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Provate a pensare a piante super intelligenti, con cervelli messi in rete come i computer collegati a internet, che interagiscono socialmente e dialogano con altre piante, animali e insetti. Piante in grado di produrre milioni di sostanze chimiche diverse (per la maggior parte ancora sconosciute). Capaci di muoversi, di sentire, di trasformare in energia la luce del sole, di reagire agli stimoli e di vivere centinaia, a volte migliaia di anni cibandosi solo di acqua e di terra. Immaginate piante che dormono, esplorano e combattono. Piante che si comportano come sciami, sommando le singole intelligenze in un super organismo multipotente. fatto? Bene, non avete inventato niente di pazzesco: le piante sono proprio così.

 

 

Continua a dimostrarlo da dieci anni un team di ricercatori coordinati da Stefano Mancuso, professore associato di fisiologia delle specie arboree all’università di Firenze, che nel 2010 comincerà a costruire il primo ibrido pianta-robot mai sperimentato al mondo.

Il punto di partenza è un’intuizione straordinaria: le piante hanno un cervello. Un’idea questa che gli sta procurando notorietà in tutto il mondo ma anche una crescente schiera di detrattori. Il suo Linv, il laboratorio di neurobiologia vegetale dell’università di Firenze, è solo un cubo di cemento vicino a Sesto Fiorentino.

Fuori, la campagna alla periferia del capoluogo toscano. Dentro, laboratori e uffici, corridoi, ricercatori in camice bianco e microscopi. Niente che lasci immaginare incontri o visioni straordinarie, destinate a cambiare per sempre il nostro modo di guardare alla vita. Fa un certo effetto sentire un professore universitario (e non uno scrittore di fantascienza) parlare di intelligenza vegetale, cervello delle piante, comportamenti “sociali”, ibridi pianta-robot, di piante paracadutiste impegnate nell’esplorazione di altri pianeti. O forse il punto di vista va semplicemente capovolto: quando si inizia a considerare il mondo vegetale in modo nuovo, niente appare più come prima.

Mancuso prende posto davanti a una foto che lo ritrae mentre vola in assenza di gravità, avvolto in una tuta blu dell’Esa, l’Agenzia spaziale europea, e inizia a parlare con tono basso e fermo. «Fu Darwin il primo a ipotizzare la presenza di una specie di cervello nelle radici delle piante, alla fine dell’Ottocento. Anche Aristotele aveva avuto intuizioni simili che però non aveva sviluppato. Nessuno aveva mai raccolto delle prove. Più o meno dieci anni fa però, mentre studiavo le radici per altre ragioni, ho scoperto al loro interno una piccolissima parte che consuma molto più ossigeno del resto e che viene accuratamente protetta dalla pianta. Mi sono chiesto: qual è l’organo animale che consuma più ossigeno e che il corpo difende più gelosamente? La risposta era ovvia e ha aperto nuovi scenari: è il cervello. Alcuni mesi fa (in un articolo su Pnas, la rivista dell’Accademia delle scienze Usa, ndr) abbiamo dimostrato che i segnali elettrici che partono da questa zona della radice sono molto simili a quelli del cervello umano. Non c’è dubbio: le piante hanno un centro di comando. I giornali a volte lo chiamano cervello ma a me la definizione non piace. Anzi, i centri di comando sono molti, e lavorano in rete come i computer connessi. Il principio ispiratore della natura è stato simile a quello di Arpanet (la prima rete di computer costruita dal Dipartimento della difesa Usa, ndr). Poiché la pianta può essere in gran parte predata e mangiata, così come moltissimi obiettivi militari possono essere distrutti durante una guerra atomica, costruire una rete e collegarvi tutti i cervelli o i computer equivale a rendere la rete non solo super potente, ma praticamente indistruttibile.».

Oltre a un centinaio di pubblicazioni sulle più prestigiose riviste del mondo, Mancuso vanta collaborazioni con l’Esa, la Nasa e le università di mezzo mondo. Da quella di Bonn (con cui il Linv ha in comune un dottorato internazionale) a quella di Hobart in Australia (per lo stress vegetale), da Paris VII a Tubinga (per gli effetti della microgravità sulle piante), fino all’ateneo giapponese di Kitakiusku e passando per Chicago, Zurigo, Seattle, il New York botanical garden e una decina di altri centri di ricerca. Un elenco lunghissimo in cui non compare nessuna università italiana, se si eccettua la Scuola superiore Sant’Anna di Pisa.

