcuni interessanti avvenimenti. L'avventuriero inglese John Alfred Jordan, che nel 1909 si trovava in Kenya, poté osservare uno strano animale sdraiato nel letto di un fiume. Aveva la testa di un grosso felino ed il dorso squamoso, dalle mascelle superiori spuntavano due grossi denti e possedeva una coda natatoria che gli permetteva di resistere alle correnti.
COJE YA MENIA.
Anche il coje ya menia dell'Angola, studiato dallo zoologo tedesco Ingo Krumbiegel avrebbe l'abitudine di straziare gli ippopotami senza però mangiarli. Di questi assalti lo studioso ha rilevato le tracce fisiche: i corpi dei pachidermi solcati da lunghe ferite non attribuibili a predatori noti.
Dalle impronte lasciate sembrerebbe che la belva si muova sul dorso della zampa, sia munita di artigli e possa inseguire la preda sia sulla terra ferma che nell'acqua. Per quanto fantastiche possono sembrare queste descrizioni e testimonianze bisogna obbiettivamente ammetterne una sconcertante coerenza descrittiva nelle zone, spesso geograficamente molto distanti, in cui questi animali vengono avvistati.
Gli elementi che abbiamo a disposizione fino ad ora, non permettono comunque di stabilire l'eventuale identità di questi predatori, fino a che non se ne ritroverà un esemplare vivo o morto quindi, il chipekwé che sia un dinosauro o un felino, un grosso varano o un serpente, rimarrà solo una creatura leggendaria ed effimera temuta dagli indigeni.
CONGAMATO e OLITAU.
Se queste testimonianze ci hanno lasciato sbalorditi ed un po' perplessi, chissà come deve essersi sentito lo zoologo Ivan Sanderson, che durante uno dei suoi viaggi esplorativi in Africa asserì di essere stato attaccato da... Procediamo con ordine: Siamo nel 1932 e lo scenario che fa da cornice a questa incredibile esperienza é la catena montuosa di Assumbi, nel Camerun. Sanderson e il suo compagno di spedizione Gerald Russel, nell'intento di guadare un fiume vennero assaliti da una creatura volante di colore scuro, munita di denti aguzzi e dotata di un'apertura alare di oltre tre metri.
Dopo essere miracolosamente fuggiti al pericolo, gli abitanti della zona gli dissero che l'animale che gli aveva aggrediti era l'olitau. Un animale molto simile, sempre secondo le testimonianza indigene, sarebbe il kongamato, che vivrebbe nelle zone della Rodesia. I nativi lo descrivono come una specie di rettile volante con ali simili a quelle dei pipistrelli, un becco dotato di artigli e privo sia di piume che di penne. Il kongamato avrebbe un colore rossiccio, un'apertura alare di oltre due metri e talvolta assalirebbe le imbarcazioni.
A questo punto gli indizi in nostro possesso si fanno un po' meno nebulosi, ma ancora più incredibili, bisogna infatti fare notare che illustrazioni di pterodattili mostrate agli indigeni venivano inoppugnabilmente identificate con il kongamato. L'animale che aggredì Sanderson dunque, non era né un enorme pipistrello né un grande uccello rapace, ma un rettile preistorico dell'era secondaria? Crederlo resta difficile.
SULLE TRACCE DI UN DINOSAURO VIVENTE
(trad. Lorenzo Rossi)
Più di una dozzina di spedizioni hanno cercato il Mokele-Mbembe, ma nessuna ha portato prove conclusive che il Mokele-Mbembe sia un essere realmente esistente. Abbiamo solo qualche fotografia sfocata, registrazioni di strani suoni, escrementi e calchi in gesso di impronte lasciate da qualche grosso animale, ma questo è tutto...
