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Il fianco occidentale del vulcano Cumbre Vieja, sull’isola La Palma nelle Canarie, un giorno scivolerà nell’Atlantico: una frattura diagonale l’ha già separato dal corpo principale del vulcano, e solo l’attrito lo tiene ancora al suo posto. “Quel giorno, probabilmente collasserà in 90 secondi” ci dice il Professor Bill McGuire, direttore del Benfield Grieg Hazard Research Centre allo University College di Londra. E quando succederà, probabilmente durante un’eruzione, l’impatto sull’acqua provocherà un mega-tsunami che attraverserà l’intero Atlantico, sommergendo le linee di costa.

 

 

Per fortuna la costa più vicina alle Canarie, dove le onde arriveranno alte circa 100 metri al momento dell’impatto, è l’area poco popolata del Sahara Occidentale. Comunque sopravviveranno poche delle persone sulle coste del Marocco, nel sud-ovest di Spagna e Portogallo, ma le onde diminuiranno in altezza durante il viaggio. Le sponde dell’Irlanda meridionale e dell’Inghilterra sud-occidentale riceveranno pure un colpo, ma per allora l’onda sarà scesa a un’altezza di 10 metri.

Il vero massacro ci sarà sul lato occidentale dell’Atlantico, dalla provincia settentrionale del Newfoundland, giù per la costa orientale del Canada e degli Stati Uniti, fino a Cuba, Hispaniola, le Antille Minori e il Brasile nord-orientale.
In corsa libera attraverso l’Atlantico, il muro d’acqua sarà ancora alto fra i 20 e i 50 metri nel momento dell’impatto sui margini orientali del Nord America, e continuerà a colpire per dieci-quindici minuti.
I punti più deboli saranno baie ed estuari, che incanalano le onde verso l’entroterra: addio Halifax, Boston, New York, Filadelfia, Baltimora e Washington, DC. Miami e l’Avana andranno quasi completamente sotto, insieme alle isole più basse, come le Bahamas e le Barbados. Perdita di vite umane, in mancanza di evacuazione di massa preventiva? Cento milioni di persone, con un’oscillazione del cinquanta per cento.

L’ultima volta che il vulcano ha eruttato, nel 1949, l’intero fianco occidentale è scivolato in giù di 4 metri verso il mare, e anche adesso, molto lentamente, sta ancora andando verso il basso. Viste le dimensioni della catastrofe nel caso la montagna si schiantasse nell’acqua, il Dr. McGuire is è furioso perché ci sono troppe poche apparecchiature di rilevamento a La Palma, per dare l’allarme anticipato. “Il governo USA deve essere consapevole della minaccia di La Palma. Devono di sicuro preoccuparsi, e insieme a loro gli stati-isola nei Caraibi, che subiranno tutto il peso del crollo. Ora non lo stanno prendendo sul serio” conclude McGuire. “I governi cambiano ogni quattro o cinque anni, e in genere non sono interessati a queste cose”.
È uno scenario classico, che si ripete in ogni film sulle catastrofi naturali: scienziati militanti che invocano governi inetti ad agire, politicanti squallidi che ignorano l’appello, i giornalisti scientifici che non vedono l’ora di veder stampati i propri articoli.

Ma, aspettate un momento: non abbiamo già sentito parlare prima, di questa minaccia?
Cosa c’è di nuovo, stavolta? Niente, salvo che non c’è stata nessuna corsa a tappezzare La Palma di sismografi. E perché, pensate voi?
Supponiamo che i governi le cui linee di costa sono a rischio, dal Marocco agli USA, siano avvertiti che il Cumbre Vieja si sta risvegliando.
Cosa se ne farebbero, dell’avvertimento? Evacuare per un tempo indefinito cento o duecento milioni di persone dalle aree a quota più bassa?
Non sanno se ci sarà davvero un’eruzione (la sismologia non è così tanto precisa), o quanto grande sarà, o se sarà davvero quella destinata a scuotere e liberare in modo definitivo i fianchi della montagna. Questo potrebbe succedere in un’altra eruzione, più tardi, ma potrebbe anche non succedere per mille anni a venire.
Nessun leader nazionale ha voglia di evacuare l’intera area costiera per un periodo indefinito di tempo, provocando una crisi economica e di profughi altrettanto indefinita, delle dimensioni di una guerra mondiale, per quello che potrebbe rivelarsi un falso allarme. Ma nessuno vuole ignorare del tutto il preavviso, ed essere magari responsabile di decine di milioni di morti. Dal punto di vista politico, è meglio non avere nessun preavviso.

Le catastrofi naturali che possono riguardare tutto il pianeta sono chiamate dagli scienziati “global geophysical events”, o gee-gees in breve, e sono di due tipi: quelle per cui si può fare qualcosa di utile, e quelle per cui non si può far niente. Quando i governi si trovano di fronte quelle del primo tipo, possono anche reagire in modo sensibile.
Da quando abbiamo scoperto vent’anni fa che asteroidi e comete schiantandosi sulla Terra hanno causato parecchie estinzioni di massa, un programma governativo USA ha iniziato a identificare e seguire circa 3.000 “oggetti vicini alla Terra”, le cui orbite li rendono potenzialmente pericolosi. Nel tempo di una generazione, potremo anche essere capaci di deviare quelli che si trovano su una rotta di collisione: se esiste un gee-gee che si vuole evitare sopra tutti gli altri, è proprio questo. Ma non si vede per ora all’orizzonte nessuna soluzione per vulcani, o terremoti, o gli tsunami che possono provocare. Possiamo, solo, incrociare le dita.

Nota: il testo originale, sul sito di Planetizen; su Eddyburg, un articolo correlato, scritto dopo lo “tsunami di Natale”, sui temi del territorio (f.b.)

Autore: Dyer, Gwynne

Fonte: http://eddyburg.it



 

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