Il Linv, il laboratorio che ha fondato e che dirige, sta in piedi grazie al sostegno dell’Ente Cassa di risparmio di Firenze e ai bandi internazionali che i suoi progetti riescono a vincere (i finanziamenti pubblici per il 2009 ammontano in totale a 1.870 euro, meno di quanto il laboratorio spende ogni anno per le cartucce delle stampanti). Intanto dottorandi italiani e stranieri fanno la fila per essere ammessi, sapendo che poi proseguiranno la carriera nei più prestigiosi atenei del pianeta, dato che in Italia non siamo capaci di tenerceli.

Eppure, la maggioranza dei colleghi di Mancuso, soprattutto nel nostro paese, continua a guardarlo come una specie di alieno. «La prima reazione della comunità scientifica alla pubblicazione dei miei articoli è sempre la stessa ed è quasi unanime: questa teoria è una follia assoluta. Il tempo passa, io continuo a ricercare e a pubblicare sulle riviste più importanti, tengo lezioni in giro per il mondo, collaboro con enti di ricerca, università e aziende private (tra le ultime la Bose, che gli ha commissionato una ricerca sugli effetti del suono sulle piante, ndr), ma le reazioni non sono cambiate. La cosa più curiosa è che i colleghi non rispondono alle mie argomentazioni, che sono di tipo scientifico, con altre argomentazioni scientifiche: lo fanno con argomenti di tipo emotivo. Insomma, non contestano i risultati delle mie ricerche pubblicando altre ricerche. Ho scoperto a mie spese che gli scienziati sono conformisti quanto degli adolescenti, e piuttosto conservatori. Ma presto costruiremo il primo ibrido pianta- robot che spero servirà a dimostrare le capacità di calcolo delle piante».

Foglie e rotelle? Un ibrido fatica anche a immaginarlo. Mancuso chiarisce: «La legge svizzera, per prima al mondo, ha recentemente riconosciuto che le piante hanno dignità e valore morale, quindi possiedono dei diritti come tutti gli organismi viventi. Eppure per noi è ancora difficile convincerci che sono intelligenti. Tendiamo tutti, chi più e chi meno, a considerarle esseri pressoché inanimati. Il nostro rapporto con le piante è alla base di molte delle prossime e rivoluzionarie scoperte scientifiche. Solo se riusciremo a superare i due principali problemi che ostacolano la nostra comunicazione con loro, però, potremo aspirare a progredire davvero. Per fortuna, ci siamo quasi».

Ma come si può realmente pensare di comunicare con un organismo che non è dotato sensi? «Le piante hanno cinque i sensi che conosciamo più un’altra decina. Sentono cose che noi non possiamo percepire, come le onde elettromagnetiche, la gravità e un certo numero di gradienti chimici. Sono organismi territoriali e quindi sono i migliori esploratori del suolo che esistano: le radici sono in grado di bucare la terra per metri, analizzandone la composizione e inviando informazioni alla pianta. Per questo, insieme alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, abbiamo lavorato al primo robot di ispirazione vegetale, il plantoide. Le ricerche sono state finanziate dall’Agenzia spaziale europea, che ipotizza di usarlo per esplorare Marte. I plantoidi sarebbero molto meno costosi, ma anche molto più efficienti di qualsiasi altro sistema, per analizzare il terreno del pianeta. Sono piccoli e potrebbero essere paracadutati su Marte in modo da disperdersi come se fossero dei semi. Una volta raggiunto il suolo, aprirebbero le foglie-pannelli solari e con l’energia prodotta inizierebbero a bucare il terreno con le loro “radici”, inviando le informazioni ottenute a una pianta madre che a sua volta le rimbalzerebbe sulla Terra».