SPEDIZIONE AMERICANA, 1909:
Il naturalista Carl Hagenbeck racconta nella sua autobiografia che due persone, un tedesco di nome Hans Schomburgh ed un cacciatopre inglese, gli parlarono di un "grande mostro, metà elefante, metà drago", che viveva nelle paludi del Congo. Joseph Menges, un altro naturalista, disse a Hagenbeck che "qualche specie di dinosauro, apparentemente un sauropode," viveva nelle paludi. Hagenbeck organizzò una spedizione nel Congo alla ricerca del mostro, ma il lavoro fu presto abbandonato a causa dei disagi e dell'ostilità dei nativi.
SPEDIZIONE TEDESCA, 1913:
Nel 1913, Il comandante Freiherr von Stein zu Lausnitz fu inviato dal governo tedesco ad esplorare il Cameroon. Von Stein scrisse di un animale chiamato nel dialetto locale mokele-mbembe, dicendo che abitava le aree vicino a Ubangi, Sangha, e Ikelemba Rivers. Von Stein descrisse così la creatura:
"L'animale è di colore grigio-marrone con una pelle liscia, è grande pressappoco quanto un elefante o perlomeno un ippopotamo. Si dice che abbia un collo lungo ed estremamente flessibile ed un solo dente, ma molto lungo. Alcuni dicono che sia un corno. Pochi parlano di una lunga coda muscolosa simile a quella dei coccodrilli. Sembra che approdi sulla spiaggia durante il giorno in cerca di cibo; la sua dieta è completamente vegetale. A Ssombo River vidi una pista lasciata da questo animale alla ricerca di cibo, le impronte erano fresche e trovai tracce di una pianta simile ad una sorta di liana."
SPEDIZIONE AMERICANA, 1920:
32 uomini parteciparono alla spedizione della Smithsonian Institution. Dopo sei giorni le guide africane trovarono larghe, incomprensibili tracce lungo una riva dopodiché sentirono misteriosi "ruggiti, diversi da quelli di qualsiasi animale conosciuto", provenienti da una palude inesplorata. Tuttavia questa spedizione sfociò in tragedia. Durante un viaggio in treno attraverso una zona allagata dove un'intera tribù disse di aver visto il dinosauro, la locomotiva deragliò improvvisamente e si capovolse. Quattro membri della spedizione morirono sotto le lamiere mentre una mezza dozzina rimasero gravemente feriti.
SPEDIZIONE AMERICANA, 1932:
Nel 1932, il criptozoologo americano Ivan Sanderson era in Africa e trovò grosse impronte simili a quelle degli ippopotami in una zona dove non vivevano ippopotami. I nativi gli dissero che quelle orme appartenevano al "mgbulu-eM'bembe". Successivamente Sanderson vide qualcosa nell'acqua che sembrava più grande di un ippopotamo, ma che scomparve prima che potesse esaminarla meglio.
SPEDIZIONE AMERICANA, 1972:
Nel 1960, l'erpetologo James H. Powell, Jr., si interessò ai "draghi" africani ed organizzò una spedizione in Congo. La spedizione fu piena di problemi (gli Stati Uniti e il Congo non avevano molte relazioni a quei tempi). Qualche mese di sofferenze come il morso di un serpente, un quasi annegamento e altri disagi tropicali, permisero solo di raccogliere testimonianze sul Mokele-Mbembe e su di un'altra creatura, lo n´yamala.
SPEDIZIONE AMERICANA, 1976:
Nel 1976 Powell tornò ancora in Gabon, ispirato da Trader Horn. (In 1927, il libro "Trader Horn", memorie dell'autore quando viveva in Gabon, lungo l'Ogooue River, fu scritto da Englishman Alfred Aloysius Smith. Egli ricorda di avere sentito parlare di una creatura chiamata jago-nini, da lui identificata nell'amali, un'altra strana creatura di cui aveva visto le tracce). Powell realizzò che probabilmente entrambe le creature fossero il mokele-mbembe. In seguito, Powell sentì le leggende locali sullo n'yamala, e gli indigeni scelsero i disegni dei dinosauri sauropodi come quelli che più rassomigliavano all'animale.
