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Le profondità della terra rimangono ancora oggi pressoché inaccessibili e certo è che in quei meandri si celino innumerevoli testimonianze della vita agli albori del nostro pianeta. Accade spesso che nelle miniere vengano rinvenuti oggetti per così dire anacronistici (indicati con l'acronimo OOPArt), incompatibili, cioè, con il periodo nel quale li si colloca. Uno dei primi ed affascinanti ritrovamenti di questo tipo riguarda il cosiddetto cubo di Schondorf-Vocklabruck detto anche cubo di Gurlt. Tale oggetto è stato portato a conoscenza del grande pubblico dal libro di Peter Kolosimo intitolato "Non è terrestre", uscito nel 1971. Nell'autunno del 1885, un operaio di nome Reidl, che lavorava in una fonderia a Schöndorf, vicino Vöcklabruck, in Austria, fece una singolare scoperta: spaccando un blocco di lignite che proveniva dalla miniera di Wolfsegg, si accorse che all'interno di esso vi era un singolare oggetto. Si trattava di un piccolo cubo di acciaio, che misurava 67 x 67 x 47 millimetri e pesava circa 785 grammi; aveva due lati arrotondati ed una profonda scanalatura che lo cingeva completamente. La lignite (Brown Coal) è un carbon fossile formatosi dalle foreste del secondario e del terziario; il deposito da cui proveniva il blocco in questione venne datato 60 milioni di anni fa, e in quel periodo non avrebbero dovuto esserci forme di vita intelligenti sulla terra. Gli operai trovarono l'oggetto singolare, tanto da portarlo all'attenzione del loro capo, uno dei figli di Isidor Braun, il proprietario della fonderia, che portò il reperto al museo Heimathaus di Vöcklabruck.

 

 

Durante una conferenza alla Naturhistorische Verein (Società di Storia Naturale) di Bonn avvenuta nel 1886, l'ingegnere minerario Adolf Gurlt (professore di geologia all'università di Bonn che diede anche il nome al reperto) ipotizzò si trattasse di un meteorite. Fra il 1966 e il 1967, l'oggetto fu analizzato dal museo di storia naturale di Vienna (Vienna Naturhistorisches Museum) per mezzo del microscopio elettronico, ma non furono rinvenute tracce di nickel, cromo o cobalto nel materiale di cui era composto, escludendo quindi l'origine meteorica; l'assenza di zolfo, inoltre, indicava che non poteva trattarsi nemmeno di pirite (minerale composto da disolfuro di ferro FeS2). A causa del suo basso contenuto di magnesio, il dottor Gero Kurat, esperto di mineralogia del museo di Vienna, e il dottor Rudolf Grill, del Geologische Bundesanstalt (istituto di rilevamento geologico) di Vienna, ipotizzarono si potesse trattare di ferro fuso; il che faceva pensare ad oggetti di forma simile usati come zavorra nei primi macchinari minerari. Una successiva analisi compiuta da Hubert Mattlianer nel 1973 ha aperto l'ipotesi che poteva essere stato fuso usando la tecnica della cera persa, molto usata nell'età del bronzo, che consisteva nel creare un modello di cera e utilizzarlo per farne uno stampo di argilla. Praticando due fori sullo stampo, uno in alto e uno in basso si fa uscire la cera scaldandola e si versa del bronzo fuso al suo posto. Se ne ricava un modello identico a quello di cera.

Al contrario di quanto scritto nei primi rapporti, le immagini dell'oggetto non mostrano una particolare precisione geometrica. Il fatto strano è che la foto dell'oggetto sia pressoché irreperibile. Venne realizzata una copia del reperto ed esposta all'Oberosterreichisches Landesmuseum, a Linz (il museo di Castello Linz), dove fu esposto l'originale dal 1950 al 1958; secondo lo scrittore Peter Kolosimo, che discute dell'oggetto nel libro Non è terrestre, del 1971, l'originale si troverebbe al Salisbury Museum nel Regno Unito. Alcuni anni fa il giornalista russo G. N. Ostroumov, decise di investigare sulla faccenda del cubo. Quando si presentò a Salisburgo per chiedere informazioni, gli addetti del museo dissero di non sapere dove fosse il cubo e che, probabilmente, era andato perduto prima della seconda guerra mondiale. Anche la documentazione del periodo in cui il cubo è stato trovato risultava mancante. Ostroumov scrisse alcuni articoli bollando l'intera faccenda come bufala.

 

Teorie.

Anche in questo caso, sono diffuse le classiche teorie circa gli OOPArt: origine aliena, origine terrestre (un antico popolo sconosciuto) e origine naturale. Rispetto alla maggioranza degli altri casi di OOPArt, questa volta sono stati compiuti seri esami scientifici sul reperto e i risultati spingono a credere che il cubo abbia un origine artificiale. Comunque, il cubo è attualmente esposto all' Heimathaus Museum di Vöcklabruck, in Austria.

Fonte: http://www.inspiegabile.com

 


 

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