Un robot fitomorfo, dopo decenni di androidi e di robot di ispirazione animale, è molto avveniristico, ma le piante di certo non parlano, non reagiscono, non si muovono ed è difficile che possano reagire a un input. «Il motivo per cui continuiamo a considerare le piante alla stregua di semplici “macchine organiche”», riprende Mancuso, «è che noi e loro ci muoviamo su scale temporali diverse. Per noi le piante sono enormemente rallentate, mentre ipotizzando di rovesciare il punto di vista, noi per loro siamo appena guizzi rapidissimi. Oggi grazie alle tecniche fotografiche time-lapse, che scattano foto a intervalli prefissati, possiamo eliminare il problema visualizzando i movimenti vegetali fino a renderli compatibili con i nostri tempi animali. In questo modo sono emersi con chiarezza gli straordinari ed evoluti comportamenti delle piante, che comunicano e interagiscono tra loro e addirittura si riconoscono fino al primo grado di parentela».

Ora la domanda è: cosa accadrebbe se potessimo accelerare le piante? «Lo scopriremo con l’ibrido che cominceremo a costruire nel 2010 sempre insieme al Crim, il Centro di ricerca in microingegneria della Scuola Sant’Anna di Pisa. Innesteremo i centri di comando delle piante su corpi meccanici. In questo modo, il cervello vegetale potrà contare su capacità di movimento assolutamente nuove per lui, e potrà interagire in tempo reale. Immagino già questi piccoli ibridi che girano per il laboratorio…». Decine di scenari futuribili ci si parano davanti agli occhi, e per primo quello, un po’ catastrofista, di piante robot super intelligenti che si impadroniscono del pianeta.

Come non pensare al film musicale La piccola bottega degli orrori e alla super pianta aliena Audrey II che tenta di conquistare la Terra? «Nella teoria evoluzionistica», spiega Mancuso, forse tentando di rassicurarci, «il successo evolutivo di una specie si misura dalla percentuale di territorio conquistato da una specie a discapito delle altre. Ora, se consideriamo che le piante rappresentano il 99,5 per cento della biosfera, come possiamo davvero pensare che siano meno evolute di noi? Ma a parte questo genere di considerazioni, bisogna riflettere sul fatto che per millenni le piante sono state trattate come esseri inerti, quindi le loro straordinarie capacità non sono mai state studiate. Oggi ci troviamo con una miniera di soluzioni possibili che dobbiamo soltanto imparare a sfruttare. Il mio sogno sarebbe quello di costituire un centro di ricerca dedicato alla progettazione di novità tecnologiche che traggono ispirazione dal mondo vegetale. Sarebbe una straordinaria opportunità per il nostro paese e noi italiani abbiamo tutte le potenzialità di creatività, impegno e competenza per primeggiare in questo nuovo campo». Pensare che abbiamo cercato la chiave del nuovo balzo tecnologico dell’umanità nello spazio profondo e nelle nanoparticelle, all’interno dei nuclei atomici e negli abissi marini! Invece è sempre stata lì, sotto i nostri occhi. Insomma la prossima rivoluzione copernicana, destinata a cambiare ancora una volta e per sempre il nostro sguardo sul mondo e il nostro ruolo in esso, non solo sarà verde (come già ci ripetiamo da tempo), ma verrà proprio dalle piante. Esseri che hanno una potenza di calcolo virtualmente superiore ai più potenti computer, ascoltano, si muovono, reagiscono, sono capaci di essere generose e di ingannare, sanno persino manipolare altre specie che noi da millenni consideriamo più evolute di loro.

«Alcuni studiosi», spiega Mancuso, «hanno ipotizzato che in un rapporto coevolutivo come quello che interessa tutte le specie animali e vegetali presenti sul pianeta, le piante siano state in diverse occasioni in grado di influenzare le nostre scelte. Facciamo un esempio: ci è noto che alcune piante producono dei fiori con forme, odori e colori colori studiati appositamente per attirare certi tipi di insetti, di cui la pianta si serve per l’impollinazione. Quindi, come possiamo escludere che abbiano fatto lo stesso con noi? Come facciamo a dire che alcuni dei frutti o dei fiori che ci piacciono di più non sono stati selezionati dalle piante appositamente per attirare noi e convincerci a diffondere sul pianeta la loro specie a discapito delle altre? La natura non è forse la madre di tutti i “persuasori occulti” e i geni del marketing dei nostri giorni?». È roba da brividi. Pensiamoci bene la prossima volta che ci dimentichiamo di annaffiare le piante sul terrazzo.

Alessandra Viola, giornalista scientifica, produce anche documentari cartoni animati.

Fonte: http://www.wired.it


 

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