SPEDIZIOBE TEDESCA, 1980:
Una spedizione organizzata dell'ingegnere Herman Regusters e sua moglie Kia si diresse al lago Tele, dove essi udirono ruggiti e brontolii di una qualche creatura. Dissero anche di avere fotografato il mostro nel lago e di averlo visto spostarsi a terra attraverso i cespugli. Regusters disse che la creatura sembrava lunga 9-10 metri. La presunta fotografia comunque, non mostra nulla di particolarmente indicativo...
SPEDIZIONE AMERICANA, 1980:
Powell organizzò un'altra spedizione nel 1980, ma questa volta assieme al criptozoologo Roy P.Mackal. Powell e Mackal ottennero un grande numero di rapporti dalle rive del fiume Likouala vicino al lago Tele. Dissero che la maggior parte dei testimoni erano concordi nell'affermare che l'animale misurava 5-9 metri, la maggior parte dei quali spettanti al lungo collo. Dissero anche che era di color ruggine e possedeva una sorta di cresta.
SPEDIZIONE AMERICANA, 1981:
Un'altra spedizione fu organizzata nel 1981 questa volta composta da Mackal, J. Richard Greenwell, M. Justin Wilkinson, e lo zoologo congolese Marcellin Agnagna. La spedizione credette di incontrare il dinosauro del Congo lungo il fiume Likouala, quando sentirono un grande animale balzare nell'acqua presso Epena. Trovarono anche una pista di rami spezzati presuntemente spezzati dall'animale ed una serie di impronte.
SPEDIZIONE AFRICANA, 1983:
Nell'aprile 1983, una spedizione congolese guidata da Marcellin Agnagna, uno zoologo del Brazzaville Zoo, arrivò al lago Tele. Agnagna disse di avere visto la bestia, a 275 metri di distanza, dentro il lago. L'animale aveva una sottile testa rossastra, occhi ovali ed un naso sottile. La testa era sollevata di circa 90 com, e si girava a destra e a sinistra come se si guardasse intorno. Secondo Agnagna l'animale era un rettile, ma non era un coccodrillo, un pitone o una tartaruga acquatica.
SPEDIZIONE INGLESE, 1985-86:
L'inglese William J. Gibbons (attualmente vivente in Canada) disse di numerosi testimoni oculari che gli fornirono molte informazione sul Mokele-Mbembe. Egli era convinto dell'esistenza del dinosauro, ma non riuscì a provarla.
SPEDIZIONE GIAPPONESE, 1987:
Un pezzo di video filmato da una spedizione giapponese pretende di mostrare il Mokele-Mbembe nel lago Tele. Il video è indistinto, e potrebbe mostrare due uomini in barca, dove uno di loro sta in piedi sulla prua del vascello, come è comune in Africa. E' stato interpretato come una testa ed un collo, ma questa congettura è puramente speculativa.
SPEDIZIONE INGLESE, 1990:
Lo scrittore ed esploratore Redmond O´Hanlon ritornò da una sua fallimentare eslporazione convinto che i testimoni avesero scambiato degli elefanti, che attraversavano i fiumi tenendo le loro proboscidi sollevate, per dei preistorici Mokele-Mbembe.
SPEDIZIONE INGLESE, 1992:
William Gibbons ritentò sei anni dopo, questa volta accompagnato dall'esploratore americano Rory Nugent. Insieme hanno esplorato quasi due terzi dello sconosciuto fiume Bai, ed esaminarono due piccoli laghi vicini al Tele. Erano il lago Fouloukuo e Tibeke, assenti in molte cartine geografiche. Rory Nugent ottenne anche due interessanti fotografie di qualcosa di strano nel lago Lake Tele. Una di esse potrebbe davvero mostrare la testa di un Mokele Mbembe?
Fonte: http://www.criptozoo.com